Torino 30+5
Scende la pioggia su
Torino e l'atmosfera si fa seria: potrebbe apparire un paradosso dopo
il lunedì delle visioni oscure, ma in questo caso la “serietà”
cui si fa accenno è quella del cinema che guarda al reale e orienta
la sua attenzione sui problemi della società o della Storia (quella
rigorosamente con la maiuscola). Per carità, niente di cui
spaventarsi perché, come si potrà notare, al solito la ricetta è
ricca di ingredienti.
L'inizio è infatti
affidato a K-11, di Jules Stewart, ex montatrice ipertatuata
che balza agli onori della cronaca soprattutto per essere la mamma di
Kristen, l'eroina di Twilight. Ma le atmosfere del suo film
non potrebbero essere più distanti da quelle di Edward e Bella:
l'ambientazione è infatti un anomalo braccio di detenzione
carceraria, dove vengono stipati drogati, transessuali e pedofili.
L'accostamento delle figure è politically incorrect e in effetti si
capisce subito che la Stewart vuole giocare con i cliché, inseguendo
modelli “alti” come John Waters o Russ Meyer, al punto che la
“regina” di questo “girone infernale” è una novella Tura
Satana (un'incredibile performance di trasformismo da parte
dell'attrice messicana Kate del Castillo). La ricetta è talmente
bizzarra da essere affascinante, ma il finale “buonista” finisce
naturalmente per scontentare i cinefili più incalliti.
A spostarsi poi
nell'altro titolo della sezione Rapporto Confidenziale si rischia di
andare fuori percorso: cosa potrà mai avere di realista un film come
Shopping Tour (di Mikhail Brashinsky), in cui una madre russa
e il figlio adolescente si ritrovano in balia di finlandesi decisi a
sbranarli dopo aver attraversato il confine? E' presto detto: il film
insegue il filone del “Point of View Cinema” e viene narrato
attraverso i filmati amatoriali che il giovane realizza dal suo
telefono cellulare. Una sorta di REC “in movimento”, che
ha il pregio di divertirsi a mettere in scena una situazione
paradossale e volutamente autoparodistica, ma attraverso uno stile e
un tono serissimi. Ecco dunque che i finlandesi sbranano gli
stranieri in ossequio a una... antica tradizione culturale (!). E così,
anche qui il gioco sui cliché è servito. Un film simpatico, ma che
praticamente è monco di un finale (meglio avvisare per tempo gli
spettatori che potrebbero restare delusi).
Nessuna possibilità di
mancare l'obiettivo, invece, con il film in concorso Az do mesta
As/Made in Ash, che è addirittura il rappresentate per l'Oscar della Cecoslovacchia ed è
diretto dalla giovane Iveta Grofova: è la storia, indubbiamente
drammatica e seria, di una ragazza slovacca inviata dai genitori
nella Repubblica Ceca per trovarsi un lavoro. Ma l'occupazione sfuma
in fretta e le strade che si aprono per la malcapitata sono la
prostituzione o magari accettare l'offerta di un tedesco che la
vorrebbe portar via in Germania. Una proposta fragile (l'uomo è
sposato), che si scontra con i sogni traditi di una giovane che
attende l'ex fidanzato dalla Slovacchia. Il racconto è dolente, ma
ha il pregio di cercare un interessante punto di incontro fra una
trattazione documentaristica della situazione e una tensione
espressionista che lavora sull'inquadratura, con uso lirico del fuori fuoco e fugaci sequenze
animate che elaborano il passaggio dalla dimensione ideale in cui la
protagonista è immersa a un mondo reale pieno di trappole.
Infine la pellicola più
controversa del lotto, il francese Le fils de l'autre, di
Lorraine Levy (Festa Mobile): due famiglie, una ebraica e una palestinese, scoprono
che i loro figli (ora adolescenti) sono stati scambiati nella culla.
La situazione, già complessa di per sé, è naturalmente aggravata
dai celeberrimi problemi che uniscono e dividono Israele e Palestina
e che costringono i due ragazzi a fare i conti non solo con la
propria identità, ma anche con le differenti opportunità offerte
dalle rispettive condizioni. Come da prassi, il cinema francese si
dimostra narrativamente empatico con il dramma dei personaggi,
delicato in molti passaggi e cerca di far sì che lo spettatore si
senta un tutt'uno con figure lacerate e in cerca di un punto
d'equilibrio. La materia però è talmente incandescente che la
reticenza con cui la storia evita di andare a fondo nelle
implicazioni enormi portate dal dramma finisce per rendere il film
esemplificativo (soprattutto nella seconda parte) e ne smorza molte
buone intenzioni. La vicenda ha comunque il merito di fare luce su un
problema irrisolto, riletto in chiave non tanto storica quanto umana
e “intima”, lasciando sullo sfondo le figure che rappresentano
l'autorità (uno dei due ragazzi è figlio di un colonnello
dell'esercito israeliano). E infatti i riconoscimenti internazionali
non stanno mancando: il pubblico italiano potrà comunque giudicare
con i suoi occhi fra un paio di mesi, quando la pellicola sarà
distribuita nelle nostre sale.
1 commento:
azz, no sapevo che la Stewart avesse una mamma nel cinema, pergiunta tatuata e che fa film tosti...
Poveretta immagino l'imbarazzo che provi nel vedere sua figlia recitare in Twilight :-/
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