Venezia 70: i film (1/4)
Poiché il materiale da
recensire è molto, una doverosa premessa: ci saranno quattro
aggiornamenti, ciascuno dei quali conterrà tre recensioni brevi.
Questi appuntamenti saranno poi accompagnati anche da recensioni
lunghe di alcuni titoli su cui è necessario fare degli
approfondimenti (coerentemente anche con i percorsi in atto nel
blog). Titoli come Kaze tachinu di Hayao Miyazaki, Capitan
Harlock di Shinji Aramaki e Gravity di Alfonso Cuaron
verranno invece ripresi al momento della loro uscita nelle sale
italiane. Buona lettura!
Gerontophilia,
di Bruce LaBruce (Giornate degli Autori)
Artista underground
per antonomasia, Bruce LaBruce ha ottenuto un certo riscontro in
Italia con l'uscita del bizzarro L.A. Zombie, dove uno zannuto
e muscoloso “living dead” (l'ottimo Francois Sagat) rianimava i
cadaveri con il suo sperma, all'interno di una messinscena
volutamente psichedelica e sgangherata. Il nuovo Gerontophilia
segna un cambio di passo formale: la struttura è infatti più
lineare e il progetto si iscrive in un tentativo del regista di
incanalare le proprie pulsioni all'interno di un circuito più
mainstream. Nessun tradimento dei propri trascorsi, però,
perché la storia di Lake - un ragazzo gerontofilo, che trova
finalmente il suo Eden quando viene assunto in una clinica per
anziani - rappresenta una perfetta evoluzione del citato L.A.
Zombie: la caducità del corpo e la pulsione sessuale
rivitalizzante è infatti ancora il fulcro della narrazione, e si
sublima nell'aspetto minuto di Lake (contrapposto alla fisicità
debordante e muscolosa del sopracitato Francois Sagat), che tara il
tono del racconto. Diventa quindi coerente il passaggio dal trash
sfrenato dell'altra pellicola a un mix di ironia e delicatezza, con
un sapore malinconico e struggente nel raccontare questo amore
impossibile. La prima volta di Lake, carica di aspettative e pulsioni
che finalmente si esprimono, si sovrappone quindi all'ultima
occasione di felicità per l'anziano mr. Peabody, che torna
letteralmente alla vita, fuggendo all'immobilismo in cui era
confinato nella clinica. Gli dà voce e corpo uno strepitoso Walter
Borden, autentico gioiello della pellicola. Definito dal regista una sorta di Harold e Maude in versione gay, Gerontophilia è un film di grande
umanità, con cui LaBruce dimostra la sua versatilità e una grande
qualità d'autore. Premiato con il Queer Award.
Jigoku de naze
Warui/Why Don't You Play in Hell?, di Sion Sono (Orizzonti)
Avevamo lasciato Sion
Sono con Land of Hope (visto al Torino Film Festival), una sorta di grido di
dolore espresso dall'autore per il dramma di Fukushima, fatto di
ritmi dilatati e messinscena naturalistica: un film che aveva fatto
sorgere qualche dubbio circa un possibile cambio di passo del regista
rispetto agli eccessi degli esordi. Come a voler esorcizzare queste
paure e rassicurare i fans, però, la nuova pellicola ci riconsegna
un autore sfrenato e esaltante, che ama il cinema in quanto gioco e
puro piacere della messinscena. Un gruppo di giovani cineasti, armati
di pochi mezzi e tantissimo entusiasmo, aspetta l'occasione giusta
per sfondare: questa arriva dopo alcuni anni, ma in una forma
decisamente bizzarra. Un loro coetaneo è stato infatti accusato di
aver rapito la figlia di un boss della yakuza e, per scagionarsi, ha
raccontato di essere un regista cinematografico, disposto a filmare
lo scontro che il boss (il mitico Jun Kunimura) sta per avere con un suo storico rivale.
Toccherà ai nostri eroi sbrogliare la matassa girando finalmente il
film della vita! Sono trasfigura l'immaginario degli yakuza eiga
della Toei attraverso la prospettiva citazionista offerta dal
Tarantino di Kill Bill: tutta la parte finale è infatti una
parafrasi della lotta alla Casa delle Foglie blu vista nel capolavoro
del collega americano, in un tripudio di arti mozzati, colpi di
katana, kung fu e pistolettate. Ma, accanto all'omaggio cinefilo e al
divertimento puro, l'autore racconta ancora una volta i sogni di
personaggi incapaci di uscire dal proprio immobilismo, che forse solo
nella finzione scenica potranno trovare la chiave per la felicità.
Un film liberatorio, per folli e per sognatori.
Die
Frau des Polizisten/The Police Officer's Wife, di Philip
Groening (Concorso)
59 capitoli, spesso
brevissimi e quasi fuggevoli, spalmati lungo tre ore di durata, per
raccontare la quotidianità di una famiglia apparentemente felice:
lui (Uwe), lei (Christine), la loro figlioletta (Clara). Ma,
lentamente, attraverso le pieghe di un racconto non lineare e
apparentemente ostico e freddo, emergono gli abusi di Uwe sulla
moglie. Scatti d'ira feroci, spesso immotivati e forse dovuti
all'alienazione provocata dal lavoro in polizia, poche scene che
testimoniano realmente la violenza, cui si preferisce l'alternanza di
momenti felici e apparentemente avulsi dal tema, con scene più
dirette in cui Christine esibisce la sua pelle martoriata dai lividi.
La rigida scansione in parti (con tanto di cartello iniziale e finale
a marcare i confini di ogni capitolo) è allo stesso tempo ciò che
permette alla storia di apparire in tutta la sua evidente
problematicità, ma anche lo strumento che serve a Philip Groening
(già autore de Il grande silenzio) per trasfigurare il tutto
in una dimensione più esistenziale, creando una sorta di distanza,
mai priva comunque di una sua delicatezza e di un certo lirismo (la
volpe che attraversa le strade semivuote, i fiori coltivati sotto le
mattonelle del cortile). Finale aperto a interpretazioni, con quelle
che sembrano tre possibili chiuse, affinché lo spettatore scelga la
propria. Un cinema radicale, ma molto intrigante per come riesce a
suscitare la riflessione, pur all'interno di una messinscena di
grande rigore formale, di chiara matrice mitteleuropea. Premio
speciale della Giuria.
UPDATE: uscito nei cinema italiani il 25 Novembre 2013 con il titolo La moglie del poliziotto.
UPDATE: uscito nei cinema italiani il 25 Novembre 2013 con il titolo La moglie del poliziotto.
Collegati:
Nessun commento:
Posta un commento