The Naked Bunyip
Un ricercatore timido
e impacciato viene incaricato dalla sua società di compiere
un'indagine sul sesso nella società australiana contemporanea. Non
sapendo bene come destreggiarsi di fronte a un tema così complesso,
l'uomo passa in rassegna gente comune, luoghi di divertimento, ma
anche ragazze madri, coppie omosessuali, artisti del nudo,
pubblicitari, raccogliendo informazioni eterogenee che descrivono il
complesso quadro di una società in trasformazione.
Se vogliamo tracciare un
punto d'origine dell'Ozploitation classica, The Naked Bunyip è
il film da cui partire, sia perché è una delle primissime pellicole
a essere prodotte dopo quel 1969 che segna il cambio di passo per
l'industria cinematografica australiana, sia per il fondamentale
scossone produttivo e artistico assestato a un mercato sonnolento e
vessato dalla censura (che all'epoca pare fosse la più repressiva
del mondo occidentale). Il film è sostanzialmente apparentabile alla
formula del mondo-movie che negli stessi anni tiene banco in
altre nazioni (l'Italia in primis) e che sfrutta la presunta indagine
sociologica come pretesto per mostrare immagini shock in nome del
sensazionalismo più sfrenato. Nel caso specifico, però, il taglio
ha poco del sexploitation vero e propri e risulta decisamente
onesto nei confronti della materia trattata, tanto da rivelarsi
estremamente veritiero ed empatico quando racconta le difficoltà
delle ragazze madri o i pensieri della coppia di donne omosessuali.
Al contempo, però, non manca di ribadire continuamente il senso
della messinscena, evocando in più passaggi il palcoscenico, la
rappresentazione pubblicitaria o il mercato del sesso “soft”
delle riviste per soli uomini: l'intento è chiaramente quello di
mostrare come l'indagine alla base della “storia” non inventi
nulla che non sia già presente in una società che è già più
avanti della censura, i cui mutamenti aspettano di essere registrati,
e che è pure a suo agio con il sesso inteso come tema squisitamente
merceologico e artistico.
Siamo perciò di fronte a
un'operazione teorica arguta, ma anche a un precursore di un sentire
che, da sociale, sta già diventando puramente cinematografico: non a
caso il film è spesso considerato pure l'apripista della Ocker
Comedy, principalmente per alcune scelte di casting. Il protagonista
è infatti Graeme Blundell, che darà poi vita al dittico di Alvin
Purple (autentico “eroe” della commedia scollacciata australiana)
e che qui è stato scelto dal regista John B. Murray per una sua
qualità à la Buster Keaton: in effetti, con il suo volto
imperturbabile, Blundell costruisce un protagonista tenero nella sua
timidezza, spesso usato come grimaldello per scardinare alcune
potenziali seriosità di un testo che vuole informare, ma anche
divertire. A suggello di questa struttura a metà fra intrattenimento
e indagine seria c'è anche la comparsa di Barry Humphries, già nei
panni della zia Edna Everage, personaggio che in effetti ha una vita
abbastanza autonoma dai film di Barry McKenzie.
L'idea di portare a galla
un fermento nascosto e un immaginario già fortemente riconoscibile,
si può dunque riflettere nel tentativo stesso di creare un prodotto
filmico con una profonda specificità australiana, che funga da
incentivo per un'industria ancora inesistente. Murray è aiutato
nella sua impresa dal produttore Philip Adams, figura di spicco degli
ambienti intellettuali australiani e, a quanto pare, autentico
artefice dell'operazione: i due, inizialmente, pensano a un
documentario sul football, salvo poi decidere di puntare su un
argomento più audace, attraverso l'auto distribuzione. Alle spalle
c'è infatti il precedente di 2000 Weeks, film indipendente di
Tim Burstall (guarda caso il futuro regista di Alvin Purple)
che, in maniera del tutto autonoma e con una distribuzione
letteralmente “porta a porta”, ha dato vita a un successo. Lo
scontro con la censura, naturalmente, non è indolore: la
classificazione “R” (e il conseguente allargamento dei controlli)
arriverà infatti solo un anno dopo l'uscita del film (e, anzi, si
può chiaramente pensare che sia la pellicola stessa ad accelerare il
processo), ragion per cui regista e produttore sono esattamente
consapevoli di rompere un tabù.
Il risultato dei
compromessi con l'ente di controllo è l'inserimento di un “Bunyip
nudo”, a coprire le sequenze più “forti”: per chi non lo
sapesse, il bunyip è una creatura del folklore australiano, tipica
della mitologia aborigena, che nella stilizzazione prescelta dagli
autori ha la forma di un bislacco incrocio fra un coniglio e un
canguro. La scelta porta con sé molteplici implicazioni: da un lato,
infatti, gli autori evidenziano l'intervento della censura,
rimarcando ciò che essa ha voluto forzatamente celare. In ogni sua
apparizione, infatti, il disegno del Bunyip riprende esattamente ciò
che nel documentario viene oscurato; allo stesso modo, quando la
censura è di tipo sonoro (e copre quindi dialoghi considerati
“proibiti”), una didascalia spiega ciò che non viene sentito. In
questo modo Murray letteralmente sbugiarda l'intervento censorio,
denunciandone l'intromissione e la pochezza.
Allo stesso tempo, però,
la bizzarra invenzione fa da divertente commento alle immagini e
amplifica il confronto fra messinscena e verità alla base
dell'intera operazione, diventando autentica invenzione stilistica:
non a caso, Philip Adams ricorda come ogni apparizione del Bunyip
fosse salutata con grande favore dal pubblico, impressionato
positivamente dalla trovata e dal modo in cui l'icona rielaborava
stilisticamente i fatti narrati.
Sebbene oggi chiaramente
datato, The Naked Bunyip rimane quindi un importante documento
di una nazione che usciva da un'impasse creativa e produttiva,
ed è in grado di regalare momenti teneri alternati ad altri più
divertenti. Per gli appassionati di atmosfere anni Settanta, si
tratta inoltre di un reperto imperdibile e la title track Let's
Make Love di Janet Laurie & Gerald Lester è di quelle che
restano impresse a lungo, per come riescono a catturare il complesso
sistema di sentimenti che la narrazione evoca.
Come altre pellicole di
questo percorso dedicato all'Ozploitation, anche questa è inedita in
Italia e reperibile attraverso i canali dell'import. Questo resoconto
è basato sulla visione del DVD della Umbrella Entertainment (come
sempre non sottotitolato), che presenta, fra gli extra, anche le
parti originariamente “coperte” dal Bunyip, utili a capire meglio
gli interventi della censura.
The Naked Bunyip
Regia: John B. Murray
Sceneggiatura: John B.
Murray, Ray Taylor
Origine: Australia,
1970
Durata: 139'
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