Giappone, fine del XIX secolo, agli albori dell’era Meiji. Yuki ha trascorso i vent’anni della sua esistenza preparandosi al momento in cui avrebbe vendicato l’assassinio di suo padre, un compito ereditato dalla madre, morta in prigione dandola alla luce. La ricerca dei tre assassini ancora in vita vede la donna, educata alla lotta con la spada, affrontare i nemici con risolutezza, e trovare un complice nel giornalista e scrittore Ryurei Ashio, che fa della sua storia un best-seller.
“Ciò che accade prima della tua nascita può ripercuotersi su di te” afferma la giovane Yuki, interpretata con gelida precisione dall’attrice e cantante Meiko Kaji in questo piccolo classico del chanbara eiga. In effetti la missione della donna, più che animata da un reale sentimento di rivalsa nei confronti dei nemici, appare come preordinata in origine, da una madre che ha dato alla luce la propria erede unicamente per portare a termine quel compito che lei non era riuscita ad assolvere. In questo senso Yuki più che persona è strumento di una volontà altrui e frutto di una decisione presa prima ancora della sua nascita e alla quale non può e non vuole derogare. Il bianco del suo vestito evoca quello della pagina scritta e di una vita che nel suo farsi è comunque già incanalata in un’idea che deve soltanto trovare esplicazione e racconto.
Per questo motivo Lady Snowblood adotta una struttura metanarrativa che evoca l’idea della messinscena attraverso i classici ambienti ricreati in interni, una scansione in capitoli e un narratore che si riflette nel personaggio del romanziere Ashio, il quale sviluppa il racconto e lo organizza in una forma narrativa popolare. D’altronde alle spalle del film c’è un manga di Kazuo Koike, anch’esso evocato nei flashback e nei brevi excursus storici sottoforma di disegni che illustrano allo spettatore i trascorsi della vicenda e aiutano a contestualizzare la stessa. La narrazione diventa paritetica all’azione e, sebbene il film non sia particolarmente ricco di dialoghi, l’evocazione in forma orale, scritta o attraverso l’artificio della messinscena di stampo teatrale e cinematografico assume un’importanza molto specifica per allargare il discorso dal fatto personale ed elevarlo a grandezze più universali. Ecco dunque che la morte del terzo nemico Okono Kitahama è commentata da una evidente calata del sipario, mentre le scene di lotta sono arricchite da esplosioni di sangue anche eccessive, che possono essere viste come lirico controcanto all’inchiostro usato da Ashio per scrivere il suo romanzo.
Il fulcro del racconto diventa quindi il percorso che Yuki deve compiere per riappropriarsi progressivamente della propria umanità, rendendosi conto che il suo agire violento finisce naturalmente per innescare una spirale di confronti incrociati tra consanguinei destinata infine a procurarle una simbolica morte e rinascita. Ma allo stesso tempo la stessa missione si connota come una analisi del mondo nel quale Yuki si ritrova ad agire, al crocevia fra un passato fatto di ritualità precise all’ombra delle quali si consumano efferati delitti, e un presente apparentemente rinnovato e “ripulito” dai conflitti, dove il Giappone esce dall’isolamento culturale aprendosi al mondo. La presenza di Yuki favorisce quindi un confronto con i principi ideali del passato e con le ipocrisie di un presente che ha semplicemente permesso ai criminali di ieri di assumere nuovi posti di comando, accanto alle autorità (la polizia, i diplomatici): ciò che accade prima della nascita, in questo senso, si ripercuote davvero sull’oggi, obbligando a chiudere realmente i conti con il passato per dare vita a un futuro forse nuovo. I figli quindi si trovano nella posizione di dover rimediare agli errori dei padri aiutando Yuki nel suo compito, ma allo stesso tempo il tutto non riesce a evitare l’emergere di rancori mai sopiti, come testimonia il personaggio di Kobue Takemura, figlia di uno dei nemici di Yuki, che in seguito all’uccisione del padre, cerca di vendicarlo.
La vicenda staziona quindi nella scomoda posizione intermedia di chi si trova al centro di istanze fra loro difformi, aprendo gli spazi necessari alla collisione di forze contrapposte e quindi all’insorgere della tragedia, vera forza propulsiva del film. A questo proposito la regia di Fujita Toshiya si dimostra opportunamente capace di ondeggiare anch’essa fra la già citata evocazione della messinscena e un approccio più brutale con camera a mano in scenari realistici e un commento jazz che decontestualizza la storia rispetto al suo tempo per calarci nell’immediatezza della contemporaneità.
Il che naturalmente permette anche di vedere l’intera storia come una critica a una società moderna che non ha ancora chiuso i conti con il proprio passato e si caratterizza pertanto per una forte ambiguità di fondo.
Inedito per anni in Italia, Lady Snowblood è stato recentemente editato in DVD da Keyfilms/Medusa insieme al suo sequel sull’onda della riscoperta conseguente gli omaggi presenti in Kill Bill di Quentin Tarantino, che vanno dalla struttura in capitoli agli scenari nevosi dei duelli con le spade, fino all’idea stessa della vendetta. Da ricordare anche il libero e affascinante remake, Princess Blade, diretto da Shinsuke Sato nel 2001 e disponibile in italiano.
Lady Snowblood
(Shurayuki Hime)
Regia: Fujita Toshiya
Soggetto: dal manga di Kazuo Koike
Sceneggiatura: Kazuo Uemura
Origine: Giappone, 1973
Durata: 97’
Scheda di Meiko Kaji su Wikipedia
Approfondimento su Meiko Kaji (in inglese)
Brano musicale Shura no Hana/Flower of Carnage dalla colonna sonora
1 commento:
Ricordo bene il riferimento a questo film in Kill Bill Vol.1,grazie per il ragguaglio sull'originale!
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