"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 15 ottobre 2008

Shut-eye Hotel

Shut-eye Hotel
 
Accostarsi a un lavoro di Bill Plympton significa sempre affidarsi a un talento in grado di giocare a perfezione con i topoi e i cliché di genere in modo da produrre un risultato che, nella sua riconoscibilità, è assolutamente significativo (e godibile, oltretutto). Con il divertentissimo Shut-eye Hotel (realizzato nel 2007), il cartoonist americano intende dichiaratamente realizzare un prodotto che faccia “con il dormire quello che Lo squalo ha fatto con il nuotare”, ovvero immergere lo spettatore in una condizione di incertezza tale da impedirgli di essere rilassato in una situazione che pure dovrebbe invece indurlo in uno stato di quiete.

L’hotel del titolo è infatti un luogo in cui avvengono morti misteriose e sanguinolente, con i malcapitati clienti che si ritrovano con la testa spappolata: una coppia di agenti di polizia indaga fino a scoprire la sconcertante verità! Già da questi pochi elementi si può notare il lavoro sulle caratteristiche di una tipologia codificata di racconto, che Plympton si diverte a omaggiare e nello stesso tempo a sovvertire, mescolando tensione e risate, secondo un meccanismo peraltro basato non sulla contrapposizione degli opposti, ma sulla loro coesistenza: ci si diverte nello stesso momento in cui si è in tensione e i due sentimenti si equilibrano e sostengono a vicenda.

Plympton è quindi perfettamente allineato alla tendenza postmoderna del cinema che attraverso le citazioni e il lavoro sugli elementi iconici e tipici di un genere riesce a giocare con lo spettatore, con la sua cultura cinefila e con le sue aspettative, ma anche a sorprenderlo attraverso un amalgama inedito che produce risultati degni di spicco: nel caso specifico l’inserimento di un elemento fantastico in una vicenda dai chiari connotati noir.
Gli elementi della messinscena sono dunque protesi maggiormente alla ricostruzione di un’ambientazione tipica e perfettamente identificabile come luogo del mistery e della suspence: l’hotel, la stanza chiusa, la vittima indifesa, gli amanti assassinati e l’indagine secondo il classico meccanismo del whodunit. Ovviamente tutti gli artifici cinematografici sono anche indirizzati in questo senso, dalla musica jazzata ai giochi di chiaroscuro che illuminano particolari nel buio generando anche alcune gag (come quella del vestito dentro l’armadio che sembra una persona), senza contare la palette cromatica tendente al grigio, salvo laddove compare il sangue che con il suo rosso accesso inserisce un elemento dissonante e di forte impatto. E poi c’è un interessante gioco prospettico che sembra rifarsi all’espressionismo tedesco - di fatto matrice di molto cinema noir per la sua capacità di esteriorizzare le angosce dei protagonisti - ma che si inserisce anche perfettamente nell’opera intera di Plympton, basata proprio sull’esasperazione dei particolari, sullo stravolgimento delle fisionomie e sul riplasmare corpi e figure in senso grottesco e funzionale alla logica dell’assurdo cara all’autore. Ecco dunque il particolare design dell’hotel dallo spessore sottile nel quale si ambienta l’intera vicenda e che prende le distanze dalla tipica iconografia da gotico americano alla Psyco.

Il gioco di svelamenti e inganni viene portato avanti da Plympton fino all’estremo finale, permettendo alla suspense di dispiegarsi pienamente, ma anche all’intera vicenda di connotarsi come parodia della paranoia tutta americana del “pericolo in casa” e come divertita presa in giro della stupidità umana: l’improbabilità della situazione va anche in questo senso, oltre a permettere al cortometraggio di aderire pure alle regole codificate dell’horror, dove è proprio l’assurdo a genere il senso di spaesamento: il tutto in soli 7 minuti, senza pronunciare una sola parola, ma servendosi unicamente dei suoni e di gag visive, con l’animazione dal corposo tratto a matita e con l’ausilio di una Computer Graphic comunque mai troppo invasiva.

Shut-eye Hotel è stato presentato in numerosi festival internazionali (in Italia è passato al Lucania Film Festival 2007), si spera che sia possibile una sua diffusione anche al di fuori del circuito.


Shut-Eye Hotel
Regia: Bill Plympton

Sceneggiatura: Bill Plympton
Origine: Usa, 2007
Durata: 7’

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