5 è il numero perfetto perché rappresenta le cinque parti del corpo: due braccia, due gambe, una testa e sintetizza perfettamente come il centro del racconto sia l’uomo, in particolare un anziano guappo della Napoli inizio anni Settanta, Peppino Lo Cicero, ormai lontano dai giochi delle parti che hanno insanguinato la capitale partenopea nell’infinita odissea della guerra fra bande malavitose per il controllo del territorio. Il lavoro, come nella più classica delle tradizioni artigianali, è stato ora trasmesso al figlio, che lo porta avanti in modo metodico, impiegatizio, ma una sera, inaspettatamente, viene ucciso dalla sua vittima designata. Per Peppino Lo Cicero giunge così il momento di tornare in pista per vendicare il suo erede, in una sfida contro vecchi amici e nemici che gli faranno riassaporare il sapore del passato, ma anche capire gli sbagli e le ingenuità di ieri e di oggi.
Per raccontare i sentimenti che agitano i suoi protagonisti Igort adotta una prospettiva che di volta in volta si avvicina e si allontana dai luoghi e dalle emozioni in campo: è quasi verista nell’uso del dialetto napoletano, ma è assolutamente apolide nel mondo che disegna, dove non cerca scorci tipici della Napoli più nota, ma crea invece un universo dai contorni indefiniti, dove l’ambientazione partenopea è sfruttata quasi soltanto per le iconografie che riesce a garantire (l’invadenza dei simboli religiosi, le case piccole e costruite quasi una sull’altra): addirittura potremmo essere in un'altra città e dobbiamo aspettare parecchie pagine per vedere uno scorcio tipico dei vicoli del centro storico che ci rassicuri. Prima c’è solo pioggia, come in un polar e un impasto di bianchi e neri che definiscono lo stile prediletto dall’autore, il bicromatismo.
In realtà bisognerebbe usare il termine “tricromatismo”, perché Igort al canonico bianco e nero (un nero spesso, denso, che ha la consistenza della pece e che definisce ma volutamente anche soffoca il quadro) accompagna una costante sfumatura grigio-azzurra, quasi metallica, che conferisce agli spazi e anche alle figure anche una certa trasparenza, incorporeità.
In questo modo la storia si apre a una porosità che le permette di incorporare, nonostante la sua immaterialità, archetipi ben definiti: ecco dunque le sparatorie dove si utilizzano due pistole (come nel cinema d’azione di Hong Kong), i fumetti di supereroi e antieroi “neri” italiani o il cinema che proietta un vecchio film di arti marziali. E la griglia utilizzata per la divisione delle tavole in vignette non è rigida, ma anzi è utilizzata secondo le esigenze del momento, frantumata in micro-vignette che focalizzano l’attenzione su piccoli dettagli in sequenza, che “fermano” particolari altrimenti destinati a essere travolti dalla storia e dall’incedere degli eventi. Fino ai momenti più dichiaratamente onirici e visionari, dove i contorni sfumano e le simbologie prendono il sopravvento.
Un noir complesso e dalla qualità pittorica, quindi, dolente nell’incedere nonostante un’ironia che corre sottotraccia senza abbandonare mai i personaggi, quasi a voler descrivere l’assurdità di un mondo normalizzato sulle logiche della violenza e su un sistema di regole tanto arcaico quanto privo di reale senso e soprattutto di umanità: il modo migliore in fondo per mantenere quello sguardo allo stesso tempo coinvolto e distante che rende l’opera magistralmente narrata, perfettamente immersa negli umori della vicenda ma al contempo distaccata, disillusa, pronta a rivelare i cambiamenti di fronte e i risvolti più inaspettati e che per questo ritrova in quell’inestricabile groviglio di emozioni e doveri la cifra di quell’umanità altrimenti perduta. Il che inevitabilmente conduce alla parabola personale di Lo Cicero, non un boss ma una pedina dell’organizzazione, legato ai ricordi di un passato lontano e idealizzato (la moglie defunta è rievocata con ali di angelo) che deve fare i conti con un presente dove tutto è cambiato salvo rendersi conto alla fine proprio dell’assurdità delle regole, della necessità di un gesto di pietà che tenti di riscattarlo e che gli faccia capire chi sono gli amici sui quali fare affidamento.
Davvero un personaggio emozionante, come in fondo emotivamente molto forte è tutta la storia raccontata nei capitoli (ovviamente anch’essi cinque), concepiti, in ossequio all’universalità del lavoro, in giro per il mondo: l’ispirazione venne infatti a Igort mentre si trovava a Tokyo, nella prima metà degli anni Novanta, per poi prendere forma tra Indonesia, Italia e Francia. In mezzo i problemi editoriali del primo marchio che aveva accettato di pubblicarla (Phoenix) e infine l’approdo in forma integrale presso le edizioni Coconino (fondate dallo stesso Igort): in tutto quasi un decennio di lavoro, fortunatamente ripagato da una folta attenzione che ha reso l’autore uno dei nostri più apprezzati artisti, e poi pubblicazioni anche in molti paesi esteri e un progetto per una prossima trasposizione cinematografica. Nel frattempo chi volesse colmare la lacuna e recuperare il fumetto non perda tempo, ne vale la pena.
Scritto e disegnato da: Igort
Pubblicato da Coconino Press e Rizzoli
176 pagine
1994-2002
Sito di Igort
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5 è il numero perfetto in mostra al Comicon 2007
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