"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 20 ottobre 2008

Wall-e

Wall-e

Siamo nel futuro e la Terra è ormai disabitata e coperta dai rifiuti: unico superstite è Wall-e, un robot spazzino che compatta l’immondizia per realizzare dei cubi destinati a diventare i mattoni dei nuovi palazzi. Un giorno però sul pianeta arriva un’astronave aliena che libera Eve, un robot spia il cui compito è trovare tracce di vita organica: elegante nei movimenti ma anche capace di sfoderare arme letali, Eve fa breccia tra gli ingranaggi che compongono il cuore meccanico di Wall-e, che riesce a superare il suo carattere spigoloso e a proteggerla dalle intemperie che periodicamente affliggono il pianeta. Tutto questo fino a quando Eve non trova una pianta e fa pertanto ritorno all’astronave madre, ultimo baluardo di una umanità impigrita e schiava del benessere. Una umanità che ora dovrà fare ritorno al pianeta che sta risorgendo, ma che dovrà per questo superare la ritrosia delle macchine, asservite a una vecchia direttiva che ordina di restare nello spazio. Wall-e e Eve diventeranno l’ago della bilancia per superare l’empasse.

Che piacere notare come la Pixar non sia schiava del suo successo e si permetta di sperimentare e cercare nuove vie: chi altri dopo i grandi successi de Gli incredibili e Ratatouille si permetterebbe di realizzare un film così poco “per famiglie” come Wall-e, quasi privo di dialoghi e deliziosamente retrò nell’affidarsi a gag visive da slapstick (evidenti sin dal cortometraggio Presto che precede la proiezione) e che in mezzo infila anche una critica all’opulenza del presente? Sembra di rivedere lo Spielberg degli esordi, che dopo i successi de Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo, si prendeva la libertà di ridersi addosso con il sottovalutato 1941: Allarme a Hollywood!

Il paragone con il grande regista americano è rafforzato anche dall’evidente debito che il design di Wall-E paga nei confronti di E.T. (ma non va dimenticato anche il simpatico “Numero 5” di Corto circuito), con occhi dotati di una espressività molto marcata, al punto da definire lo spazio all’interno del quale si articola il discorso caro a Andrew Stanton e al suo staff. In fondo il problema sta tutto nel vedere, nell’essere distratti da annunci pubblicitari che inducono a non pensare a quanto si sta facendo, in una perenne coazione a ripetere che produce un conformismo sfrenato annullando ogni volontà e rendendo ogni persona un prodotto riconoscibile di un meccanismo rodato (e qui si potrebbe fare riferimento anche a Minority Report, sempre di Spielberg). Ma più del detto, di quanto viene (anche didascalicamente) esplicitato, è apprezzabile quanto viene restituito attraverso la mera forza degli elementi iconici.

L’immagine più forte del film diventa così quella che vede Wall-e edificare enormi grattacieli di immondizia: parafrasando Richard Matheson e la moderna trasposizione di Francis Lawrence (e Will Smith) anche Wall-e potrebbe affermare “Io sono leggenda” e la sua odissea di operaio futuribile, addetto a una impossibile ricostruzione di un mondo ormai privo di identità e senso, si staglia come la più efficace metafora possibile dell’inutilità dell’uomo moderno. Il simulacro di una società come la nostra diventa il prodotto di scarto, destinato a rifondare un mondo dove la superficie diventa sostanza perché al di sotto del materiale di risulta non c’è più un’anima.

Ecco dunque che l’impossibile storia d’amore “tecnologica” diventa a sua volta il punto di fuga attraverso il quale fondare una nuova prospettiva vivificatrice, che sa conservare quello che di utile si annida tra i rifiuti (gettando via gli inutili gioielli per mantenere invece la loro scatola) in un elogio della memoria come unica possibile sostanza per trovare il proprio posto del mondo. Dove il cinema definisce culturalmente e in senso meraviglioso le possibilità di interazione all’interno di una società e crea un immaginario coerente che arricchisce la vita e fa comprendere il valore delle emozioni. E’ questo ciò che più distingue la coazione a ripetere di Wall-e da quella degli umani: il primo non ne è dominato, ma riesce a piegarla alle sue esigenze, non dimenticando mai quell’interazione e quella ricerca dell’altro che invece gli obesi passeggeri dell’astronave madre vivono ogni volta con sorpresa, meravigliandosi di ogni più piccolo contatto nei vari momenti in cui non sono bombardati da uno spot pubblicitario.

