"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 13 giugno 2013

Star Trek Into Darkness

Star Trek Into Darkness

James T. Kirk viene sollevato dal comando dell'astronave Enterprise per l'eccessiva tendenza a non rispettare i regolamenti della Federazione, ed è degradato a primo ufficiale dell'Ammiraglio Pike. L'attacco feroce del terrorista John Harrison, però, provoca la morte di Pike e così Kirk riottiene il comando della nave e l'incarico, da parte dell'Ammiraglio Marcus (comandante supremo della Flotta Stellare), di inseguire ed eliminare Harrison, che si è rifugiato sul pianeta Kronos, capitale dell'Impero Klingon. L'impresa è rischiosissima, a causa dei già precari equilibri esistenti fra la Federazione e i Klingon: su Kronos, però, Harrison si lascia catturare da Kirk, e cerca di convincerlo che il vero nemico sia lo stesso Ammiraglio Marcus, che sta tentando di trascinare terrestri e klingoniani verso la guerra totale per la sua sete di potere. Lo stesso Harrison non è chi viene accusato di essere, ma qualcuno la cui identità si perde nel remoto passato e in battaglie già combattute in altri universi...


Archiviata la classica storia di origini (in questo caso di re-inizio), J. J. Abrams può ora dare maggiore compiutezza alla sua peculiare visione di Star Trek, concentrandosi su quei legami familiari sempre centrali in ogni tassello della sua opera (da Alias a Super 8). D'altra parte, lo stesso film del 2009 vedeva il personaggio di Kirk rifondato a partire dalla perdita del padre, causata dallo stesso paradosso che generava la nuova continuity: il tutto mentre la successiva ricerca di un “posto nel mondo” da parte del giovane ribelle, finiva naturalmente per coincidere con l'approdo nella “famiglia” della Flotta Stellare.

Ora bisogna cementare quelle unioni, attraverso un più intricato lavoro sulle psicologie dei personaggi e sulle dinamiche alla base delle reciproche interazioni, lavorando sempre di sponda con quanto già forgiato da Gene Roddenberry quasi 50 anni prima. Il film, non a caso, è tutto incentrato sia sull'importanza dei legami che uniscono i personaggi, che su un rapporto critico con le lezioni impartite dal passato. Si riparte quindi da una nuova perdita, che stavolta colpisce l'Ammiraglio Pike, figura vicaria di quella paterna per Kirk, laddove l'Ammiraglio Marcus è addirittura un padre triplice (per la Federazione, per sua figlia Carol e, di riflesso, anche per Harrison, Kirk e tutti i ragazzi della Flotta). Il cattivo di turno (un impressionante Benedict Cumberbatch!) è invece motivato ad agire per l'amore che prova nei confronti di un equipaggio di suoi simili, esplicitamente chiamato in causa in quanto famiglia.

Come a ribadire che il discorso non interessa particolarmente le gerarchie, ma è tutto articolato all'interno di legami personali e anche “intimi”, la storia si diverte spesso a sovvertire i ruoli, riassegnando in continuazione il posto di Capitano dell'Enterprise (a Kirk, a Pike, a Sulu, a Spock), creando in tal modo una struttura orizzontale dove ogni personaggio è pari, si copre le spalle a vicenda (Spock salva la vita a Kirk dopo essere stato a sua volta salvato) e la formalità dei rapporti fra ufficiali (con le celebri espressioni formali e l'uso del lei) si intreccia a discussioni più colloquiali. Personaggi che vengono allontanati dal loro ruolo (lo Scotty del sempre impareggiabile Simon Pegg) diventano falle vistose nell'organigramma e anzi rientrano in gioco in quanto figure dirimenti per i problemi che si sono nel frattempo venuti a creare.

