"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 15 giugno 2013

The Bay

The Bay

Le immagini e i video raccolti da Donna Thompson, aspirante giornalista, ci mostrano gli avvenimenti occorsi fra il 4 e il 5 luglio 2009 a Claridge, cittadina del Maryland situata presso la Baia di Cheasapeake. Il luogo, impegnato nei festeggiamenti per il giorno dell'indipendenza, era infatti diventato il ricettacolo di un contagio portato avanti da alcuni microorganismi mutati dall'inquinamento della baia, e trasformatisi in parassiti capaci di divorare i corpi degli animali e delle persone dall'interno. Donna si trovava sul posto per realizzare un documentario per l'università e così ha potuto assistere agli eventi: il resto è frutto di un lungo lavoro di raccolta dalle fonti più svariate (home movies, riprese di due oceanografi, telecamere a circuito chiuso dell'ospedale e via citando). Ora la ragazza diffonde il frutto delle sue ricerche via skype, per far luce su una verità che le autorità hanno preferito mantenere sotto silenzio.


Inevitabile restare spiazzati di fronte alla prospettiva che a dirigere un piccolo film horror sia un regista “istituzionale” come Barry Levinson (peraltro assente dal grande schermo da almeno un lustro): sulle prime non si capisce infatti cosa leghi l'autore Premio Oscar di Rain Man, capace di assemblare cast di autentiche star per progetti come Sleepers, a una pellicola indipendente, composta quasi unicamente da non professionisti o da attori di secondo piano - la protagonista Kether Donahue, ad esempio, è principalmente una doppiatrice. Magari i più scossi potranno trovare “normalizzante” il fatto che il progetto nasce da una commissione: Levinson era stato infatti contattato per realizzare un documentario sull'inquinamento (reale) della baia di Cheasapeake, salvo poi decidere di rinunciare all'impresa, a causa dell'esistenza di un ottimo contributo sul tema già realizzato per Frontline (vedere fra i link in calce). L'idea però è poi tornata a farsi avanti sotto forma di pellicola di genere.

A prescindere da simili informazioni, Levinson è comunque meno estraneo di quanto si possa pensare a una simile pellicola: spesso la percezione immediata non è infatti quella giusta, perché a scorrere la filmografia del regista troviamo altri progetti fuori dagli schemi, e capaci di rivelare uno sguardo trasversale da parte di un autore decisamente versatile, e attento alle possibilità offerte dal cinema indipendente. Il caso più evidente riguarda l'ottimo e sottovalutato Sesso & potere, satira lucidissima sulle menzogne del potere, sulla falsificazione della realtà e sulle strategie comunicative con cui la politica impone il proprio punto di vista alle masse.

The Bay rappresenta un completamento di simili progetti, articolato secondo direttive estetiche senza dubbio innovative per Levinson, che abbandona la messinscena tradizionale e lo stile “nascosto” per avvalersi delle strategie del Point of View Cinema e, in particolare, di quelle branche declinabili con i termini Found Footage o Mockumentary: il film è infatti costruito come una falsa ricostruzione documentaria, basata su riprese amatoriali e materiali d'archivio, assemblati in modo da articolare un discorso, sebbene poi (il Romero di Diary of the Dead insegna) Levinson inserisca anche una colonna sonora in grado di rendere maggiormente espressive le situazioni (strategia peraltro perfettamente apparentabile ai codici linguistici dei format televisivi alla Real TV).

Il lavoro di documentazione è basato in larga parte su una forte drammatizzazione di elementi reali: l'inquinamento della baia americana, come già evidenziato, è reale, così come le mutazioni che interessano alcuni parassiti. Allo stesso tempo, la caratterizzazione dei personaggi segue un gustoso tentativo di descrivere la quotidianità e la normalità della classe media americana, donando un'impronta quasi sociologica al girato (aspetto, quest'ultimo, purtroppo appiattito dal mediocre doppiaggio italiano).

L'aspetto più interessante dell'operazione sta proprio in questa ricerca stilistica, che, ai codici di un linguaggio comunque già codificato da un piccola ma fiorente tradizione, unisce una ricognizione filologica e cinefila sui temi e sui tempi dei vecchi film d'invasione anni Cinquanta e degli eco-vengeance degli anni Settanta, con in prima fila il capolavoro di Steven Spielberg, Lo squalo (sebbene Levinson neghi curiosamente questa filiazione, che quindi sarebbe da ritenersi inconscia). Ritroviamo infatti una serie di figure retoriche che creano un ideale ponte con quelle stagioni, evidentemente imprescindibili per come sapevano unire il divertimento spettacolare alla capacità di toccare i nervi scoperti del sentire comune. Abbiamo quindi la cittadina in pericolo, le autorità che cercano di tenere nascosto il pericolo per non compromettere la stagione turistica o l'industria locale, alcuni personaggi solitari che cercano di scoperchiare il vaso di Pandora (in particolare giornalisti e oceanografi), fino all'inevitabile esplodere della minaccia.

Levinson riesce a tenere insieme la “memoria storica” dei film capaci di essere commerciali e al contempo di denuncia, senza cadere nella trappola della facile filologia cinefila. Al contrario, il rimando alle stagioni sopracitate serve a cementificare suggestioni che per il resto denunciano una forte radicalità, grazie anche a un'ironia intelligente (memore della lezione satirica di Sesso & potere) che sbugiarda le inettitudini di cui è ormai infetto l'intero sistema sociale, come dimostrano le insistite inquadrature della bandiera americana: tutto è quindi costruito sulla falsificazione dei dati e sul nascondere gli errori, si veda l'incidente nucleare non denunciato perché tanto gli effetti si sarebbero visti soltanto dopo il 2014. Ma quella descritta dal film è anche una realtà dove, chi detiene le fila del potere non soltanto è del tutto inadeguato a farlo, ma, anzi, sguazza felice e ignaro tra i frutti del disastro che sta producendo: emblematico in questo senso il sindaco che beve l'acqua inquinata, condannandosi in tal modo a subire la stessa sorte dei suoi concittadini.

The Bay è quindi principalmente questo: un'intelligente ricognizione sulla stupidità al potere e sul bisogno di ricostruire una realtà ormai falsificata da un uso istituzionale della bugia. Stavolta la tecnologia sembra venire in aiuto (diversamente da quanto accadeva in Sesso e potere) e in questo sta la declinazione al presente delle riflessioni sui linguaggi care al regista, che lascia intravedere un barlume di speranza nel volgere a vantaggio della conoscenza l'uso consapevole delle forme di comunicazione, nell'era della mescolanza dei codici narrativi.

Per il resto, The Bay dimostra anche di saper creare il giusto disagio attraverso sequenze molto indovinate, un uso materico degli effetti speciali e una parte finale ottimamente asfissiante e claustrofobica nel costringere i vari personaggi in ambienti chiusi e isolati, mentre le strade si riempiono di cadaveri.


The Bay
(id.)
Regia: Barry Levinson
Sceneggiatura: Michael Wallach
Origine: Usa, 2012
Durata: 84'

1 commento:

myers82 ha detto...

Proprio bello questo The Bay, mi ha sorpreso assai, mai mi sarei aspettato un film del genere da Levinson, che cmq stimo al massimo per il meraviglioso Rain Man.

PS sesso e potere mi manca, mi sa che lo recupero se vale la pena