Il discorso è chiaramente allargabile a un livello metacritico, osservando come in fondo il film usi (benissimo) il digitale per illustrare il presente, ma si affidi all’analogico e al formato Live Action per gli inserti di repertorio (cinematografici e giornalistici) in una compresenza di vecchio e nuovo che costituisce il motivo d’essere della stessa Pixar. Non a caso anche i titoli di coda passano in rassegna diversi stili espressivi, dal disegno tradizionale, a figure più pittoriche, fino agli albori delle figure in pixel, dal caratteristico design con i bordi frastagliati.

Ecco dunque che il racconto di due singoli robot diventa metafora di una situazione più universale (come sempre accade con i film Pixar) e se la struttura narrativa soffre in effetti di alcuni sbalzi che nella seconda parte producono un andamento più singultante, il film vive letteralmente di alcuni slanci lirici evidenti nei teneri gesti di un Wall-e incerto che si stringe timidamente le mani, che volteggia nello spazio sospinto dalla forza di un piccolo estintore e, aggrappato all’astronave, si immerge nello splendore degli anelli di Saturno.

Wall-e
(id.)
Regia: Andrew Stanton
Sceneggiatura: Andrew Stanton e Jim Reardon, da un soggetto di Andrew Stanton e Pete Docter
Origine: Usa, 2008
Durata: 98’

Video intervista ad Andrew Stanton (sottotitolata)
Ritratto di Andrew Stanton
Sito ufficiale italiano
Sito ufficiale americano
Sito ufficiale americano della Pixar

12 commenti:

Christian ha detto...

Un grande film! Anch'io avevo pensato a un parallelo con Spielberg (anche, per esempio, al finale di A.I.), ma ironicamente oggi proprio la DreamWorks dello stesso Spielberg non riesce a tenere il passo della Pixar in termini di coinvolgimento emotivo e di padronanza dei "vecchi trucchi" cinematografici...

Anonimo ha detto...

ancora una volta la pixar è stata in grado di realizzare un film ricco di riferimenti e citazioni...

Alberto Di Felice ha detto...

Sì, è vero, a Spielberg ho pensato tantissimo anch'io. Di quanto ho letto in giro sui vari blog, finora la tua recensione è quella che preferisco. Soprattutto perché, oltre a descrivere molto bene il film, non si fa assalire da definizioni di capolavoro e ansie di lode smodata. Anche se magari avresti avuto voglia: lode per l'autocontrollo.

>>>Ma più del detto, di quanto viene (anche didascalicamente) esplicitato, è apprezzabile quanto viene restituito attraverso la mera forza degli elementi iconici.

Ecco, se c'è qualcosa che mi ha impedito di amare questo film è il fatto che ho sentito chiaramente che ogni elemento iconico è esso stesso prepotentemente didascalico; infatti sempre leggendo in giro c'è un rincorrersi di analisi tutte uguali, che dicono sempre le stesse tre o quattro cose, anche un po' melense. Perché sul film non c'è in effetti molto da dire, tutto si vede e non richiede il minimo filtro. Il che ne fa -- e qui non concordo con te -- il perfetto film per famiglie: siedetevi, mangiate, e consumate questo prodotto emozionale, tanto è semplice, ed è tanto pacioccoso.

Unknown ha detto...

No, in realtà nessun autocontrollo, ciò che ho scritto è ciò che penso davvero, non lo definirei un capolavoro (ammettendo di accettare queste classificazioni ;).