La classica dicotomia fra l'impulsività di Kirk e il raziocinio estremo di Spock trova dunque il suo doppio nella contrapposizione anche feroce tra i doveri imposti dalla missione e il senso della solidarietà che muove i personaggi, e che si risolve nell'apparente contraddizione di un primo ufficiale che zittisce a forza i sentimenti per i propri legami affettivi, mentre il Capitano sembra del tutto impreparato a rivestire il ruolo che gli compete (“non so cosa devo fare, ma so cosa posso fare”). Per entrambi, quindi, l'avventura è un percorso (“trek”) che li porta a comprendere meglio il proprio posto, ma solo quando esso arriva a coincidere con lo schema articolato dai legami personali.

Da questo versante non stupisce dunque il fatto che il confronto familiare sia anche quello che pone la nuova continuity abramsiana in rapporto dialettico con quella originale (qui rappresentata dallo Spock anziano del meraviglioso Leonard Nimoy), con cui i nuovi personaggi possono rapportarsi direttamente, ma che allo stesso tempo devono imparare a metabolizzare in quanto non più semplice retaggio del passato, ma quale esperienza del loro presente. Ecco dunque che il film, nel chiamare direttamente in causa Star Trek II, si pone spesso in contraddizione allo stesso, apre nuove strade o rovescia vecchie situazioni (il sacrificio di Spock per salvare il motore dell'Enterprise stavolta è a parti invertite), anche qui ragionando nel merito dei legami e delle loro implicazioni (il discorso, naturalmente, si amplifica via via che il pubblico entra in risonanza con la più o meno approfondita conoscenza della “mitologia” del brand).

Su tutto c'è naturalmente il lavoro visuale che già aveva meravigliato e convinto nel precedente capitolo, attraverso un uso innovativo eppure allo stesso tempo così retrò (giustamente paragonato alle epopee lucasiane) dei design: fotografia con colori “sparati”, design tondeggianti, un 3D molto “ludico” nello scagliare oggetti verso lo spettatore, e un certo senso materico delle azioni, fatte di gesti, cazzotti, sangue... tutti elementi che creano una sinergia felice fra le origini “datate” del franchise e le terminazioni di una fantascienza d'azione che vuole stare nel nostro presente. Fatto che peraltro permette a Star Trek di continuare a portare avanti l'idea di un'avventura spaziale, genere ormai abbastanza trascurato dalla scena contemporanea, sempre troppo propensa a confondere realismo e aridità immaginifica.

E' per questo che, ancora una volta, la sensazione che la visione suscita è quella di un progetto commovente per la fede in ciò che fa e per un'idea di cinema pregna di sense of wonder. Quand'anche Abrams dovesse abbandonare del tutto questa epopea per dedicarsi anima e corpo alla reprise di Star Wars, chi ne raccoglierà il testimone potrà comunque avvantaggiarsi di un disegno narrativo ormai perfettamente compiuto.


Into Darkness - Star Trek
(Star Trek Into Darkness)
Regia: J. J. Abrams
Sceneggiatura: Alex Kurtzman, Roberto Orci, Damon Lindelof
Origine: Usa, 2013
Durata: 133'


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2 commenti:

myers82 ha detto...

La saga classica di Star Trek non mi è mai piaciuta, mi sa che ho visto solo l' 1 e il 3, ma qualche anno fa vidi il reebot di Abrams e lo trovai molto carino, questo sequel sembra ancora meglio e cosa che mi invoglia maggiormente a vederlo, sembra alquanto cupo, quindi se ho tempo me lo vado a vedere volentieri, anche se nei prox giorni escono Tulpa, Stoker e L'uomo d'acciaio e questi 3 non me li perdo di sicuro .
Sulla rece, sempre ottima e molto interessante ;-)

myers82 ha detto...

IERI son riuscito ad andare a vedere Into Darknes e devo dire che mi è proprio piaciuto, girato benissimo e con ottimi persoaggi, il cattivo su tutti ;-)

Aspetto con ansia di vedere cosa combinerà sto mattacchione di Abrams con Star Wars ;)

PS: riguardo all'ultima frase del mio precdente post: Tulpa e Stoker molto belli, Uomo d'acciaio osceno e ci son rimasto male perchè da Snyder e soprattutto da Nolan mi aspettavo un filmone e invece.....