Il piccolo Danny Madigan vive con la madre in una realtà difficile e pericolosa, dalla quale tenta di fuggire grazie alla sua fervente passione per il cinema e in particolare per i film d’azione in cui il divo Arnold Schwarzenegger interpreta l’eroe Jack Slater. Una sera Nick, la maschera del cinema, gli offre l’opportunità di assistere in anteprima e in proiezione riservata all’ultimo capitolo della saga, Jack Slater IV, e a tale scopo gli regala un biglietto ricevuto molti anni prima dal mago Houdini. Una volta strappato, però, il biglietto rompe le barriere che separano la realtà dalla finzione, immergendo Danny nell’avventura accanto al suo eroe Slater…
Sebbene realizzato nel 1993, Last Action Hero può essere definito l’ultimo film degli anni Ottanta, per il senso dello spettacolo magniloquente e pieno, al servizio di un’idea di cinema destinata a un grande pubblico che non tema di rinnovare dinanzi allo schermo il piacere della scoperta e della meraviglia: lo sguardo estatico del piccolo Danny Madigan quando assiste alle avventure del suo eroe Jack Slater è in questo senso paradigmatico, così come il dualismo fra una realtà difficile e una mitopoiesi capace di assicurare una vittoria sul Male. Un parallelo può in questo senso essere tracciato con opere come I Goonies o E.T. e in generale con la concezione spielberghiana di avventura e fantasy, che in effetti hanno tracciato la via per tutto il cinema spettacolare americano degli anni Ottanta.
Ma Last Action Hero è al contempo anche il primo blockbuster degli anni Novanta, per la tendenza a una decostruzione critica dell’universo che mette in scena: il regista John McTiernan, nonostante proprio negli eighties si fosse costruito una certa fortuna come autore di action-movies con il primo, fortunato, capitolo di Die Hard, per il resto si è sempre considerato un artista postmoderno e questa sua indole si vede molto bene nella pellicola, che rappresenta allo stesso tempo un omaggio, una parodia e un’analisi dei meccanismi tipici del cinema spettacolare hollywoodiano. E’ perciò assolutamente indovinata la scelta di avvalersi di un attore come Arnold Schwarzenegger, volto e corpo iconici del cinema muscolare del decennio passato ma anche personaggio pubblico capace di mettersi in discussione iniettando all’interno delle sue storie una vena ironica fortemente dissacrante: basti pensare a titoli come Commando, che stemperano la marcata vena exploitation cara al regista Mark Lester (quella che in tempi passati fu definita “proverbiale cattivo gusto”), grazie a un frequente ricorso al risvolto ironico, sia esso una gag visiva o una battuta, tanto da coniare un neologismo, “arnoldismi”, che indica proprio tali espedienti che hanno fatto la fortuna dell’attore austriaco.
Ecco dunque che la scomposizione e dissacrazione dell’action movie moderno appare allo stesso tempo come un corretto tributo al percorso d’attore compiuto dallo stesso Schwarzenegger, il quale si espone in prima persona interpretando se stesso e, in una scena sicuramente molto audace per un divo del suo calibro, lo vediamo mettere a confronto l’ingenuo e idealista Jack Slater con il se stesso uomo di spettacolo dalla vena imprenditoriale e materialista. In questo senso l’eroe “finale” indicato dal titolo è proprio Schwarzenegger, che con il film completa la sua personale parabola all’interno del genere dopo il trionfo di Terminator 2. L’insuccesso di pubblico e le incomprensioni critiche lo spingeranno però a ripeterla in chiave più seria nel successivo True Lies, e lo stesso varrà per McTiernan, che dovrà tornare alla saga di Die Hard con il terzo capitolo.
A parte questo, comunque, il regista, agevolato da un’intelligente sceneggiatura dove spicca il nome di Zak Penn (il futuro autore di Incident at Loch Ness), porta a compimento un’operazione che ha il merito di tradire il patto di tacita sospensione dell’incredulità con lo spettatore, rimarcando anzi come la forza dell’action movie moderno (diversamente, ad esempio dal poliziesco degli anni Settanta dal quale pure deriva) stia proprio nella sua costante ricerca dell’implausibilità e nel gusto spiccato per l’assurdo. Infatti non stupisce notare come, sebbene molto divertente, il film sia anche uno splendido trattato sull’azione cinematografica, che McTiernan dirige con mano sicura, spingendo il tutto alle estreme conseguenze attraverso una serie di complicati stunt che coinvolgono il suo malcapitato eroe Slater. L’azione, insomma, sembra aver bisogno di una iperbole in grado di rivelarne l’essenza più intima di grande spettacolo circense, che cattura l’attenzione e innesca il processo mitopoietico, liberando infine la meraviglia (processo che anni prima veniva peraltro compreso e teorizzato anche da un altro grande artista d’azione e uomo di cinema come Jackie Chan).
Tutto questo anche per prevenire lo scetticismo sempre più radicato in un pubblico ormai smaliziato da anni di visioni spettacolari sullo schermo e pertanto reso più cinico dalla consapevolezza della finzione: quello che dunque si innesca è un gioco di ammiccamenti e deviazioni inattese con le aspettative dello spettatore, che si riconosce nel piglio dissacratore di Danny (che si diverte a sottolineare le varie implausibilità dell’universo di Slater), ma nello stesso tempo gode della familiarità di uno spazio completamente cinematografico, dove ogni angolo nasconde un riferimento extranarrativo che omaggia il cinema nella sua varietà ricchezza: un atteggiamento diverso da quello che qualche anno dopo muoverà Wes Craven per la sua saga horror di Scream (progetto pure abbastanza simile nei presupposti), poiché McTiernan alla fin fine non è interessato a scrivere il capitolo finale del cinema d’azione, ma a realizzare un’operazione di sintesi che unisca fra loro istanze opposte come dissacrazione e omaggio.
Pertanto il finale compie il maggiore dei tradimenti, mostrandoci uno Slater che, in azione nel mondo “reale”, riesce a sconfiggere il suo nemico compiendo gesta “impossibili” e degne del suo universo cinematografico: i mondi si sono quindi intrecciati e la magia del cinema ha raggiunto un compromesso con il cinismo del reale, al punto che l’eroe potrà continuare a essere tale pur sapendo che il trucco è ormai svelato. Il meccanismo non viene messo in crisi davvero e se questo può rappresentare un motivo di incompiutezza del ragionamento fino a quel momento abbozzato, ha comunque il pregio di essere motivato da una passione contagiosa che alla fine accontenta lo spettatore che ha accettato il gioco.
Last Action Hero – L’ultimo grande eroe
(The Last Action Hero)
Regia: John McTiernan
Sceneggiatura: Zak Penn, Adam Leff, Shane Black, David Arnott
Origine: Usa, 1993
Durata: 130’
Official Fan Site italiano di Arnold Schwarzenegger
Pagina di Wikipedia su John McTiernan
Panoramica sui principali film d’azione anni Ottanta
1 commento:
Titolo che dalle elementari alle medie avrò visto una 20 di volte. E avevo ragione, infatti.
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