"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 26 marzo 2013

Killer Joe

Killer Joe

Chris è un giovane spacciatore e deve 6000 dollari al suo fornitore: per racimolare la somma necessaria decide di eliminare sua madre, in modo da riscuoterne l'assicurazione sulla vita. A compiere materialmente l'omicidio sarà Joe Cooper, un poliziotto locale che “arrotonda” le sue entrate come killer. Chris ha un complice nel padre, che lo aiuterà a organizzare la cosa. Joe accetta di fare il lavoro, ma poiché i due non sono in grado di garantirgli la caparra, chiede (e ottiene) di poter fare l'amore con Dottie, la sorella innocente di Chris. Così, il ragazzo deve barcamenarsi fra l'esigenza di racimolare il denaro e il forte senso di protezione per la sorella, che non sopporta di vedere trattata da Joe come la sua donna. E quando poi si scopre a chi è intestata davvero l'assicurazione sulla vita della madre, Chris inizia a trovarsi nei guai...


Avevo perso un po' di vista William Friedkin, che effettivamente non girava un film da più di un lustro. Ma ancora più temevo che l'ambiguità, da sempre suo marchio di fabbrica, si fosse un po' stemperata nella confusione che affliggeva due film pure interessanti come Regole d'onore o Bug (quest'ultimo peraltro molto amato in rete). Invece, per fortuna, il regista di Cruising e L'esorcista non ha perso il tocco e il suo ritorno avviene nel segno di un'altra grande pellicola! Killer Joe, peraltro, è un po' uno speculare del già citato Bug: come quello è infatti tratto da una pièce teatrale di Tracy Letts (anche sceneggiatore) e trova la sua maggior forza espressiva nelle scene d'interni, quando i personaggi lasciano esplodere i conflitti e le tensioni umane, parentali e sessuali che il racconto dissemina lungo il suo percorso.

Stavolta però ci sono due valori aggiunti: il primo è il tono. Friedkin riesce ad affrontare gli argomenti a lui cari attraverso un tono in perenne opposizione alle apparenze. Il film, infatti, è serissimo nel mettere in scena un ritratto di degradazione umana a dir poco devastante, ma lo fa con l'arma dell'ironia e del grottesco. Killer Joe è insomma un noir, ma appare quasi una parodia del genere, per la costante ricerca di un sopra le righe che diventa perfetta forma espressiva di un universo impazzito. Il regista riesce così a rendere il grottesco un linguaggio flessibile, in grado di colpire lo spettatore divertendolo, ma senza mai celare lo squallore dello scenario che racconta.

L'altro punto di forza è il casting, in cui Friedkin continua questo discorso di rovesciamenti e, allo stesso tempo, crea risonanze eccellenti. Se vedere Emile Hirsch nell'inedito ruolo di “cattivo” o il granitico Tomas Hayden Church come vecchio padre fallito può già apparire interessante, è nella scelta di Juno Temple e, soprattutto, di Matthew McConaughey che l'autore colpisce nel segno. La prima riesce infatti a fare propria l'ambiguità friedkiniana risultando allo stesso tempo tenera e non priva di una sensualità anche disturbante per come l'idea della sua violazione fisica si sposa alla perdita dell'innocenza. Non a caso Dottie ci viene sì presentata come una ragazzina tenera e un po' svanita, una sorta di fiore cresciuto nel mezzo del nulla, ma anche come un corpo adulto che genera sogni conturbanti nello stesso fratello Chris. La tensione sessuale e quella parentale, insomma, sono legate in modo molto fitto. E Dottie è poi anche il personaggio più complesso, come dimostra la sua preminenza nel finale.

McConaughey è invece Joe, personaggio apparentemente fuori contesto, con la sua parlata sempre modulata sui toni bassi (rigorosamente da gustare in versione originale), il suo abito nero che lo connota come personaggio iconograficamente ben definito, ma allo stesso tempo ne annulla quella fisicità che pure il regista non dimentica quando ci mostra l'attore completamente nudo. Joe, insomma, oscilla fra la sovrastrutturazione iconica di un corpo perfettamente costruito (che sembra uno scampolo impazzito di Cruising improvvisamente calato nel corpo del film) e lo stemperarsi di un personaggio che si muove dietro le quinte, fra le pieghe della legalità, nel doppio ruolo di tutore della legge e di suo distruttore. Anche qui Friedkin elabora visivamente il concetto quando trasfigura Joe nella sua ombra, ritagliandone l'inconfondibile sagoma con il cappello.

Eppure Joe è, alla fin fine, l'elemento di coesione di questo universo in disfacimento: non a caso è lui a officiare la cena finale che dovrebbe sancire il suo ingresso “in famiglia”. Qui Friedkin gioca di sponda con le risonanze create dall'attore, ricordando la sua partecipazione a Non aprite quella porta IV: tutta la scena finale della cena appare infatti una trasfigurazione in senso lato degli umori impazziti che serpeggiano nella saga di Leatherface, e ci ricordano che Killer Joe è – a conti fatti – un film horror, perché possiede la lucidità politica del genere, lo sguardo critico nei confronti delle istituzioni precostituite (come la famiglia). Perché sa giocare con i cliché e i personaggi e nel mettere in scena il disfacimento di un nucleo familiare, ne rafforza la portata iconica e tragica. Ed è un cinema di corpi, esaltati e allo stesso tempo violati, sempre incapaci di celare la mostruosità dell'animo o, magari, di sottolinearla attraverso il gioco degli opposti. Un lavoro che fa capire davvero come il casting e la regia qui sfiorino la perfezione.


Killer Joe
(id.)
Regia: William Friekdin
Sceneggiatura: Tracy Letts (dalla sua pièce teatrale)
Durata: 100'
Origine: Usa, 2011

1 commento:

myers82 ha detto...

che FILMONE questo Killer Joe, sono andato a vederlo al cinema e quando sono uscito dalla sala ero frastornato, tutta la sequenza finale è di una perversione unica, una cattiveria che veramente mette a disagio, ma allo stesso tempo diverte.
Grande Friedkin e grande cast, McCounaghey sta iniziando a sorprendermi, fino a qualche anno fa lo si vedeva solo nelle commediaccie romantiche squallide e perbeniste dove lui pareva incartonato, ma da un po di tempo a questa parte sta dimostrando di avere un certo talento, in questo film è veramente bravo.
Un ritorno coi fiocchi per Friedkin dopo il (a mio avviso) non riuscito Bug.