Ideato, scritto e prodotto dall’attore Ottaviano Blitch, che di fatto lo ha cucito totalmente addosso alla sua performance, Liver è un cortometraggio che trova nella regia di Federico Greco il viatico per elevarsi dalla massa e risaltare come opera potente e intrigante. Il bravo director romano, distintosi con l’ottimo dittico dedicato al presunto viaggio italiano dello scrittore Howard Phillips Lovecraft (Ipotesi di un viaggio in Italia e Road to L., realizzati entrambi con il collega Roberto Leggio), prende in consegna il materiale proposto da Blitch e ne fa un ennesimo tassello di un percorso artistico che, fra documentario e fiction, riflette sul labile confine tra realtà e sua rappresentazione, sugli inganni del reale e sulla finzionalità dell’opera cinematografica.
La messinscena di stampo teatrale ad ambiente unico, con due soli attori, si completa quindi attraverso un sapiente lavoro sul montaggio e sul sonoro, utile sicuramente a conferire pathos alla vicenda (in particolare nella scena che vede sofferente lo stesso Brompton), ma anche a sancire allo stesso tempo la realisticità dell’evento e il suo essere null’altro che una rappresentazione. L’assassino infatti è un istrione, pare rivolgersi a un ipotetico pubblico in un numero a metà strada fra il grand guignol e il cabaret (e in sottofondo lo scrosciare degli applausi accompagna effettivamente alcuni passaggi del “numero”), e il tutto crea un effetto molto straniante, per come stride con la crudezza delle scene di stupro e le torture inflitte alla sfortunata Rachel McWilliams. Allo stesso tempo alcune isolate inquadrature sgranate e imprecise, come fossero riprese da una videocamera che spia da chissà quale angolo della casa, spezzano la staticità dei punti di vista introducendo un ulteriore elemento di instabilità che amplifica l’idea della rappresentazione, della storia messa in scena per essere soltanto raccontata.
Il gioco di Harry “Liver” Brompton con la sua realtà è quindi orientato al possesso del comando su quanto accade: egli della scena è padrone e artefice, dopo anni passati in detenzione è finalmente libero di dare sfogo alla propria ira repressa e al proprio desiderio di controllare il mondo. Esemplare in questo senso il momento in cui zittisce con foga il telefono che aveva preso a squillare, simbolo molto chiaro del controllo che ormai detiene su quello scampolo di realtà. Il rovesciamento di prospettiva del finale in questo senso rappresenta ancora di più una sorpresa e un atto di forza che la realtà compie su di lui, per riappropriarsi del potere momentaneamente sottrattole dall’assassino.
Il film si costruisce inoltre attraverso un preciso percorso citazionista che vede Harry Brompton declamare dialoghi che riprendono famosi film, da Arancia Meccanica a The Snatch fino al celebre passo di “Ezechiele 25:17” da Pulp Fiction di Quentin Tarantino: film evocati non soltanto allo scopo di stabilire una sorta di ipotetico legame con un cinema dedicatosi nel tempo a una rappresentazione “artistica” della violenza, ma anche per stabilire una volta di più la teatralità della messinscena, l’esubero di brutalità che diviene grottesca rappresentazione di un universo mentale (quello dello stesso Liver) deviato, ma anche affascinato da se stesso e, per certi versi, pure affascinante agli occhi dello spettatore.
Il tutto confluisce nel visionario (e per certi versi anche enigmatico, visto il dubbio sollevato dalla didascalia finale) finale, dove Harry si ritrova faccia a faccia con i diversi lati della sua personalità, nell’attimo dell’agonia, mentre la splendida canzone “Signal to Noise”, nell’incisione originale di Peter Gabriel e Nusrat Fateh Ali Khan, commenta in sottofondo il dolore del momento e al contempo la sua massima glorificazione per un attore che arriva a morire in scena, massima aspirazione possibile per il proprio narcisismo. Per questo Harry si confronta con una rappresentazione oscenamente grottesca della morte e con un possibile se stesso che nel declamare i versi vede il suo viso rigato da una lacrima - i credits finali lo indicano come “Peter”, forse a suggerire un ulteriore rimando allo stesso Peter Gabriel, che amplia il gioco di riferimenti dell’intera opera, come in un gioco di scatole cinesi.
Presentato in diversi festival di settore, Liver è stato premiato al PesarHorroFest 2007 con una menzione speciale della Giuria a Ottaviano Blitch e al ToHorrorFestival 2007.
Regia: Federico Greco
Sceneggiatura: Ottaviano Blitch
Origine: Italia, 2007
Durata: 17’
Myspace di Federico Greco
Myspace di Ottaviano Blitch
Trailer di “Liver” su YouTube
3 commenti:
Lo premiammo l'anno scorso a Pesaro: l'ho rivisto anche di recente, e continuo a trovare il narcisismo del protagonista difficile da digerire...
ma, coem si dice, "ha i suoi estimatori"...
Quando lo vidi a Pesaro mi colpì la durezza delle scene violente, che arrivavano diritte come un pugno al "fegato". Ma ripensandoci ho cominciato a sentirlo più come una sorta di esibizione (ottima) del protagonista, volto puramente ad esaltare la sua "creatività" e la particolarità delle sue "performance"...Ho sentito poca anima e ho visto troppo ego. Pur rimanendo un valido prodotto lo reputo un pochino sterile...
Sai già cosa ne penso di Liver caro davide... un corto che ho amato moltissimo, un colpo di fulmine... e sono molto contento che tu ne abbia così approfonditamente parlato nel blog. Greco e Pastrello sono forse gli unici autori indipendenti italiani in grado di sfondare nel cinema mainstream, se qualcuno gli darà la possibilità di farlo!
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