Può essere vero che magari il film non elabora troppo ciò che mette in scena, ma ugualmente non mi pare conciliante e pacioccoso (anzi confesso che la visione dei palazzi di rifiuti e soprattutto la confusione visiva che all'inizio crea il panorama urbano che solo in un secondo momento si rivela essere una città di immondizia mi ha anche turbato, sarà che ha toccato un qualche mio nervo scoperto, da bravo abitante di Taranto che ha avuto il suo periodo di immersione nei rifiuti): in effetti penso che il fulcro della divergenza di opinioni sia questo. Inevitabilmente, a seconda di come poi la si considera, la semplicità diventa un difetto o un pregio.

Alberto Di Felice ha detto...

>Può essere vero che magari il film non elabora troppo ciò che mette in scena

Ecco, mi fa piacere tu sia d'accordo su questo. Io non ne faccio neppure una questione di semplicità (che è sempre la benvetuta, tra l'altro. Poi mi pare bizzarro parlare di semplicità per un film che è costato 180 milioni di dollari -- che si vedono tutti), ma di ricchezza espressiva: per me questo film ha pochissime note, e ripete sempre quelle molto a lungo (tipo: mica ci serve la sequenza riepilogativa romantica per farci capire che il robottino si pruzza nei circuiti per la robottina, o che a questo film piacciono i musical -- noi persone sveglie e sensibili l'avevamo già capito benissimo). Mi son sentito come se stessero inquadrando una lacrima e si aspettassero che io piangessi di riflesso, non so se mi spiego.

Cineserialteam ha detto...

Stupendo. Semplicemente perfetto.

CST

Tamcra ha detto...

Non dimentichiamo, per la costruzione di WALL-E, il Weebo aiutante elettronico del Robin Williams di "Flubber-un professore fra le nuvole". Weebo apprendeva tutti i comportamenti unmani dal cinema e dalla televisione, e ogni volta proiettava brevi scene di questo o quel film. Per quano riguarda la città di rifiuti, il mio pensiero va ad un film dimenticato di Dan Aykroyd, "Nient'altro che guai" (Nothing But Trouble,1991)che fa vedere a un certo punto un parco immenso fatto unicamente di...rifiuti.

Alberto Di Felice ha detto...

Insomma hanno scopiazzato un po' ovunque, su questo siamo tutti d'accordo ;)

Unknown ha detto...

Intanto una nota un po' frivola: al momento questo è l'articolo più commentato del blog :-)

Riguardo allo "scopiazzamento"... non penso che il film abbia come primario obiettivo l'originalità e anche se fosse francamente non mi interessa. Un'idea può anche essere già sfruttata, l'importante è che nel momento in cui viene ripresa, sia contestualizzata in un discorso interessante. A mio parere, come ho già scritto, lo è (poi ovviamente stiamo confontando le diverse posizioni in proposito).

Comunque mi appunto questo film con Aykroyd per recuperarlo perché mi ha incuriosito (non fosse altro che per la presenza del grande Dan ;)

Tamcra ha detto...

A proposito di "Nothing But Trouble" (dove tra l'altro c'erano Chevy Chase, John Candy in un doppio ruolo e una giovanissima Demi Moore), ho trovato su YouTube proprio la scena di cui ti parlavo in un video commentato dal pezzo degli Specials "Ghost Town", che non fa parte della colonna sonora originale.Questo il link:
http://it.youtube.com/watch?v=U2KwKGiBjs4

Unknown ha detto...

Grazie Tamcra, un contributo molto interessante e utile!
Caspita, questo film ha un cast davvero superlativo (che nostalgia ogni volta che rivedo il grandissimo John Candy), cercherò assolutamente di recuperarlo!

Anonimo ha detto...

Ehilà Davide, il tuo post ha scatenato discussioni, confronti, chicche cinefile... ne sono lieto. Per quanto mi riguarda non ho ancora visto il film, ma considerando che in questi anni ho amato quasi incondizionatamente lo stile Pixar, sono pressochè certo che mi piacerà.
PS: ti aspetto sul mio blog per un tuo esaustivo commento sulla nuovelle vague dell'horror francese!