The Loved Ones
Brian Mitchell è scivolato nell’apatia da quando ha causato suo malgrado la morte del padre con un incidente d’auto. Si avvicina intanto il tradizionale ballo del diploma e Brian viene invitato da Lola, ma rifiuta. La ragazza però non ci sta e, con la complicità del padre, rapisce Brian per poi sottoporlo a continue vessazioni. Nel frattempo Jaime, il miglior amico di Brian, passa anche lui una serata difficile con Mia, ragazza di cui è follemente innamorato, ma che si rivela dotata di un carattere fortemente instabile.
Generalmente snobbato, il cinema australiano a volte produce delle pellicole che riescono a stagliarsi per la forza espressiva e la capacità di indagare le zone d’ombra e le paure ancestrali dell’animo umano. Il punto di partenza quasi sempre è addirittura banale nella sua semplicità. Prendiamo ad esempio il classico rito del “ballo di fine corso”: dal versante generazionale è un momento importante, che soprattutto in alcune società diventa una sorta di consacrazione del proprio status, un momento propedeutico a una sorta di prima affermazione e accettazione sociale, quando si è re e regine per una notte.
Il cinema ha spesso indagato la zona oscura di questi rituali giovanili, pensiamo a pellicole come Non entrate in quella casa o Carrie: bene, cosa sarebbe successo se, invece di subire gli scherzi feroci delle compagne e patire una delle peggiori notti della sua vita, la dolce Carrie avesse deciso di imbracciare lame, trapani e quant’altro per infierire sull’accompagnatore in puro stile Misery? A un interrogativo del genere risponde The Loved Ones, che gioca con divertimento la carta dell’assurdo e del rovesciamento di prospettive rendendo la vittima carnefice (e viceversa). La classica “bruttina” della scuola, dunque, ottiene il suo personale ballo di fine anno con un compagno-vittima che, incatenato a una sedia, è costretto a subire non soltanto i rituali tipici di queste feste (l’elezione del re e della regina, ad esempio), ma anche delle vere e proprie torture fisiche: il tutto in ossequio non tanto alla vena attuale del cosiddetto torture-porn, ma più che altro a quella corrente che vede negli sconfinati paesaggi dell’Outback australiano una sorta di “terra di nessuno” dove vige la sopraffazione reciproca e non è casuale che avvengano misteriose e drammatiche sparizioni (pensiamo al celebre Wolf Creek).
In questo senso Lola, la “cattiva” del film, vive in un sistema di riferimenti che è quello codificato da questa tradizione, incarnata dal padre-complice: il film, con intelligenza, mette in scena una serie di segni che fanno appello a quella forzata “carineria” color confetto tipica dell’universo infantile così come codificato dagli adulti. Un mondo superficiale, che nasconde le zone d’ombra sotto uno strato di sorrisi, dolci di glassa, comportamenti esasperati e tinte tenui, che però altro non è che una aberrazione della realtà. In questo senso bene fa il regista Sean Byrne ad accomunare questa estetica con quella della tortura e del sangue, creando un ponte con la tradizione dell’horror americano anni Settanta (pensiamo all'isteria di toni di un capolavoro come Non aprite quella porta). La scelta va in due direzioni: riscrivere la finta realtà nell’estetica del dolore e del sangue, estrapolando in questo modo la verità della carne martoriata che aumenta il contrasto con la falsità del mondo color confetto; e, di conseguenza, rovesciare la falsa prospettiva “adulta” riconducendola a quell’autentica e continua violazione dell’infanzia (e dell’adolescenza) che il film mette in scena in tutte le sue terminazioni.
Chi esce malconcio dalla vicenda, infatti, non è soltanto Lola, ma anche gli altri personaggi adolescenti che, quando non sono dipinti come semplici pedine di un meccanismo sociale predeterminato (che trova nel ballo di fine anno la sua emblematica evidenza), rivelano traumi nascosti nel passato che riflettono un autentico disagio del vivere. Le torture che dunque Brian subisce rappresentano anche un’esperienza catartica che instillino in lui il desiderio di sopravvivere dopo l’apatia conseguente la morte del padre. Il ragazzo non a caso è stretto fra l’universo fittizio di degradazione morale in cui dominano Lola e il padre, e la decadenza fisica delle vittime nascoste nella cantina e ridotte ormai a uno stadio animale.
In entrambi i casi ciò che emerge è un ritratto di un universo che ha smarrito la propria umanità. La capacità ulteriore di Byrne sta però nel lasciar emergere questa verità con piccoli tocchi, progressivamente, giocando anzi con le aspettative dello spettatore, che è portato a credere che la realtà stia seguendo i meccanismi più classici, salvo poi ritrovarsi a dover riconsiderare tutto secondo la nuova prospettiva. Il riferimento non è soltanto a Brian, ma anche all’arco narrativo parallelo che viene impegnati gli amici Jamie e Mia: una parte che sembra inserita per alleggerire il racconto, per deviare verso mete più facete con le gag che i due mettono in scena. Ma anche qui si scoprirà invece il dolore su cui i comportamenti poggiano, e che andrà a saldarsi con la storyline principale.
Presentato in anteprima al Torino Film Festival 2009, il film è ancora in attesa di una distribuzione italiana.
The Loved Ones
Regia e sceneggiatura: Sean Byrne
Origine: Australia, 2009
Durata: 84
1 commento:
da vedere assolutamente, non vedo l' ora che lo passino nei cinema!!
*Asgaroth
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