Venezia 70: I film (2/4)
Night Moves,
di Kelly Reichardt (Concorso)
Uno dei film che più
hanno diviso il pubblico festivaliero: due giovani ecoterroristi,
Dena e Josh, decidono di far saltare in aria una diga a scopo
dimostrativo. Nell'attentato, però, muore un giovane che si trovava
nei dintorni, ignaro di quanto stava per accadere. Dena e Josh devono
quindi fare i conti con le proprie coscienze, in una dinamica molto
tesa fra la fermezza imposta dalla mente e i valori dettati dal
cuore, mentre nuovi sentimenti e inedite paure vengono a galla. Una
sorta di confronto diretto fra la dimensione ideale e la concretezza
del vero, che Kelly Reichardt scandisce attraverso un tono quasi
sempre ipnotico e un'estetica dapprima più definita nei luoghi
attraversati dai ragazzi (la strada, i boschi, il lago), e poi
trasfigurata in un'ottica sempre più oscura, a metà strada fra un
noir e un vero e proprio horror gotico. Alla fine è proprio il
quadro sempre meno definito a tarare i ritmi e i toni, mentre i
personaggi restano sfumati e volutamente ambigui, con un utilizzo
molto interessante dei corpi attoriali. Dena è l'ex bambina prodigio
Dakota Fanning, mentre Josh è un sorprendente Jesse Eisenberg,
introverso, inquietante e abbastanza lontano dal consueto stereotipo
del “nerd” logorroico: entrambi fragili e in equilibrio su
sentimenti contrapposti, finiscono con la loro fisicità per
aggiungere sostanza a un film narrativamente tutto in levare. Il
titolo si riferisce alla barca che i ragazzi imbottiscono d'esplosivo
per compiere l'attentato, ma può anche rimandare a un classico brano musicale di Bob Seger che racconta proprio l'incontro di
due adolescenti che “si usano” a vicenda. Ne emerge un ritratto
che, pur non giudicando direttamente le azioni dei protagonisti,
suscita naturalmente una forte amarezza e un senso di perdita dei
punti di riferimento.
Joe, di
David Gordon Green (Concorso)
Sia Kelly Reichardt che
David Gordon Green sono due fra i nomi più interessanti del panorama
indipendente americano contemporaneo ed è interessante notare come,
pur raccontando storie diverse, affrontino in senso lato l'esperienza
del crescere in giovani protagonisti alle prese con le difficoltà
del mondo. Nel caso di Joe, il giovane Gary vive con un padre
ubriacone e cerca di farsi carico della famiglia, lavorando per Joe,
un individuo burbero e solitario. Ben presto fra i due nasce una
solidarietà che si rivela reciprocamente costruttiva: Gary trova
infatti nell'uomo un riferimento che lo aiuti a far fronte alle
amarezze e alle difficoltà della vita, mentre Joe avverte nel
rapporto con il ragazzo quel qualcosa che sembrava mancargli e che
potrebbe veicolare in un senso nuovo la rabbia che serpeggia lungo
tutte le sue giornate. Un esempio di cinema americano molto classico
nell'impostazione, con un rapporto transgenerazionale che fa
giustamente venire in mente Gran Torino: laddove Eastwood
cerca comunque di raccontare la costruzione di un possibile spazio
comune in cui i personaggi possano coesistere, al contrario Joe
sembra invece testimoniare la difficoltà delle figure di agire nello
stesso perimetro. Il tono è infatti ondivago, e resta sempre a metà fra la rabbia
rabbia repressa dall'adulto e la voglia di affrancarsi dalla
negatività del ragazzo, e più dei gesti concreti (che spesso si
risolvono in colpi, ferite e rotture – persino la costruttiva
azione di lavoro consiste nell'avvelenare degli alberi) spicca una
solidarietà silenziosa. Alla fine, pur nella progressione molto
lineare, si aprono margini di interpretazione e i ruoli così
definiti appaiono un po' più sfumati. Non memorabile, ma
interessante, con un Nicolas Cage abbastanza inedito e che testimonia
la sua voglia di affrontare registri sempre diversi (forse un po'
troppo giovane per il ruolo, però).
Las ninas Quispe,
di Sebastian Sepulveda (Settimana della Critica)
Il Cile continua a fare i
conti con il suo tragico passato, complice anche l'influenza del
produttore Pablo Larrain. Il film di Sebastian Sepulveda, però, opta
per una prospettiva inedita, raccontando un fatto ispirato a eventi
reali: è il 1974 e nelle montagne del Cile vivono le sorelle Quispe,
che conducono una vita semplice, coltivando la terra e allevando
pecore. Lentamente, però, vengono raggiunte dalle voci del
cambiamento che si è instaurato nel paese e di un regime che presto
arriverà anche da loro a esigere il suo tributo di controllo totale.
Questo avviene attraverso vari “si dice”, ma soprattutto con la
consapevolezza che le (poche) persone di quei monti stanno lentamente
sparendo, allontanandosi come per fuggire da un male incombente o
forse perché stanno repentinamente soccombendo allo stesso. Il
dramma del golpe raccontato attraverso un perenne fuoricampo che però
influisce sugli angoli più dimenticati del paese è al centro di un
racconto con ritmi quasi trasognati, dove la catastrofe si insinua in
maniera lenta ma inesorabile sottopelle e spinge dei personaggi che
hanno fatto del rapporto con la loro terra l'elemento qualificante
delle proprie vite, a compiere scelte difficili e dolorose, fino a un
finale decisamente non consolatorio. Un film che, insomma, trasfigura
il modo con cui il Cile ha introiettato il dolore, il senso dello
smarrimento e della sparizione attraverso il paradosso di un racconto
che fa luce su una vicenda dimenticata, ma è tutto basato su
elementi quasi impalpabili. L'orrore non si manifesta in maniera
improvvisa, ma è quello della normalità e della decadenza insita nella lentezza del quotidiano. Un piccolo e
prezioso gioiello.
1 commento:
Mi hai messo ancora più voglia di vedere "Joe", speriamo che in italia arrivi presto :-)
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