Torino 30+1
Torino, con quell'aria un
po' malinconica da noir francese, riesce sempre a sorprenderti, per
il fermento che manifesta e per come vive intensamente il “suo”
festival, esponendone le insegne in ogni dove: sui marciapiedi, nelle
vetrine, nelle biglietterie edificate alla bisogna fra le insenature
dei palazzi... una città che sembra essa stessa un'enorme vetrina,
che vive mentre si esibisce e che, per questo, sembra aver trovato un
perfetto equilibrio fra il porgere il proprio “prodotto” e
l'assaporarlo essa stessa per prima. L'apparenza a volte può essere
sostanza e a confermarlo arrivano i film, accolti da una mole di
pubblico decisamente impressionante, anche superiore al consueto
(almeno per ciò che riguarda il primo giorno di proiezioni).
Sono tre le pellicole
visionate oggi, tutte incentrate su gesti che cercano di andare al di
là del loro valore intrinseco, per creare risonanze o per fornire l'approdo a un percorso umano e professionale. Si
parte con il compianto Koji Wakamatsu e il suo 11.25 Jiketsu no
Hi, Mishima Yukio no Wakamonotachi (The Day Mishima Chose His
Fate), ritratto di Yukio
Mishima, il romanziere giapponese che nel
1970 occupò il Ministero della Difesa per convincere le forze armate
a seguirlo nella sua crociata nazionalista: il suo intento era
infatti spingere la Dieta a emendare la Costituzione per ripristinare
lo status “divino” dell'Imperatore (cancellato dopo la disfatta
della Seconda Guerra Mondiale). Wakamatsu aderisce alla visione di
Mishima, non tanto perché ne condivida necessariamente l'ideologia,
quanto perché tenta di restituire il valore della fede in un gesto
che sia “sufficiente in sé” e costituisca perciò un fine da
perseguire con orgoglio e con la volontà di migliorare il Paese. Ma
proprio questa adesione superficiale rende la materia poco densa e
non aiuta nemmeno una messinscena piatta e didascalica nella sua
verbosità.
All'opposto, dalla
Francia, si pone il monsieur Oscar di Holy Motors, con i suoi
vari appuntamenti di lavoro che continuano a motivarlo per la
“bellezza dei gesti”: possono essere di vario tipo, acrobatici
(in una coreografia eseguita per la motion capture), violenti (quando
portano all'omicidio) o brutali, quando l'attore (Denis Lavant) torna
a interpretare il personaggio di monsieur Merde, già visto in Tokyo!
(del 2008), che azzanna e divora tutto ciò che incontra, seminando il
panico tra la gente, mentre le sue gesta sono accompagnate
dall'inconfondibile colonna sonora di Godzilla,
composta da Akira Ifukube. Il viaggio di Monsieur Oscar
attraverso Parigi sembra quasi un geniale rovesciamento del
Cosmopolis di David Cronenberg: tanto l'autore canadese
racchiude tutto il mondo del suo protagonista nell'abitacolo della
limousine, tanto Leos Carax spinge invece il suo attore a uscire ogni
volta dalla stessa vettura sotto spoglie sempre diverse, vivendo il
mondo da prospettive nuove. Un'opera composita, che è un inno alla
creatività, ma anche una malinconica elegia della finzione che
reifica un mondo dove l'umanità sembra giocarsi le sue ultime
chance. Visivamente molto vario e affascinante, il film di Leos Carax
era fra i più attesi del festival e non ha deluso le aspettative.
Il gesto forse più
concreto è però quello di chi verga la sua scelta sulla scheda
referendaria, come accade in NO, di Pablo Larrain, che rievoca
il 1988 del voto destinato
a far cadere la sanguinaria dittatura cilena
di Pinochet. Per farlo, Larrain racconta la storia di René Saveedra,
il pubblicitario che ideò la campagna per il NO, incentrata su
messaggi positivi che inneggiavano all'allegria, totalmente
spiazzanti per la sua stessa fazione, interessata invece a mettere il
dito nella piaga dei rastrellamenti e delle repressioni perpetrate
dal regime dopo il Colpo di stato del 1973. Il che ci riporta al
Mishima di Wakamatsu: tanto quello è rigido e didascalico, tanto
l'opera di Larrain è al contrario mimetica (per come simula
l'estetica della tv anni Ottanta) e magmatica nei sentimenti
contrastanti che mette in campo. Il regista, infatti, non tace nulla,
neppure i dubbi che lacerano la fazione del NO e fornisce un ritratto
umano che è anche storico, dove l'allegria del messaggio trova un
contraltare efficacissimo nell'espressione dolente del protagonista
Gael Garcia Bernal.
Tutte e tre le pellicole
rientrano nella sezione Torino XXX, dedicata ad alcuni dei
registi che il festival ha lanciato e che hanno fatto grande la sua
storia, in un gioco di scambi (e di gesti) reciproci molto fecondo:
il miglior biglietto da visita per l'edizione 2012 e il più valido
bilancio del lavoro svolto finora.
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