Chiunque avesse l'occasione di leggere una classica storia dell’Uomo Ragno si renderebbe subito conto del clima scanzonato che Stan Lee e i suoi collaboratori hanno fin dall’inizio impresso alle avventure di Peter Parker, ma senza che questo abbia mai fatto venir meno una componente anche drammatica circa i problemi e i disagi (interiori e non) che affliggono e connotano il protagonista. D’altronde Spider-Man è per antonomasia un fumetto dal taglio più solare, antitetico a eroi noir come Daredevil o Batman e in questa dicotomia vediamo riflessa la voglia di sognare di un’America che pure non può non fare i conti con una realtà ogni giorno più difficile e poco incline a far nascere gli eroi (che quindi diventano “con superproblemi”). La perfetta sovrapponibilità fra l’icona supereroistica e l’ambiente in cui vive è uno dei temi che la saga cinematografica di Spider-Man affronta sin dai titoli dei testa del primo film, dove le linee che compongono la tela dell’Uomo Ragno si confondono con quelle del suo costume e anche con le finestre che campeggiano sui grattacieli di New York. Un rapporto che sfocia poi nella splendida sequenza di Spider-Man 2 in cui alcuni cittadini in un treno diventano depositari del segreto dell’identità dell’eroe e si stringono attorno a lui in un simbolico abbraccio.
Quello dell’iconicità di Spider-Man, simbolo amato e rispettato dai suoi cittadini, costituisce in realtà il più grande tradimento che Sam Raimi perpetra rispetto al fumetto originale, dove l’Uomo Ragno è invece un personaggio solitario e relativamente osteggiato dalla massa (in maniera esattamente opposta a quanto accade con alcune celebrità supereoristiche come I Fantastici 4 o i Vendicatori): non si può in effetti tacere del fatto che il primo Spider-Man arrivi all’indomani di quell’11 settembre che nei migliori esempi cinematografici ha spinto gli artisti di turno a interrogarsi sul senso dell’identità propria dell’essere americani e sulla distanza esistente fra i concetti di potere e responsabilità, sul dovere di agire e sulla necessità di farlo (ed è giusto ricordare che al triste giorno è stato dedicato proprio un albo speciale dell’Uomo Ragno, sul quale eventualmente si tornerà in seguito). Sam Raimi è bravo a giocare con questa distanza in contrappunto a una serie di dicotomie che la saga mette in piedi: quella fra le due anime di Norman Osborn/Goblin e fra le due identità di Peter Parker/Spider-Man. Il tutto calato in un ambiente multietnico (in ogni film non mancano siparietti anche fulminei sugli abitanti di New York) dove convivono pure personaggi di differente estrazione sociale, dal ricchissimo Harry Osborn alla sottoproletaria Mary Jane Watson, in un difficile ma stabile equilibrio.
D’altronde la dicotomia più grande è quella che vede Raimi allo stesso tempo rispettare e rinnegare il fumetto originale, attraverso una serie di piccole variazioni molto interessanti, che vanno dal personaggio della già citata Mary Jane (che in realtà fonde il carisma della controparte fumettistica con una malinconia tipica di altre celebri compagne di Parker, come il primo amore Betty Brant) al carattere meno brillante e più goffo dello stesso Peter, quasi a farci capire che siamo immersi in una contemporaneità più problematica di quella degli anni Sessanta, tale da rendere anche i cattivi dotati di maggiore spessore tragico (spiccano particolarmente il formidabile Dottor Octopus di Alfred Molina e il malinconico Uomo Sabbia del grande Thomas Hayden Church). Il percorso è attuato attraverso un andamento progressivo che da un primo film più scanzonato passa a un secondo più problematico e un terzo più cupo, dove si adombra la possibilità della fagocitazione dell’eroe da parte della sua “metà oscura” e viene esplorata la necessità del perdono come unica via di uscita dalla spirale della vendetta.
E poi c’è la regia, che si confronta anch’essa con la forma del fumetto, attraverso una fotografia dalle tinte accese, che schiaccia le figure dotandole di poco spessore per riprodurre la bidimensionalità del disegno originale, ma che deve inevitabilmente scendere a compromessi con l’esigenza del realismo e per questo reinventa graficamente i personaggi (se l’Uomo Ragno è identico al fumetto i cattivi sono rielaborati in maniera abbastanza evidente). L’uso del digitale per gli effetti speciali, poi, amplifica quella “cartoonizzazione” dei personaggi che peraltro Raimi ha perseguito sin dai tempi della trilogia de La casa e dello splendido Darkman.
Il percorso umano ed eroico di Peter Parker diventa quindi una metafora del suo essere parte di un mondo, ma anche della sua crescita (nel primo film la natura organica delle ragnatele e i cambiamenti che avvengono sul suo corpo mutato per il morso dell’aracnide sono una chiara metafora del passaggio dall’infanzia all’adolescenza): nel diventare uomo quindi Peter impara ad assumersi le sue responsabilità e a comprendere i confini del suo essere eroico, in un percorso a tappe attraverso le sue debolezze e i suoi affetti. In particolare è Spider-Man 2 a intessere con maggior cura il discorso, anticipando quella decostruzione dell’icona che poi verrà ripresa da Christopher Nolan con Il cavaliere oscuro. Raimi però compie la sua operazione dall’interno del genere, cercando di rispettare la natura iconica dei personaggi e la natura fumettistica dell’universo che pone in essere: quella fra il fantasy e il reale diventa così la più grande distanza sulla quale l’autore si trova ad agire.
Spider-Man sito italianoSpider-Man 2 sito italiano
Spider-Man 3 sito italiano
Intervista a Sam Raimi, Tobey Maguire e Kirsten Dunst
Sito ufficiale della saga cinematografica (in inglese)
Spider-Man Italia, il portale sull’Uomo Ragno
2 commenti:
Interessantissimo, io mi sono fermata al 2, perchè ricordo che all'epoca ne rimasi delusa, ma molto probabilmente merita una seconda chance.
molto interessante il post
mi piace molto la trilogia. la vetta assoluta raimi l'ha raggiunta col secondo capitolo (IMHO)
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