Torino 30+3
Si riparte dall'Asia e
precisamente dalla Corea del Sud, che sforna un altro gangster movie,
Beom-Joi-Wa-Eui Jeon-Jaeng/Nameless Gangster: Rules of
Time (sezione Festa Mobile), accolto in patria come un degno epigono dei Bravi
ragazzi scorsesiani: merito del protagonista, il sempre immenso
Choi Min-Sik (Old Boy, I Saw the Devil) che, al pari del
Ray Liotta d'annata, non ci pensa due volte quando si tratta di
tradire parenti e amici per farla franca. Ma qui si va anche oltre:
il personaggio di Choi è un vigilante che riesce a entrare
nel giro della malavita “che conta” sfruttando i suoi legami con un'antica famiglia coreana, ma cambia poi bandiera alla bisogna, dimostrandosi un individuo meschino e pusillanime. Il grandissimo attore aggiunge così un altro personaggio magnificamente sfatto e ripugnante alla sua carriera, mentre il regista Joong Bin-Yoon si dimostra molto lucido nel suo j'accuse: nella sua visione storica e sociale, infatti, i legami di sangue (su cui nominalmente si fondano queste associazioni malavitose) non sono altro che
un vuoto cascame di convenzioni prive di qualsivoglia logica e
sostanza, al punto che riescono a spianare la strada a un individuo
tanto assetato di potere quanto privo di scrupoli.
La famiglia diventa
pertanto il filo conduttore delle pellicole visionate oggi.
Dall'America arriva quindi Arthur Newman (in Concorso), su un eponimo
protagonista (Colin Firth) che cerca di rifarsi una vita cambiando
identità e abbandonando la moglie e il figlio. Durante il suo
viaggio conosce e si innamora di Mike (la bella Emily Blunt), anche
lei in fuga dagli affetti e "nascosta" dietro un nuovo nome. Per un po' i due si
divertono ad assumere varie identità e a vivere fugaci avventure
amorose, perpetrando una felice illusione, poi la realtà arriva a
presentare il conto. Tutto come da prassi per questi tipici racconti
di fuga dal proprio microcosmo, ma nell'insieme il film si lascia
seguire, grazie alla sensibilità con cui il regista Dante Ariola
empatizza con i personaggi: prendere o lasciare.
Si fa decisamente più
sul serio con l'ultima opera di Sion Sono: Kibo no Kuni/The
Land of Hope (Rapporto Confidenziale), con cui l'autore giapponese rielabora il dramma di
Fukushima. Una famiglia viene infatti divisa dal disastro di una
centrale nucleare. I genitori anziani decidono di restare nella loro
casa situata ai margini della zona contaminata. Il figlio, invece,
viene spinto ad andare via con la moglie, incinta del primo erede e
che per questo sviluppa una fobia che la spinge a indossare camici
sterili e a rendere asettica la sua stanza. Ossessioni e legami
affettivi, tutto in puro stile Sion Sono, che stavolta si tiene sotto
controllo, mostrando un inedito pudore e rispetto per un dramma che,
seppur rielaborato in chiave personale, ammicca chiaramente a
dinamiche che ormai avverte come universali. Forse anche per questo
il racconto è un po' prolisso, come se avesse paura di lasciare per
strada qualche possibile implicazione, ma il percorso dell'autore
resta comunque coerente e ammirevole.
Finale in gloria con un
classico che non ha bisogno di presentazioni, Viaggio in Italia,
di Roberto Rossellini (anche questo in Festa Mobile), debitamente restaurato, che suggella la crisi
della coppia raccontando la trasferta napoletana di una famiglia
londinese incapace di comunicare. Alla luce dei paragoni con i film
precedenti, l'opera di Rossellini si staglia ancora di più come una
delle più moderne partorite dall'autore. La copia vista a Torino è
quella non doppiata, con Ingrid Bergman e George Sanders in presa
diretta, che ristabilisce così il senso di alterità degli inglesi
rispetto al contesto partenopeo. Impossibile chiedere di più.
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