Ancora un atto di fede nel cinema, ancora una folgorazione nel buio della sala. E’ quella che ci fa provare Philippe Aractingi con questo suo film, inseguito con pervicacia e con notevole rischio personale: Sotto le bombe nasce infatti come risposta alla distruzione portata dal conflitto israelo-libanese dell’estate 2006, come tentativo non soltanto di testimoniare il dolore del e per il paese sventrato dai bombardamenti, ma anche come atto creativo che si oppone allo smantellamento della realtà in atto. Un cinema capace dunque di fondere l’impegno alla passione e allo slancio artistico: ed è un cinema che si materializza in seguito a un urgenza, che non perde tempo e che vede Aractingi impegnato con una scarna troupe e pochi attori professionisti (il resto lo faranno le persone reali, che in quel momento soffrono e tentano di sopravvivere nella caotica situazione bellica) nei giorni stessi del bombardamento, per filmare le prime scene. Il resto è venuto dopo, quando il cessate il fuoco ha permesso di dare il via alla seconda fase delle riprese, quando si è potuto organizzare la storia e permettere alla toccante vicenda di Zeina di diventare cinema.
La componente documentaristica si è quindi fusa a quella di fiction, testimoniando il doppio registro sul quale il film viaggia continuamente, quello dello sguardo empatico sulla realtà, ma anche quello artistico, che attraverso la finzione cerca di guidare lo spettatore in un percorso umano di rara sensibilità, emozionante e capace di elaborare il dolore producendo un risultato vitale. D’altronde lo stesso Aractingi è un personaggio molto singolare in questo senso, ha un passato da documentarista, ma si è poi distinto con un musical, Bosta (inedito in Italia), che è risultato un enorme successo commerciale ed è stato candidato ai Premi Oscar 2006, e ne ha testimoniato la personalità eclettica e in grado di unire le influenze più disparate.
Sotto le bombe è in questo senso un film composito, dove non a caso l’intera progressione è attraversata da sentimenti difformi: ci sono momenti leggeri, dove il sorriso arriva a stemperare la drammaticità della situazione, e altri invece molto duri, e tutto si riassume nel paesaggio, che è il vero terzo personaggio dell’azione. Uno spazio di rara bellezza come è quello del Paese dei Cedri, che la macchina da presa accarezza con intensità e partecipazione, rendendo tutti noi partecipi dei colori e dei sapori di una terra che non merita il martirio cui è sottoposta. Uno spazio, perciò, anche ferito, costellato di macerie la cui miseria contrasta drammaticamente con i colori caldi della terra e dei paesaggi illuminati dal sole.
L’opposizione molto forte tra vita e morte, solarità e macerie, si riflette ovviamente anche nella dicotomia esistente tra Zeina e Tony: non soltanto per la diversa estrazione culturale e religiosa che rende i due personaggi opposti, ma anche per l’evidente differenza di ceto, lei ricca, ben vestita e affascinante, lui proletario e impacciato. Lo sguardo di Aractingi non giudica, ma cerca le occasioni perché i due possano imparare a conoscersi, siamo capaci di apprezzarsi per la rispettiva carica umana, possano comprendere i rispettivi dolori e le difficoltà che hanno attraversato nel corso della loro vita. L’esperienza comune diventa per questo qualificante e ogni piccolo arco narrativo assume un significato preciso nell’insieme, permettendo al rapporto di perdere la sua caratura opportunistica e merceologica: la ricerca di Karim, quindi, diventa ben presto per entrambi una necessità umana, che li vede uniti dopo che lui aveva inizialmente accettato di attraversare il paese soltanto dietro la promessa di un lauto compenso.
Allo stesso tempo, però, Aractingi è attento a non cadere nelle facili trappole del sentimentalismo spicciolo e un po’ ruffiano, ma lavora anzi sui dettagli, sui piccoli gesti e le situazioni, non esplicitando mai quanto si va sviluppando fra i due viaggiatori, dribblando il facile approdo amoroso e raccontando invece di una solidarietà umana: possiamo vederla come un’amicizia, un affetto, ma ciò che conta è la progressiva comunanza di vedute che permette ai due di superare gli ostacoli frapposti dalla società, dal ceto e dalla formazione religiosa per aprirsi a un universalismo molto forte, che costituisce il messaggio di speranza del film.
Aractingi non emette giudizi politici o storici sulle responsabilità delle fazioni in lotta, non ci parla di Israele o degli Hezbollah, poiché non è interessato ad accusare, quanto a cercare un punto di fuga che permetta al suo film di ambire a un universalismo che lo renda adatto a ogni situazione di sofferenza, empaticamente vicino a ogni persona che soffre ed è privata del diritto alla propria felicità. La scelta è ambiziosa, ma condotta con sincerità ed è sostenuta dalle eccellenti prove d’attore di Nada Abou Farhat, che regala a Zeina una bellezza e una intensità che è quella delle persone autentiche, lacerate da un dolore profondo, e di Georges Khabbaz, noto attore comico mediorientale, definito da Fabio Ferzetti una sorta di “Benigni arabo”, che è un Tony stralunato e tenero, mai sopra le righe.
Per trutto questo Sotto le bombe scalda il cuore e affascina nella sua progressione che, a dispetto delle sopraccitate difficoltà con cui è stato realizzato, si rivela molto agile, gratificata da un buon ritmo che non disperde mai la forza dei singoli eventi, ma conferisce al tutto una encomiabile compattezza, dispiegando l’intero arco emotivo prediletto dalla storia con garbo ed efficacia. E per questo riesce nella mirabile sintesi di commuovere e divertire.
Accolto da un lunghissimo applauso alla proiezione pubblica delle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia 2007, Sotto le bombe è un grido contro ogni ingiustizia, una delle più belle sorprese delle ultime stagioni cinematografiche.
(Sous les bombes)
Regia: Philippe Aractingi
Sceneggiatura: Philippe Aractingi e Michel Léviant
Origine: Francia/UK/Libano, 2007
Durata: 98’
Sito ufficiale del film (in francese e inglese)
Il conflitto israelo-libanese del 2006
Nessun commento:
Posta un commento