The Adventures of Barry
McKenzie
Barry “Bazza”
McKenzie riceve in eredità dallo zio appena scomparso una cospicua
somma di denaro. Perché possa fruirne, però, deve rispettare una
condizione: trascorrere un periodo nella Vecchia Inghilterra, sulle
orme del “glorioso” lignaggio dei McKenzie. Un'occasione che vale
oro per lui che non ha mai abbandonato la patria australiana: non che
Barry abbia mai voluto farlo, beninteso, tanto che la vita londinese
inizia ad andargli stretta fin da subito. Le molte avventure e
occasioni di scontro con i rigidi cerimoniali degli inglesi mal si
conciliano infatti con i suoi modi semplici, e le migliori occasioni
arrivano ancora una volta dalle bevute con i connazionali. Reclutato
per recitare in spot televisivi, partecipare a dibattiti, o per
onorare contratti discografici, Barry affronta ogni situazione con
ingenuo candore e modi “scorretti” che portano immancabilmente
tutto a degenerare nel caos.
Se l'horror crea i
cult-movie e l'action i blockbuster, la commedia
è senza dubbio il genere deputato a plasmare i fenomeni. Non
stupisce pertanto che la prima, vera, grande icona dell'Ozploitation
sia quella di Barry McKenzie: il suo arrivo sul grande schermo si
pone a metà strada fra la “promozione” di un fenomeno
preesistente (pensiamo ai comici attuali, che “nascono” sulla
ribalta televisiva e poi diventano campioni d'incassi al botteghino)
e il cinefumetto. Barry McKenzie nasce infatti come protagonista di
una striscia umoristica creata dal comico, attore e sceneggiatore
Barry Humphries, pare con l'ausilio dell'autore satirico John Cook
(entrambi recitano nel film, l'uno nei triplici panni di zia Edna, un
hippy e del dr. DeLamphrey, l'altro del regista televisivo Dominic).
La pellicola che ne scaturisce rivendica quindi con forza l'identità
profondamente australiana del format e segue in questo senso
le direttive della nascente industria cinematografica “aussie”.
Facciamo un passo
indietro: nel 1969 il governo inizia un piano di investimenti per
permettere alla scena filmica australiana di diventare un'autentica
industria e questo porta, l'anno dopo, alla creazione dell'Australian
Film Development Corporation. Contestualmente, le maglie della
censura si allargano e viene introdotta la classificazione “R”
(vietato ai minori) che lascia mano libera ai registi e
all'introduzione di temi che oggi chiameremmo “politicamente
scorretti”. Non è tutto: in questa prima fase, infatti, non si
pensa alla possibile esportabilità dei prodotti e, quindi, le
pellicole hanno ancora un carattere fortemente nazionale: Barry
McKenzie è la figura che si pone al crocevia di tutte queste
istanze. E' una pellicola marcatamente australiana, sostenuta da
fondi pubblici, fortemente “di cassetta” e si avvantaggia delle
libertà concesse dalla censura mostrando un protagonista beone e
sboccato, che si muove come una piccola forza distruttiva, vomitando
(letteralmente!) su chi non gli va a genio ed è affiancato da
compatrioti non meno sui generis, bravi a cercare la baldoria e
capaci di estinguere gli incendi urinandoci sopra (d'altra parte, con
tutta quella birra in corpo...).
Il film diventa, così,
il primo “Oz” a superare il milione di dollari d'incasso nella
storia australiana, e legittima il genere dell'”Ocker Comedy”,
dove “Ocker” sta per il classico stereotipo dell'australiano
rozzo e privo di cultura: una figura che allo stesso tempo fa satira
sui costumi della propria terra e prende in giro (fingendo di
ossequiarlo) il ritratto imperante all'estero, dove l'Oceania è
considerata la periferia dell'impero - quello britannico ovviamente.
