"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 22 novembre 2010

Porco Rosso

Porco Rosso

1929. Marco Pagot è un aviatore deluso dall’umanità e che per questo vive facendo il cacciatore di taglie a danno dei pirati dell’aria. La sua fama di asso del Mare Adriatico è indiscussa e la gente lo chiama “Porco Rosso” da quando un maleficio gli ha fatto assumere sembianze di maiale. Porco trascorre così le sue giornate fra avventure aeree a bordo del suo idrovolante vermiglio, e serate all’Hotel Adriano dove canta l’amica Gina, segretamente innamorata di lui. Gli eventi prendono una piega inaspettata quando i pirati dell’aria assoldano un asso dei cieli, l’americano Curtis, per sconfiggerlo. Porco trova però aiuto nella giovane Fio, che lo aiuta a rimettere insieme il suo idrovolante e lo accompagna nell’avventura finale.

 
L’arrivo nelle sale di un capolavoro come Porco Rosso ha un’importanza molteplice: intanto perché finalmente permette di avere disponibile in italiano tutta la filmografia di Hayao Miyazaki (stante la non facile reperibilità che ancora circonda alcuni titoli come Nausicaa e Laputa), e di conseguenza perché chiarisce meglio il percorso compiuto dall’autore prima di assurgere alla fama internazionale con i successi di Princess Mononoke e La città incantata.

Porco Rosso, infatti, più che un semplice tassello di una poetica rappresenta una sublimazione dei temi e delle figure retoriche care al regista giapponese: la sua fama di pellicola a metà strada fra paradigma e sintesi del cinema miyazakiano si scontra con una levità narrativa molto distante dai capolavori più recenti, che ci restituisce un Miyazaki solare e divertito nella messinscena di questa irresistibile epopea di avventure aeree. La fascinazione per il volo, da sempre presente nelle pellicole dell’autore, non è dunque un semplice tema da trasferire asetticamente sullo schermo, ma è la sintesi di un dinamismo e di una leggerezza figurativa che il film fa sua a ogni livello. Basterà infatti notare come il film non contempli sostanzialmente figure negative, poiché anche i nemici sono comunque tratteggiati con un’ironia che riconduce tutto alla matrice del gioco. Gli stessi pirati dell’aria sono figure che non spaventano chi li affronta e si lasciano dominare persino da una torma di bambine, nella scoppiettante sequenza iniziale (che sembra guardare all’innocenza di Totoro).

In questo senso (e l’ambientazione fra le due guerre lo ribadisce) Porco Rosso è il film attraverso il quale Miyazaki stabilisce il suo ruolo di allievo rispetto a una concezione del cartooning basata sullo studio e la coloritura dei caratteri e sull’ironia come filo conduttore della narrazione. Da sempre associato al nome di Walt Disney, il regista giapponese dimostra invece di avere cara soprattutto la lezione dei fratelli Fleischer, oltre naturalmente ai Pagot cui è legato da personale amicizia e che qui omaggia con il nome del protagonista. L’aspetto più interessante, però, sta nello sfasamento temporale di cui siamo testimoni, in quanto spettatori che assistono alle imprese di Porco a 18 anni dalla realizzazione. La figura dell’aviatore disilluso e che per questo si ritira nel suo eremo stabilendo con il mondo un contatto al di sopra delle fazioni, è l’esatto contrario di quell’Howl che con il suo castello si muove per stabilire la sua non appartenenza a un luogo, ma nel suo intimo ribolle per una guerra che sente come una minaccia presente e vicina e contro cui scatena la sua magia. La disillusione dell’eroe instaura quindi una dialettica a distanza con il Miyazaki più maturo, che sembra altrettanto amareggiato dal procedere degli eventi e che elabora questa sua frustrazione con l’estetica del disastro (pensiamo alla violenza contro la natura di Princess Mononoke o allo tsunami di Ponyo sulla scogliera).

Qui al contrario siamo ancora nella fase in cui la disillusione si accompagna a un’intima speranza di rifondazione dell’universo, cui lo sguardo del regista si rivolge con un perenne affetto. Ed è interessante notare come tale rifondazione avvenga proprio tramite una di quelle figure femminili che il regista ha sempre elevato a protagoniste dei suoi capolavori. La piccola Fio rappresenta infatti il bilanciamento fra la prospettiva sghemba di un Porco che è elemento “altro” rispetto al reale e le più problematiche donne dei recenti lavori che invece sembrano farsi carico delle frustrazioni dell’eroe e dello spettatore (pensiamo a Chihiro ne La città incantata o, ancor più, a Sophie nel Castello errante di Howl). Non a caso è proprio Fio a ricostruire l’idrovolante di Porco, permettendogli di tornare a essere di nuovo tutt’uno con il suo personaggio e forse sarà proprio il suo bacio a sciogliere la maledizione, caricando la sua figura di una notevole portata mitica.

Porco Rosso è dunque un film sorprendente nella sua linearità, forse anche teorico per la dialettica che instaura con gli elementi della messinscena, accorto nella sua documentazione del reale ma capace di abbandonarsi allo slancio pindarico di un’emozione di sensazioni primarie come il ridere e a visioni di un altrove magico. E’ un film capace perciò di oscillare dal reale al fantastico pur senza darlo a vedere. In fondo, ancora una volta è una coesistenza di opposti, sintetizzati magnificamente dal grugno del maiale, del quale non viene mai rimarcata troppo l’alterità rispetto al mondo che lo circonda.

 
Porco Rosso
(Kurenai no Buta)
Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Origine: Giappone, 1992
Durata: 94’

Collegati:

Trailer italiano

Nessun commento: