Moebius
Padre, madre e figlio.
Il primo tradisce la seconda con un'amante: lei prova a evirarlo, ma,
non riuscendoci, sfoga la sua rabbia sul figlio, per poi fuggire. Il
padre, disperato, si fa asportare chirurgicamente il pene per donarlo al figlio, ma i trapianti dei genitali sono ancora in una fase
rischiosa e embrionale. Una soluzione arriva attraverso la scoperta
che è possibile raggiungere l'orgasmo attraverso il dolore inflitto
alla carne. Nel frattempo, rimasto privo della sua virilità, il
ragazzo è fatto oggetto di scherno da una banda di bulli, suscita
l'attrazione dell'amante del padre e finisce in galera perché
coinvolto nello stupro della donna da parte di alcuni teppisti.
Infine viene liberato e condivide con il padre la scoperta del
piacere procurato dal dolore. Tutto sembra tornare alla normalità
quando il padre trova il medico giusto per l'agognato trapianto, ma
una volta dotato del nuovo organo, il ragazzo non riesce ad avere
un'erezione. A sorpresa la madre torna a casa e un suo tocco sembra
ridestare la virilità perduta del giovane...
Cos'è la famiglia?
Cos'è il desiderio?
Cosa sono i genitali?
Famiglia, desiderio e
genitali sono un tutt'uno fin dal principio.
Io sono il padre, la
madre è me, e la madre è il padre.
All'origine nasciamo
nel desiderio e ci riproduciamo nel desiderio.
Così siamo collegati
in un'unica entità, come il nastro di Moebius,
e pertanato io
invidio, odio e amo me stesso.
(Kim Ki-Duk, dal
pressbook del film)
Contestato in patria da
una censura che ha costretto al taglio di qualche scena, il nuovo
film di Kim Ki-Duk sembra proprio esorcizzare a priori il senso della
perdita umana, fisica e artistica che ha successivamente pervaso il
suo autore, in rapporto a questa nuova pellicola: il vincolo di causa
e effetto, di desiderio e proibizione che il film manifesta trova
così un suo riscontro nel mondo “di fuori”, ampliando il sistema
dei collegamenti posto in essere dalla storia. Gli opposti sono
collegati: i genitori che danno la vita sono anche quelli che
provocano la disfatta del loro figlio, proiettando su di lui le
proprie frustrazioni (e, di conseguenza, la loro potestà diventa
anche una subalternità); l'atto violento dell'evirazione è
provocato dalla stessa madre che poi ridarà al ragazzo la virilità
perduta; la violazione della carne provoca un dolore che,
somministrato in dose continuativa, permette il raggiungimento
dell'orgasmo e quindi l'acme del piacere; e l'amante che provoca il
disfacimento del nucleo familiare è una figura contigua a un sistema
di relazioni che legano i personaggi tra loro e con il mondo esterno
– l'attrice Lee Eun-woo, peraltro, interpreta entrambi i ruoli, la
moglie e l'amante, giusto per rimarcare ancora di più il sistema
delle sovrapposizioni e delle identità.
Agisce dunque sui sistemi fondativi della società contemporanea (la famiglia in
particolare) questo Moebius, e si affranca pure dalla facile
trattazione freudiana della sessualità attraverso un approccio
stratificato al tema, che investe tanto lo stile, quanto i
significati: così, i tormenti del giovane protagonista sulla propria
virilità, da un lato possono riflettere quel sapore per la violazione
della carne che già altre volte avevamo trovato in Kim Ki-Duk: il
riferimento primario è a L'isola, con gli amanti che si
prendono all'amo, provocandosi lacerazioni interne e facendo così
coincidere la sfera dell'amore e del piacere con quella della
sofferenza e del dolore. Sono dinamiche che tarano certamente il
racconto su una direttrice che è drammatica, e suscita, per empatia,
il dolore nello spettatore (soprattutto quello maschile).
Ma, preso alla giusta
distanza, il film si palesa anche per essere estremamente ironico e
sopra le righe (pensiamo alla scena del pene maciullato dalle ruote
di un camion), tanto da esibirsi attraverso toni da fumetto. Lo stile
è da guerrilla filmmaking, con perenne camera a mano, ritmo
sostenutissimo e protagonisti che si agitano, urlano, si picchiano,
si martoriano le carni, cercando di affrancarsi da una miseria cui si
sono giocoforza condannati. Kim è bravissimo nel rendere l'idea di
un film estremamente caotico pur nell'assoluta assenza di dialoghi:
si crea in questo modo una sorta di intervallo fra ciò che realmente
accade e ciò che lo spettatore percepisce, tanto che la fisicità
estrema della vicenda (esaltata da una fotografia dai toni
naturalistici negli esterni) non riesce a cancellare l'impressione di
una storia i cui segni tendono
all'astrattismo (e negli interni spesso la fotografia “spara” i
rossi, gli arancio o i blu, creando una qualità onirica e
espressionista).
Lo sguardo è insomma
satirico, mira esplicitamente a sabotare un ordine costituito e si
lega a doppio filo a quella tensione metafisica che attraversa pure
tanta produzione del cinema di Kim Ki-Duk (e che ha al momento i suoi
più evidenti riferimenti in Primavera, estate, autunno inverno...
e ancora primavera e Ferro 3). Non a caso l'evirazione
avviene con un pugnale nascosto sotto un Buddha e il figlio prega
nottetempo un'immagine sacra, tanto da far sorgere l'idea che la
sessualità tanto ironicamente sbeffeggiata dall'autore altro non sia
che l'espressione di una distanza che esiste fra la tensione umana a
cedere alle lusinghe del materialismo e l'approdo finale a una
dimensione più spirituale. Si presti infatti attenzione a come,
nonostante tutte le angherie subite, il personaggio del figlio
mantenga sempre un'espressione imperturbabile, quasi neutra,
destinata a sciogliersi soltanto nel sorriso finale che segna il suo
passaggio da una dimensione di subalternità (alla madre, al padre,
ai bulli, alla sessualità) a quella di un'acquisita serenità e
maturità, quella della sfera spirituale.
Non è da tutti insomma
giocare con tanta iconoclastia, provocare in maniera tanto esplicita,
chiamare in causa temi tabù come l'incesto, per poi veicolare
sottotraccia riflessioni così alte, all'interno di una ricerca stilistica
che ci consegna un autore sempre pronto a rimettersi in gioco: Kim
Ki-Duk si conferma ancora una volta uno dei maggiori registi sulla
scena, uno che sa amare e plasmare il cinema con grande piacere, ma
sempre per esprimere pulsioni profondamente personali, tanto che ogni
opera è ancora una sorpresa e una gioia, per gli occhi e per la
mente.
La distribuzione italiana
è curata da Movies Inspired. La stesura di questa recensione si basa
sulla versione integrale vista in esclusiva alla Mostra di Venezia:
stando a quanto comunica il distributore, questa versione è stata
ritirata dopo le proiezioni veneziane e per l'uscita nelle sale (e in
home video) si fa e si farà riferimento soltanto al montaggio
internazionale derubricato, più corto di 2 minuti.
Moebius
(id.)
Regia e sceneggiatura:
Kim Ki-Duk
Origine: Corea del
Sud, 2013
Durata: 91'
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