Machete Maidens
Unleashed!
Può apparire quasi
scontato il fatto che dopo il grande successo riscosso da Not Quite Hollywood, Mark Hartley abbia realizzato un secondo
documentario, sempre a tema exploitation. Possiamo magari
pensare a una furba manovra, di quelle orchestrate a tavolino, in cui
il regista si è guardato intorno, con un atlante in una mano e un
volume di storia del cinema dall'altra, in cerca della cinematografia
più esotica e meno nota alle platee internazionali. Invece se una
cosa non possiamo imputare a Mark Hartley è il cinismo, tanto che il
film nasce da input abbastanza diversi e in modo abbastanza casuale.
Tutto parte dall'idea di realizzare sì un secondo documentario, ma
su Roger Corman e la factory dei cosiddetti “cormaniani”, che,
come i cinefili ben sanno, comprende nomi poi diventati importanti,
come Joe Dante, Jonathan Demme e via citando. Ma l'argomento è già
sfruttato e quindi l'intenzione svanisce in un cassetto.
A questo punto si
inserisce un secondo progetto, in cui Hartley pare si trovi
coinvolto, ovvero il documentario The Search for Weng Weng:
fortemente voluto da Andrew Leavold, collega indipendente
australiano, il film in questione intende ripercorrere le tracce di
un autentico fenomeno exploitation dei primissimi anni
Ottanta, quello della trilogia filippina ispirata al ciclo di James
Bond, ma che aveva per protagonista... un nano, Weng Weng appunto!
Non se ne fa nulla perché Hartley scopre che l'attore è ormai
deceduto e che la storia non offre dunque materiale abbastanza
consistente per reggere la durata di un intero lungometraggio (fra
l'altro non è dato sapere se poi Leavold sia riuscito a portare a
termine il progetto, c'è un blog dedicato che però è fermo al 2010). Il seme comunque è ormai
piantato e il risultato che ne deriva è Machete Maidens
Unleashed!, che riassume perfettamente tutto questo percorso.
Le Filippine che hanno
generato il culto di Weng Weng e del suo Agente 00, sono state
infatti per un certo periodo il teatro di coproduzioni a basso costo
con l'America, che hanno generato un cinema ancor più selvaggio di
quello Ozploitation e altrettanto sconosciuto: è l'occasione giusta
per raccontare una nuova produzione sommersa e, allo stesso tempo,
omaggiare quel Roger Corman che di quelle coproduzioni fu uno dei più
accaniti contributori (e beneficiari). Inoltre, non va sottovalutata
la portata estremamente controversa del tema, vista la turbolenta
situazione politica dello stato asiatico negli anni Settanta,
complice la presidenza di Ferdinand Marcos, che nel 1972 impose il
coprifuoco instaurando la dittatura... e nonostante questo era ben
contento di permettere agli americani di girare sul suo territorio
storie che spesso inneggiavano a fughe da dittature parafasciste!
Hartley, insomma,
racconta ancora una volta un mondo dalla doppia identità, dove
capitalismo sfrenato e istinti libertari si intrecciano liberamente e
trovano peraltro nella figura dello stesso Corman il paradigma delle
proprie contraddizioni: il grande produttore indipendente, infatti,
era ossessionato dal guadagno e dal successo, ma allo stesso tempo si
poneva come alfiere di un cinema politico, capace di respirare le
istanze libertarie che animavano il complesso quadro storico-politico
dell'epoca. Il fatto stesso che lo sguardo di Hartley sia trasversale
(in quanto proveniente da un documentarista australiano che racconta
la storia di una cinematografia altra, che si contamina con il
contesto indipendente “Off-Hollywood”) permette di comprendere
meglio la cifra controversa di questo particolare momento
dell'industria cinematografica americana e filippina. Attenzione,
però: tutto questo è ciò che ribolle sotto traccia. In superficie,
Machete Maidens Unleashed! è infatti una autentica “B-Movie
Feast” che omaggia la cifra più chiaramente eccessiva di
produzioni sgangherate, dove abbondano nudi, mostri, azione a rotta
di collo, ragazze armate di mitra e machete (appunto) e la
consapevolezza che la sicurezza degli interpreti è opzionale di
fronte alla necessità di portare a casa il risultato con il minor
sforzo (economico) possibile, in modo da massimizzare il guadagno.
Hartley affronta la
materia usando lo stesso stile “pop” di Not Quite Hollywood,
ma facendo anche attenzione a seguire un percorso lineare. Possiamo
così riassumere la storia di questo cinema american-filippino sotto
il nome di tre registi: Eddie Romero (specialista in horror con
mostri e nudi), Ciro H. Santiago e Bobby A. Suarez (a loro agio con
l'azione e la blaxploitation), mentre i generi citati comprendono
anche una grande parentesi dedicata ai Women In Prison, ovvero i film
di donne in fuga da prigionie, che forse meglio di tutti gli altri
riassumono i presunti istinti “libertari” di Corman (che pure
confessa di non averli amati per la loro cifra estremamente spinta
dal versante sessuale).
Il tutto culmina
nell'anomala “legittimazione” che l'idea di girare nelle
Filippine trova nello sbarco di Francis Ford Coppola per le riprese
del suo capolavoro Apocalypse Now: da questo versante Hartley
trova non solo la quadratura del cerchio, ma anche il punto di
contatto fra le pratiche basse della filippino-exploitation e il
cinema “alto” (facendo anche luce sul presunto uso di veri
cadaveri sul set coppoliano). Dall'altro versante c'è invece il
Manila International Film Festival, fortemente voluto dal regime di
Marcos nel 1981 per spronare l'industria locale... e che per ironia
della sorte è stato proprio la fucina da cui è emerso il fenomeno
Weng Weng (della serie: ultimi “bagliori” di un'era).
Va comunque aggiunto che,
passato il momento di esaltazione e divertimento per l'ennesima
pagina di cinema sommerso che Hartley riporta a galla, non si può
non notare come il materiale proposto sia veramente di basso profilo:
diversamente dall'Ozploitation, queste coproduzioni filippine sono
infatti povere e non descrivono una realtà produttivamente e
artisticamente interessante come quella australiana. Ragion per cui
il film finisce per decadere in un'aneddotica spicciola dove risulta
più interessante il divertimento per le condizioni assurde di lavoro
che per i film in quanto tali. Dunque non aspettatevi di scoprire
nuovi tesori, ma se il bizzarro è il vostro credo, il documentario
potrà comunque fornirvi carne da mordere. Da precisare che, al pari
di Not Quite Hollywood anche questo film è inedito in italia
e va rintracciato attraverso i canali dell'import (c'è un'ottima
edizione DVD americana a cura della Dark Sky Film, su cui si basa
questa recensione).
Al momento Hartley è al
lavoro su una terza pellicola, che completerà questa trilogia di
documentari sul cinema sommerso: il titolo è Electric Bogaloo
e racconterà la storia di una famigerata casa di produzione
americana degli anni Ottanta, la Cannon di Menahem Golan e Yoram
Globus. Speriamo bene!
Machete Maidens
Unleashed!
Regia e sceneggiatura:
Mark Hartley
Origine: Australia,
2010
Durata: 88'
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