"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

domenica 1 maggio 2011

Thor

Thor

Oltre le stelle sorge Asgard, dimora degli dei, governata dal saggio Odino. Il suo primogenito Thor, dio del tuono, è il prescelto per succedergli, ma il suo carattere è arrogante e un tentativo di attacco al regno da parte dei Giganti di Ghiaccio lo porta a contravvenire agli ordini del padre e a muovere guerra agli invasori. Per questo Odino lo bandisce, confinandolo sulla Terra in vesti mortali. Qui Thor conosce Jane Foster, una giovane ricercatrice i cui studi sono volti a scoprire i passaggi fra la Terra e gli altri regni. Con lei Thor deve affrontare l'onta di essere straniero in un mondo che non sente suo e la maledizione di essere privato dei suoi poteri, tanto da non riuscire più a sollevare il suo leggendario martello Mjolnir (che viene guardato a vista dagli uomini dello SHIELD). Nel frattempo il suo fratellastro Loki trama nell'ombra, tentando di recuperare quel favore mai ottenuto da Odino, e per questo cerca di eliminare Thor.


Uno degli aspetti più interessanti di Thor è il suo essere contemporaneamente dentro e fuori il Mito: estrapolata dai racconti norreni, la sua figura appare infatti anacronistica rispetto agli scenari urbani del fumetto Marvel, ma è pur vero che la verticalità delle linee asgardiane, sovrapposta a quella dell'architettura di New York, crea interessanti punti di contatto fra la forza ancestrale del Mito e la narrazione moderna che vede nell'iconicità del paesaggio cittadino uno dei punti di forza del racconto supereroico. Data questa premessa era dunque ipotizzabile che la scelta di privare la trasposizione filmica di tale parallelismo fosse uno sbaglio: Kenneth Branagh infatti relega le avventure terrestri del Dio nello scenario desertico del New Mexico, creando un effetto di distanza e straniamento fra le due realtà (anche se va aggiunto che in tempi più recenti lo stesso fumetto ha offerto scenari simili).

Allo stesso modo poteva apparire sbagliata la scelta di abdicare a quelle tonalità psichedeliche tipiche delle tavole di Jack Kirby, in favore di un taglio più “realista”, dove la grandiosità scenografica e la virulenza degli effetti speciali comunque non deroga mai al principio di porre in essere uno spazio di evidente coerenza interna (si veda il Bifrost, leggendario Ponte dell'Arcobaleno, che qui si connota come un poderoso meccanismo più sci-fi che fantasy, unitamente al look hi-tech dei costumi).

La visione della pellicola, però, sorprende e conferma quanto invece queste scelte siano state giuste, poiché articolano il progetto lungo la sottile faglia che regola i concetti di distanza e avvicinamento. Così come accade nel fumetto Marvel, dunque, Thor è un film in bilico fra opposti: è sicuramente innegabile che la fase dell'allontanamento sia trattata con maggior cura, poiché i conflitti generati dalle mancanze affettive e dall'impulsività anche violenta del sentimento (Loki non dichiara mai odio per il fratello) trovino una trattazione più compiuta, laddove invece il ravvedimento di Thor e, soprattutto, il suo nascente legame con Jane Foster è osservato con fare più sbrigativo.

Ma Branagh vince la sua scommessa soprattutto sul versante squisitamente visivo e linguistico: se la scrittura sfrutta infatti meccanismi universali che sono sicuramente riconducibili al precipitato delle originarie sceneggiature di Stan Lee e, ancor prima, alle tragedie familiari del prediletto Shakespeare, il lavoro del regista si premura di articolare queste dinamiche attraverso una puntuale elaborazione degli spazi scenici, delle ambientazioni e del tono. In ragione di questo, l'orizzontalità dello scenario terrestre, contrapposta alla verticalità dei palazzi asgardiani rimarca da un lato l'alterità del nostro mondo in cui Thor si ritrova prigioniero, e dall'altra la mancanza di quella gerarchia che vige nel mondo degli dei e che, di fatto, genera il malcontento nella figura di Loki.

Il “cattivo” del film, sorretto dalla memorabile interpretazione della scoperta Tom Hiddleston, è infatti connotato come una sorta di vittima di scelte che lo precedono: che sono le scelte compiute da un padre che gli ha nascosto la verità sulla sua vera natura, ma anche quelle codificate da una tradizione che istilla naturalmente l'odio fraterno attraverso una corsa alla successione che non ammette deroghe e insubordinazioni. Thor e Loki, dunque, sono destinati a non poter essere compiuti in quanto entrambi figli di una dottrina che condanna all'unilateralità.
 
Pertanto, sia Thor che Loki sono creature “di mezzo”, che devono trovare la propria ragione d'esistenza attraverso il confronto con una realtà opposta: la Terra per Thor e il mondo dei Giganti di Ghiaccio per Loki. Diverse sono però le conseguenze del loro percorso iniziatico: ricostruzione per Thor e distruzione per Loki. Il dio del tuono si rigenera attraverso l'immersione in una realtà non verticistica, dove anche le autorità rappresentate dallo SHIELD sono comunque “dalla stessa parte” e la famiglia di Jane Foster, sebbene non nucleare, raggiunge ugualmente la piena funzionalità attraverso le figure vicarie dei consanguinei (lo scienziato/padre e la stagista/sorella). Al contrario, Loki (qui non ancora “dio del Male”) procede per un processo di distruzione che sia ricostruzione di un rapporto padre/figlio logorato dalle mancanze e dai segreti: non a caso la sua ricerca di legittimazione in quanto Re passa anche per una costruzione del consenso da parte dei sudditi (la domanda ad Heimdall se lo riconosca e gli obbedisca come faceva con il padre) e dei compagni (i guerrieri, accolti come amici). Il percorso diventa così opposto: Loki sente di dover rigenerare la sua qualifica di figlio, mentre Thor deve acquisire quella di uomo/dio/futuro re.

Conseguentemente diversi sono anche i registri narrativi che animano le due diverse parti: più solenne, aulica e fiabesca l'avventura asgardiana, maggiormente ironica e citazionista la parentesi dell'esilio terrestre. Sintomo di una regia che, pur nell'essere abbastanza su commissione (come in tutti i lavori prodotti direttamente dai Marvel Studios), è comunque riuscita a ritagliarsi degli spazi personali e a rendere Thor un cinefumetto più riuscito della media. Appuntamento a Captain America e I Vendicatori.


Thor
(id.)
Regia: Kenneth Branagh
Sceneggiatura: Ashley Miller, Zack Stentz, Don Payne (da un soggetto di J. Michael Straczynsky e Mark Protosevich, basato sui personaggi creati da Stan Lee e Jack Kirby)
Origine: Usa, 2011
Durata: 130'


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