C’è una strana atmosfera che permea il nuovo film di M. Night Shyamalan e lo rende il più impalpabile e aereo della sua filmografia. Nonostante non manchino scene genuinamente spaventose o cruente, l’effetto che si prova durante la visione è straniante, quasi di levità di fronte allo scorrere delle immagini, confermando la tendenza a una rarefazione del plot e a una destrutturazione delle sceneggiature già evidenziatasi con il precedente Lady in the Water. In questo caso pare abbiano giocato anche le restrizioni del budget e le ingerenze della produzione, che hanno portato a modifiche dello script originale, ma in ogni caso il film non disperde il suo fascino. D’altronde, per quanto sia (a torto) considerato un regista di meccanismi, Shyamalan è invece un autore di sensazioni e sentimenti, abile a focalizzare l’attenzione attraverso piccoli accadimenti, tenendosi al di fuori dei luoghi dove gli eventi si generano realmente (pensiamo alla fattoria di Signs, testimone isolata dell’invasione terrestre da parte degli alieni) e attento agli umori e ai sapori generati dall’evento.
In questo senso E venne il giorno crea anche un ponte con tanto fantastico del passato che non si preoccupava di spiegare a ogni costo le cause o le dinamiche del disastro, e si premurava invece di mostrarne gli effetti sulla gente, costretta a un eroismo casuale: decisione sublime in tempi di cinema didascalico e inerte, che per questo costringe a un’attenzione non comune ai dettagli, ai volti (frequentissimo l’uso del primo piano), ai suoni e ai colori. Un cinema quasi elementale (ripensiamo all’importanza dell’acqua in Unbreakable e Lady in the Water), panico nel modo in cui esplora sentimenti indescrivibili come la paura, il senso di sgomento di fronte all’ignoto, ma anche l’amore e l’egoismo.
Il rapporto tra Alma e Elliot diventa così il paradigma della situazione generale: lei ha messo in discussione il rapporto per un sentimento non meglio identificato, un capriccio forse, di sicuro un qualcosa che riconosce come egoismo (d’altronde è lei a non aver voluto mai far maturare quell’unione, rifiutando anche di avere figli), ma che più precisamente è un’incapacità di donarsi all’altro per formare un unico, una mancanza di fiducia nell’idea di unione. Che è poi il vero problema alla base di tanto cinema di Shyamalan, l’incapacità di essere interconnessi con il “fuori” (The Village) e di comunicare allo stesso tempo all’interno, fatto che costringe alla costruzione di un nuovo sistema di relazioni (Lady in the Water) e che costringe a interrogarsi nei confronti della fede, in un eroe (Unbreakable), in un Dio (Signs) o in un’idea (The Village). Questo sistema è quello di un mondo che ancora una volta è diffidente verso l’altro da sé, e nei cui confronti il film scatena una sorta di feroce contrappasso mostrando una invisibile rivolta degli elementi (le piante, il vento) che costringe proprio alla scomposizione sociale perché stare uniti richiama il pericolo. Il film in questo senso si dimostra potentemente fobico, poiché viene a dare corpo proprio alla paura più grande del mondo moderno, quella di essere vittime nella folla, attraverso una propagazione di orrori che rende l’intera comunità come un unico organismo cieco e disorganico, perciò pre-destinato alla fine.
La rivolta delle piante quindi come metafora della disgregazione già in atto nel mondo, a livello personale e di coppia: da questo punto di vista è interessante ipotizzare come Elliot e Alma siano essi stessi una possibile causa dell’evento. Escludendo il prologo newyorkese e l’epilogo, infatti, in tutta la parte centrale sembra come se la piaga li segua, li accerchi e quando riesce a racchiuderli nel suo pugno li risparmia, come a volerli lasciare andare per farsi guidare verso altre realtà, che generano a loro volta disgregazione: dal proprietario della casa in cui cercano rifugio che rifiuta di ospitarli e li prende a fucilate, fino all’abitazione dell’anziana e ostile Mrs. Jones. Un contagio che è una conseguenza della non risoluzione dei loro dubbi umani e sentimentali, ma che è anche un incentivo ad affrontare finalmente quei dilemmi, a comprendere le loro sensazioni non utilizzando soltanto un anello i cui colori rivelano l’umore, ma interrogando l’animo, fino alla scelta finale in cui, forse, è racchiusa la fine e il re-inizio.
Shyamalan in tutto questo è con i suoi protagonisti, che segue con una regia ad altezza d’uomo, che a parte i totali nelle scene più pericolose, per il resto predilige quasi sempre campi ridotti (lo stesso formato dell’immagine è il più “chiuso” 1.85:1, molto amato dal regista, invece dello Scope) che accentuano sia la componente claustrofobica, che l’atmosfera da film “piccolo”, intimo, che guarda al passato per raccontare il presente. Una pellicola da affrontare ancora una volta come un atto di fiducia, senza imbarbarirsi in sterili tecnicismi per comprenderne l’essenza, la sua voce nel vento.
(The Happening)
Regia e sceneggiatura: M. Night Shyamalan
Origine: Usa, 2008
Durata: 90’
Conferenza stampa del film
Sito ufficiale italiano
Sito ufficiale americano
Pagina di Wikipedia su M. Night Shyamalan
2 commenti:
La visione della coppia sotto questo punto di vista non mi aveva sfiorato, però devo dire che è molto interessante come ipotesi. Il film a me è piaciuto parecchio, ma non parecchio come speravo.
Ottimo post.
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