Possiamo considerare questo film celebrativo delle gesta di Ken il guerriero come un perfetto esempio dell’attuale momento storico, in cui si continua a prediligere (o quantomeno a dare grande rilevanza) la riproposizione di eroi e gesta già note al pubblico, sull’onda delle celebrazioni (in questo caso i 25 anni del fumetto) e dell’effetto nostalgia. Fortunatamente la linea che sembra aver guidato i realizzatori non è parassitaria rispetto al manga e alla vecchia serie tv, ma predilige un approccio che, al rispetto e alla rievocazione nostalgica del già fatto, accompagna una rielaborazione narrativa utile a far emergere nuove prospettive e a esaltare i nuclei tematici in precedenza compromessi dalla logica della narrazione seriale.
Questo duplice approccio da un lato ridimensiona le possibili aspirazioni del film, che, oltre a condensare molti eventi in poco tempo con un ritmo molto spedito, per essere fruito al meglio presuppone la conoscenza delle opere originali, di cui è da considerarsi come elemento complementare ma non succedaneo (e quindi si rivolge principalmente a un pubblico di appassionati); dall’altro però rende l’insieme un po’ più organico di quanto non fosse in passato, giustificando elementi fino ad oggi rimasti poco approfonditi e permette anche di ricomprendere sin d’ora nel progetto generale della saga i capitoli realizzati in un secondo momento (pensiamo al viaggio di Kenshiro nella terra degli Shura, che nella serie tv erano relegati nella seconda stagione).
L’aspetto più interessante è dato dall’adeguamento della storia agli scenari e ai gusti contemporanei: l’elemento della guerra atomica, di stretta attualità negli anni Ottanta ancora vessati dalla Guerra Fredda, è stato rivisitato in un’ottica più generale che mostra la devastazione finale come conseguenza di un continuo ricorso alla forza da parte delle varie superpotenze mondiali, una sorta di costante stato di tensione alimentato dagli isolati focolai che scoppiano in vari punti della terra per motivi etnici o religiosi (decisamente uno scenario più vicino alla nostra attualità); allo stesso modo è cambiato lo schema all’interno del quale si inseriscono i personaggi, i ruoli di buoni e cattivi sono sin dal principio meno definiti (l’unico che ancora rispetta appieno il suo status di malvagio è Sauzer), le loro gesta appaiono più chiare e così anche i rapporti fra i sessi.
Da questo punto di vista l’inedito personaggio di Reina (creato graficamente da Tsukasa Hojo, autore di Occhi di gatto e City Hunter, qui nel ruolo di guest-designer) arriva a sancire una importante differenza rispetto all’approccio del passato, introducendo un punto di vista femminile che non è soltanto quello dell’amore materno o della compagna cui viene delegato il compito di perpetrare la memoria delle gesta combattive maschili: al contrario, Reina è un personaggio moderno e sfaccettato, la cui missione al fianco di Raoul è motivata da una profonda convinzione nelle sue capacità, al punto tale che la ragazza arriva a disubbidirgli quando ritiene che l’ordine sia in conflitto con la sua visione e spesso si fa carico di iniziative personali. Reina è dunque una persona emotivamente ben delineata, è lei a definire il ruolo della crociata di Raoul (in precedenza troppo sbilanciata verso la mera sete di potere), a rivelare le intenzioni positive radicate nel suo profondo, i suoi scatti d’orgoglio e quindi di umanità: caratteristiche queste ultime che nell’opera originale erano invece ritardate e delegate a una serie di colpi di scena finali.
Ma Reina è anche un personaggio che ama e con la sua passionalità si contrappone perciò sia alla misericordia di Shu (che presuppone il sacrificio e dunque l’annullamento della persona) che alla crudeltà di Sauzer (che intende irridere l’amore, da lui paragonato a una forma di debolezza) e in questo si pone in perfetta continuità con la missione di Kenshiro, che unisce appunto forza e calore umano, diventandone una sorta di speculare.
L’esaltazione di questi temi curiosamente si accompagna a un forte ridimensionamento dell’azione e della violenza tipici della storia originaria e procede di pari passo con uno stile visivo sontuoso nei disegni (che, con le dovute modernizzazioni, si rifà alle tavole originali disegnate da Tetsuo Hara) ma altalenante nell’animazione, poco fluida e inferiore agli standard tipici delle produzioni animate da grande schermo. Il piacere di vedere comunque nelle sale cinematografiche una storia che nella sua forza epica aveva forse da sempre aspirato a simili approdi, è comunque in grado di accontentare i fans dell’amatissima saga.
(Shin Kyūseishu Densetsu Hokuto no Ken: Raoh-den Junai no Shō/ Fist of the North Star – Legends of the true savior: Chapter of death for love)
Regia: Takahiro Imamura
Sceneggiatura: Nobuhiko Horie, Yoshinobu Kamo, Katsuhiko Manabe, ispirata al manga di Buronson e Tetsuo Hara
Origine: Giappone, 2006
Durata: 95’
Sito francese
Sito ufficiale giapponese
Sito Yamato Video, curatore dell’edizione italiana
Hokutonoken.it: sito italiano su Ken il guerriero
Nessun commento:
Posta un commento