Esistono dei film che si cercano e altri che vengono invece a cercare l’appassionato. Magari sono pellicole a basso costo, di difficile reperibilità, che i circuiti ufficiali snobbano con pigrizia, ma che pure ogni tanto rispuntano fuori, per via diretta o indiretta. Film, insomma, che esistono e si palesano principalmente attraverso i rimandi incrociati che generano con altri film e che per questo dimostrano di essere importanti, tutt’altro che trascurabili! E sappiamo quindi che prima o poi torneranno a incrociare giocoforza il nostro cammino.
Chissà se nel 1962, quando Herk Harvey decise di prendersi tre settimane di pausa dai film industriali ed educativi che realizzava con la sua piccola casa di produzione per girare Carnival of Souls, il pensiero che stava realizzando un classico destinato a una carriera sommersa gli sarà mai balenato per la mente. Di certo la sua scomparsa, avvenuta soltanto 6 anni dopo, gli ha impedito di comprendere quanto il suo piccolo film avrebbe seminato nell’immaginario di più di un regista e di come la sua arte sarebbe stata in grado di smuovere forze precedentemente sedimentate in forme espressive altre: non è un mistero che il film debba non poco a un breve racconto come Accadde al ponte di Owl Creek, scritto da Ambroce Bierce nel 1891, la cui idea del finale a sorpresa era stata fino a quel momento relegata soltanto ad alcuni piccoli prodotti televisivi (esemplare in questo senso l’episodio The Hitch-Hiker della prima stagione di Ai confini della realtà).
Certo, Harvey in questo senso ha gettato il proverbiale sasso nello stagno, se consideriamo come altri registi, dopo di lui, gireranno storie che proprio sul rovesciamento di prospettive del finale trovano parte della loro ragione d’essere (pensiamo ad Allucinazione perversa di Adrian Lyne o Il Sesto Senso di M.Night Shyamalan).
Ma in verità non è soltanto questo il merito del suo film, quanto quello di aver saputo creare una tangibile atmosfera di orrore onirico dalla quale avrebbero attinto anche altre tipologie di racconto cinematografico: se viene spontaneo pensare a Wes Craven (che non a caso nel 1998 produrrà il remake) e alla sua saga di Nightmare, meno scontato è scoprire che una delle più belle sequenze de La terra dei morti viventi di George Romero (quella che vede gli zombi uscire dalle acque del fiume) rappresenta un chiarissimo rimando al lavoro di Harvey.
Shyamalan, Craven, Romero: il gotha del cinema fantastico dunque, che basterebbe da solo a tutelare il nome di Harvey come uno di quelli da tenere in alta considerazione nella storia ancora parzialmente scritta del cinema sommerso e dimenticato, utile a fare di Carnival of Souls un autentico caposcuola. Ma il film è comunque capace di brillare di luce propria, per la regia senza sbavature, che predilige punti di vista spesso anomali in grado di tracciare geometrie espressioniste negli spazi in cui si ambienta la storia; per la minimale musica d’organo che serpeggia in sottofondo, creando un’atmosfera di sottile inquietudine palpabile per tutta la durata del film; per la bellezza dell’ottima fotografia in bianco e nero, in grado di dare corposità alle figure (guidate dallo stesso Harvey nel ruolo del capo dei non morti) e ugualmente di mantenere quella sensazione impalpabile ed eterea tipica dei sogni.
E poi ancora per l’efficace figura di Candace Hilligoss, protagonista diafana, di chiara matrice hitcockiana nel suo rispondere allo stereotipo della “bionda in pericolo”, capace con la sua sola presenza di risultare tanto affascinante e indifesa quanto assente a se stessa, bramata dagli spettri e a tratti ignorata dai vivi: quello che la storia compie con lei è un gioco inquieto che la vede al contempo fulcro di tutto e distratta pedina nella scacchiera, icona del desiderio, preda dei “farfalloni” di turno, oppure oggetto di studio per lo psichiatra che tenta di iniettare realismo nella vicenda, ma anche fantasma tra i vivi e viva tra i fantasmi, fino alla macabra danza finale che rappresenta l’apice espressivo del film: altro momento in grado di generare sensazioni opposte, racchiuso com’è in un sentimento di pietà, poesia e orrore. Ma anche il momento che più di altri stabilisce la natura sbilenca e inafferrabile del film, la sua tendenza a non lasciarsi corteggiare dai facili schematismi per divenire invece opera libera. Perché in fondo Carnival of Souls non è soltanto una qualsiasi storia di fantasmi, è anche un malinconico oggetto filmico pregno di un particolare sense of wonder e questo, più di ogni altra cosa, è sufficiente a consigliarlo.
Regia: Herk Harvey
Sceneggiatura: Herk Harvey, John Clifford
Origine: Usa, 1962
Durata: 74’
Il racconto “Accadde al ponte di Owl Creek”
4 commenti:
bellissima recensione e grande recupero...per gli appassionati dell'horror e delle atmosfere di David Lynch veramente imperdibile
ca-po-la-vo-ro !
Shyamalan(e non solo)in effetti dovrebbe costruire un monumento in suo onore.
Degno caposcuola, sì, uno dei film più umbratili di sempre. Bella riscoperta.
Ebbene sì, lo confesso, non l'ho mai visto. E ti ringrazio molto per questo post perchè mi sono reso conto di una brutta lacuna che dovrò al più presto colmare!
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