Lecce: non chiamatelo
(più) festival “in crescita”
Si è conclusa, come
previsto, sabato 13 aprile l'annuale edizione del Festival del Cinema
Europeo, con un ottimo successo di presenze e un interesse degli
addetti ai lavori molto più ampio che in passato: sembra proprio che
Alberto La Monica e i suoi collaboratori siano riusciti a coniare una
formula vincente, capace di tenere insieme amministratori locali,
stampa e, soprattutto, pubblico. Ecco, soffermiamoci un momento
proprio su di lui: il pubblico. Un insieme variegato, trasversale
rispetto alle età, capace di riempire le sale per un film di Aki
Kaurismaki, così come per gli eventi più o meno legati alla realtà
locale - basti pensare al documentario su Pietro Mennea, diretto da
Sergio Basso, e diventato anche un'occasione per affrontare il
difficile rapporto tra meridione e settentrione d'Italia.
Onore al merito, quindi,
perché di questi tempi così caotici e pregni di sprezzo per la
cultura, l'idea di un festival fortunato e anche tendenzialmente
lontano dalle lusinghe della più facile contemporaneità non è cosa
da poco. Sarebbe ora tempo di abbandonare, quindi, le patenti di
manifestazione “in crescita”, che lasciano sempre in bocca un
certo sapore di snobismo, per dare alla manifestazione salentina
quello che finalmente le spetta, ovvero un posto di primo piano fra
gli appuntamenti culturali del meridione e, perché no, dell'Italia
tutta: non tanto perché con quattordici edizioni ormai archiviate
quel termine “in crescita” finisce per risultare un po' stonato,
quanto perché l'impressione è quella ormai di un percorso solido,
che può pertanto permettersi anche di essere considerato maturo.
In effetti, il bilancio
dell'edizione 2013 è arricchito dalla grande varietà dell'offerta,
che – pur mantenendo dritta la barra della ricerca di un cinema di
qualità e fuori dagli schemi delle canoniche proposte da multisala –
quest'anno ha dato la sensazione di voler intercettare target
abbastanza diversificati tra loro. Il corpo iconico è dunque quello
di Francesca Neri, attrice carnale eppure eterea a sfuggente, a cavallo tra varie cinematografie, il cui
curriculum si snoda fra Italia, Spagna e America: anche qui,
fermiamoci un attimo a pensare. Di certo nessuno, di fronte a un nome
come quello della Neri, penserebbe mai a una gloria internazionale
come potrebbe essere, ad esempio, una Sophia Loren o un Roberto
Benigni. Eppure delle collaborazioni importanti dell'attrice si è
già riferito nel pezzo di presentazione del festival. L'appuntamento
leccese in fondo è proprio come lei: mantiene una specifica qualità
regionale e particolare, ma è allo stesso tempo uno spazio
senza confini, che finisce naturalmente per abbracciare realtà anche
molto distanti.
Come a testimoniare
questa volontà di andare oltre, basta notare l'interesse per
le cinematografie mediorientali (l'inedita Settimana del cinema
israeliano), che tracciano una “cartografia” cinematografica
destinata ad allungarsi fino al cinema nordico di Aki Kaurismaki:
presenza fantastica, quella del cineasta finlandese, anch'esso corpo
iconico con tutto il suo apparato fatto di figure noir, sigarette che
“rendono l'espressione dell'attore più interessante”, alcool che
scorre a fiumi. Apparentemente anch'egli è espressione di un segno
tangibile, concreto e definito, così come evidenti sono gli elementi
autoriali del suo cinema, fatto di auto, volti che si ripropongono
precisamente, rocker dagli improbabili ciuffi a banana. Eppure poi,
quando lo vedi lì, sul palco, intento a recitare il suo
“personaggio” del regista burbero e pronto a smitizzare ogni
discorso con battute sferzanti, ti rendi conto che c'è una tensione
nei suoi modi che è la stessa che serpeggia sottotraccia in ogni
film: il sogno di un mondo differente e migliore, come quello
perseguito con calma risolutezza dai magnifici personaggi del suo
Nuvole in viaggio. Perciò, il pessimismo cosmico che
l'autore profonde a piene mani, dicendoci convinto che l'uomo
veleggia spiegato verso l'autodistruzione, nasconde in realtà una
profonda sensibilità e capacità di guardare la realtà.
Ecco, per tutto questo il
Festival del Cinema Europeo è ormai una certezza consolidata ma in
perenne divenire, un laboratorio con cui è sempre piacevole
confrontarsi. Certo, alcuni aspetti devono ancora essere limati: nel
2013 non è pensabile proporre alcuni film delle rassegne in versione
non sottotitolata, così come l'idea di insistere con la scellerata
abitudine dei posti numerati. Ma nel complesso c'è sempre di che
divertirsi!
Concludo con una nota sul
Concorso Lungometraggi, da sempre fucina di ottime pellicole, che
anche quest'anno ha dimostrato il suo sguardo curioso e attento ai
“mali del vivere” questo specifico momento storico. La pellicola
più rappresentativa, a parere di chi scrive, è il russo Living, di Dalibor Matanic, purtroppo ignorato dai premi finali: un lirico dramma su amore e morte in
cui i corpi dei morti e quelli dei vivi coesistono in uno spazio che
è allo stesso tempo reale e mentale. Ci sarà tempo e modo di scriverne altrove. Per questo, qui in calce, sono proposti anche i
link agli altri articoli sulla manifestazione che sto realizzando
per altre riviste. Per il resto, ci si rivede a Lecce l'anno
prossimo!
da Sentieri Selvaggi:
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