"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 2 giugno 2008

Onora il padre e la madre

Andy e Hank Hanson sono due fratelli dal carattere opposto: il primo è ambizioso, deciso, ha un posto di prestigio in un’azienda immobiliare ed è sposato con la bella Gina; il secondo invece è debole, insicuro, oberato dai debiti e su di lui grava l’onere di dover pagare il mantenimento della figlia dopo il divorzio. Il bisogno di denaro però accomuna entrambi e così Andy progetta una rapina alla gioielleria di famiglia (che Hank dovrà poi portare materialmente a termine), un colpo facile e veloce. Ma poi tutto va storto: la rapina fallisce, il complice con cui Hank si è accordato muore e la madre che si trovava nel negozio finisce in coma. Il drammatico evento innesca inoltre una reazione a catena che lascia ben presto emergere tutti i contrasti e i rancori sopiti all’interno della famiglia Hanson.

83 anni, un Oscar alla carriera ricevuto nel 2005 e un nome che ormai è simbolo di un cinema capace di unire impegno civile e professionismo: cuore e tecnica, arte e mestiere. Sidney Lumet è ormai parte di un immaginario che dagli anni Settanta a oggi illumina il cinema americano più inquieto e problematico, quello che si preoccupa di far emergere il rimosso per mettere la società di fronte ai propri lati migliori (come nel garantista La parola ai giurati), ma anche alle proprie debolezze e ai fragili equilibri delle parti (come nel dimenticato A prova di errore). La sua ultima fatica è stata accolta con grande entusiasmo dagli appassionati di cinema, per come riesce ancora una volta a unire uno sguardo morale con un lavoro sulle strutture di genere. Il risultato è una tragedia a sfondo familiare, ibridata con il più classico racconto noir di una rapina, che diventa il pretesto per una radiografia dello spappolamento di una realtà dove i rapporti umani sono incancreniti e il quadro generale si rispecchia nella crisi dell’istituzione primaria della società (la famiglia).

L’aspetto al contempo sostanziale e controverso sta soprattutto nella scelta di adottare, per questo racconto così potente, una struttura narrativa a incastri che, da un lato, sembra riecheggiare i modelli più classici del genere (pensiamo a Rapina a mano armata), dall’altro i nuovi metodi di decostruzione della narrazione tradizionale portati avanti dai moderni serial televisivi (e se pensiamo che Lumet ha militato a lungo sul piccolo schermo la cosa ha perfettamente senso). Una scelta precisa, anche opinabile (una narrazione lineare non avrebbe fatto perdere alcunché alla forza della storia, tanto da rendere legittime le accuse di semplice manierismo), e che il regista sfrutta quasi per irridere i protagonisti, per isolarli e rimarcarne la prigionia in schemi egoistici. D’altronde quello che viene messo in scena è un mondo definito in modo quasi matematico, dove i ruoli sono ben codificati, le attività criminali si iscrivono pienamente nel tessuto sociale, ma avvengono in un clima di normalità in grado di allontanare gli sguardi indiscreti (i piani orditi in un bar fra una birra e l’altra, il pusher che vive in un lussuoso attico, la gioielleria in periferia) e la macchina da presa descrive traiettorie molto precise fra gli spazi di interni labirintici, dove tutto è perfettamente in ordine, fino a quando la tragedia non porta la follia a deflagrare, le pietre a essere gettate fuori dal piatto e i rapporti a rivelare la loro pochezza. Come lo stesso Andy ricorda, i numeri sono strumenti asettici, possono essere ricombinati a patto che il totale non cambi e fra gli interstizi lasciati liberi dalle loro differenti disposizioni è possibile costruire piccole realtà di profitto personale, imbrogli, tutto apparentemente pulito, tutto perfettamente logico.

Un po’ come accade con i rapporti del film, anch’essi molto chiari e definiti: padri, figli, mariti, amanti. Quello messo in scena da Lumet, a questo proposito, è un universo quasi totalmente coniugato al maschile, dove sono gli uomini ad avere il privilegio e l’onere di reggere le fila del sistema, a dover assicurare il mantenimento delle donne, quasi a rivendicarlo con forza, salvo poi rivelarsi assolutamente incapaci. Sono padri mancati, come Charles che non è stato capace di assicurare al figlio Andy l’affetto necessario, come Hank che non ha i soldi per mantenere la figlia, o come lo stesso Andy che, protettivo e “paterno” nei confronti del fratello minore è invece una delle cause scatenanti del disastro. Ecco, nello schema scientemente ordito dal film la variabile rappresentata dai sentimenti umani è quella che realmente mette in scacco il sistema rivelandone le falle, quella che spinge Gina fra le braccia di Hank per sentirsi amata e considerata e quella che incita Andy a ordire la rapina non per reale avidità, quanto per vendicarsi del disinteresse da sempre provato dal padre nei suoi confronti.

Da questo punto di vista la struttura a incastri ordita dagli autori è perfetta nel ritardare la scoperta del vero movente, del rancore sopito, e lascia che lo spettatore scopra tutto lentamente, per poi precipitarlo nella concitazione del finale con la sua affermazione di un giustizialismo di stampo antico, dove il padre deve al contempo punire il figlio ma anche affermare in questo modo il suo fallimento. Nessuna pietà, soltanto l’incedere ineluttabile della tragedia.

Gli uomini, quindi, non sono numeri e se credono di potersi permettere di posporre la morale non fanno altro che sottolineare il loro essere morti (come da titolo originale). Lumet ce lo vuole ricordare e con lui un grande cast, utilizzato al meglio dal regista attraverso un lavoro sulla fisicità degli interpreti: e per rendersene conto basta guardare la realistica scena di sesso iniziale, la credibilità di ogni lacrima, di ogni scatto d’ira, dei corpi stessi, non plastificati ma permeati da una forza viva, che è poi quella che colpisce maggiormente lo spettatore.

Onora il padre e la madre
(Before the Devil Knows You’re Dead)
Regia: Sidney Lumet
Sceneggiatura: Kelly Masterson
Origine: Usa, 2007
Durata: 117’

Intervista al produttore Michael Carenze
Sito ufficiale (in francese)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Philip Seymour Hoffman è un gigante e Lumet un maestro. Un film straordinario.
Ale55andra