Barry McKenzie non è il primo “eroe” del genere (il primato
spetta infatti a Stork, dell'anno prima), ma è quello più
rappresentativo e che - con i dovuti distinguo - fornisce anche
la matrice per personaggi a noi più noti, come il Crocodile Dundee
interpretato da Paul Hogan. Dove il modello si distingue dagli
epigoni è per il carattere assolutamente non compromissorio delle
sue storie. Possiamo infatti affermare che Barry è Dundee se
l'avessero inventato i Monthy Python: il creatore Barry Humphries
convoglia nella sceneggiatura tutta la forza dissacrante del
tipico umorismo sovversivo dell'epoca, che rompe gli schemi, e si
offre attraverso giochi visivi e lessicali all'insegna delle
esagerazioni e del nonsense, utili a tenere insieme la
struttura alquanto episodica dell'intera storia. Che poi il tutto
peschi abbondantemente dalla scena underground e dagli umori della
contestazione coeva è esplicitato in modo abbastanza chiaro dalla
scena del “concerto” che vede Barry conquistare una platea di
hippy (contro cui il film pure non manca di assestare qualche gustosa
stoccata).
Oggi, in verità,
assuefatti come siamo al “gusto del cattivo gusto”, la portata
rivoluzionaria dell'operazione risulta più mitigata, e i giochi
verbali risultano di difficile comprensione, a meno di non conoscere
bene - oltre alla società dell'epoca - lo slang australiano,
che il film contrappone con efficacia a quello inglese attraverso il
felice escamotage narrativo dello “straniero in terra straniera”
(e del colono nella madrepatria). Colpiscono più le gag visive, come
il leitmotiv della birra che sgorga a fiumi dalle lattine
ricoprendo gli imperturbabili bevitori, ma ugualmente si riesce ad
apprezzare anche il ritratto impietoso che gli autori dedicano al
gioco degli stereotipi: Barry è infatti tanto rozzo e volgare da
costituire l'esca perfetta per il pubblico incline a lasciarsi
ingannare dai cliché; ma, ancora più significativo è il
fatto che la realtà inglese dipinta dal film è piena di uomini
avidi, repressi, forti una di presunta superiorità che li porta a
tentare di sfruttare il “fenomeno” straniero come se fosse
un'attrazione da circo, salvo poi pagarne le conseguenze attraverso
la carica satirica e distruttiva che il protagonista veicola con
estrema naturalezza (attirandosi, inevitabilmente, le simpatie dello
spettatore).
Con il senno di poi,
appare inoltre dirompente il fatto che a dirigere un film di questo
tipo ci sia nientemeno che Bruce Beresford, oggi conosciuto come
autore “serio”, nonché vincitore dell'Oscar 1990 per il paludato
A spasso con Daisy (e che
infatti ha poi rinnegato questi suoi trascorsi). La sua regia
scolastica si dimostra raramente capace di andare al di là del
semplice mettere in scena le varie gag e rende l'incedere della
storia macchinoso e troppo lungo. Va comunque citata la bizzarra sequenza onirica in cui Barry viene aggredito dai
nativi, resta senza birra e diventa uno scheletro! Non
siamo insomma di fronte a un caso come quello che ha visto John
Belushi trovare in John Landis un autore capace di veicolarne la
carica eversiva. Per certi aspetti, però, questo rende ancora più
significativo il lavoro di scrittura di Humphries e l'interpretazione
di Barry Crocker (che è anche un bravo cantante), autentica
architrave della pellicola.
Il carattere fortemente
autoctono dell'operazione ha immancabilmente fatto sì che il film
restasse inedito in Italia. Anche in questo caso bisogna quindi
ricorrere all'import e mai come stavolta la mancanza dei
sottotitoli può costituire un handicap capace di scoraggiare più
d'uno spettatore.
The Adventures of
Barry McKenzie
Regia: Bruce Beresford
Sceneggiatura: Bruce
Beresford, Barry Humphries
Origine: Australia,
1972
Durata: 108'
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