Los Angeles. John Hancock è un supereroe, dotato di poteri incredibili messi al servizio della lotta contro il crimine. Proposito lodevole, ma l’aspetto rozzo, insieme ai grossi danni che ogni super-impresa infligge alla città hanno reso il Nostro inviso alla grande maggioranza della popolazione. C’è però una persona che crede in lui, è Ray Embrey, un PR che decide di curare l’immagine di Hancock per renderlo un eroe amato dalla gente: la “redenzione” passa per un breve periodo di detenzione in carcere, durante il quale Hancock dovrà anche imparare a relazionarsi con il prossimo, in modo che il suo ritorno sulle scene si riveli un successo. L’operazione riesce e Hancock vede la sua vita cambiare, ma un imprevisto è in agguato: anche Mary, la moglie di Ray, all’insaputa del marito, è infatti dotata di superpoteri!
Il piacere migliore spesso non è quello trasmesso dai film perfettamente riusciti, ma quello che si prova di fronte a film imperfetti che pure riescono a smuovere un immaginario e a favorire riflessioni non banali. Hancock è uno di questi titoli. Imperfetto, certamente, e forse irrisolto ma comunque attraversato da una certa qual vitalità e dalla capacità di fornire una base al genere di riferimento e all’interprete principale. Già, quel Will Smith che viene ormai associato solo alla facile formula dell’incasso, ma che in realtà è stato capace nel tempo di dare forma a un personaggio al di fuori della facili categorizzazioni, in grado di fare presa su pubblici trasversali, dimostrando anche ottime capacità interpretative. Liberatosi in fretta del facile cliché dell’”attore nero”, Smith ha infatti dato forma a un’icona dai tratti universali, che riesce a rinnovare l’idea dell’uomo in grado di perseguire con caparbietà il suo successo per diventare simbolo di una filosofia positiva. Ma lo ha fatto in un modo intelligente, non ponendosi semplicemente come un classico eroe vincente e carismatico (sebbene i primi ruoli della sua carriera andassero semplicemente in questo senso) ma anche come un carattere problematico nello scendere a compromessi con la propria grandezza. Hancock in questo senso crea un cross-over con il genere dei supereroi che permette al personaggio tipico di Smith di arricchirsi di sfaccettature interessanti, anticipando anche la cronaca (è notizia di pochi giorni fa - poi smentita - che la Marvel avesse pensato all’attore per il ruolo ultra-iconico di Capitan America). Hancock è Will Smith e ne riflette il travaglio del personaggio pubblico la cui personalità e il cui bisogno di trovare un posto nel mondo vanno di pari passo con il bisogno di costruirsi un’immagine pubblica lontana da quella iniziale del barbone asociale e più vicina all’ideale supereroico del quale il pubblico ha bisogno (paradigmatica e spassosissima in questo senso la scena in cui Ray mostra a Hancock le copertine di alcuni fumetti di supereroi).
Il processo di scomposizione e ricomposizione del personaggio Hancock si sovrappone dunque a un catartico percorso di analisi che Will Smith compie sul suo stesso personaggio, secondo una linea tematica che finora era stata affrontata compiutamente soltanto in Alì di Michael Mann (che costituisce il capolavoro della filmografia di Smith e il film fondativo della sua “mitologia”). Ed è perciò un lavoro che viene avviato a livello epidermico e sensoriale, attraverso l’elaborazione della fisicità dello stesso Smith, che nell’arco di poche inquadrature deve essere capace di passare da una sensazione di estrema pesantezza a una di grande leggiadria: ecco dunque che lo vediamo rozzo, sporco e buono solo a far danni, ma anche capace di sfrecciare velocissimo nel cielo. L’immersione in soggettiva lungo le disordinate volute che l’eroe descrive nell’aria diventa quindi una forma di empatizzazione con un corpo “larger than life” che vede il mondo da una differente prospettiva e davvero pochi film sono stati capaci di trasmettere la sensazione del volo in maniera così immediata e potente!
Ciò che si cerca è la corrispondenza emotiva con le sensazioni provate da un eroe il cui volo e le cui imprese non devono essere semplicemente descritte per provocare lo stato di meraviglia nello spettatore (come accade nel classico esempio del supereroe alla Superman), ma comprese per avvicinarsi al suo status di personaggio straordinario. Che è poi il tema del film, quello di protagonisti fra i quali esiste una distanza da colmare. Peter Berg in questo senso è bravo a giocare con gli spazi fra i caratteri, mostrandoci un Hancock prima solitario ed evitato da tutti e poi progressivamente sempre più in simbiosi con il mondo che lo circonda: gli scarti a volte sono espressi attraverso piccoli gesti, come il pallone da basket che a un certo punto non cade più nel canestro, in altri casi abbiamo invece brusche accelerazioni: ad esempio la rivelazione sullo status supereroico di Mary (interpretata non a caso da un’altra attrice carismatica e dalla straordinaria fisicità come Charlize Theron), non solo permette a Hancock di capire da dove viene e chi è, ma colloca immediatamente Ray e il piccolo Aaron nella schiera dei “diversi” rispetto al nuovo ordine familiare rappresentato dai due super-umani. La regia in questo caso isola i due “normali” in inquadrature singole, distanziate attraverso il montaggio dalla super-coppia.
La deriva melodrammatica del finale, da molti interpretata come una caduta di stile nella retorica, si inserisce perfettamente in questo schema perché ribadisce la natura sacrificale dell’eroe (che si autocostringe all’esilio), insieme al suo necessario e definitivo adeguarsi ai canoni classici, con tanto di trasferimento a New York (città simbolo del supereroe americano, da Spider-Man ai Fantastici 4, fino al già citato Capitan America). Senza contare che la regia di Berg riesce a colorare questi momenti di una intensità emotiva che non lascia indifferenti.
(id.)
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Vincent Ngo, Vince Gilligan
Origine: Usa, 2008
Durata: 92’
Video intervista a Charlize Theron (sottotitolata in italiano)
Sito ufficiale italiano
Sito ufficiale americano
Ritratto di Will Smith
Sito ufficiale di Will Smith
1 commento:
Concordo. "Imperfetto" (qualsiasi cosa sia la "perfezione") ma affatto banale.
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