"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 14 giugno 2010

Cari, piccoli zombettini miei…

Cari, piccoli zombettini miei…

L’estate italiana tradizionalmente è stagione cara all’horror, sia in sala (attraverso la programmazione di svariati titoli più o meno dignitosi) sia, soprattutto, in tv, dove è consuetudine ormai ventennale il ciclo Notte Horror su Italia 1 (al momento non ancora partito). Ciò che magari oggi risulta meno chiaro è il percorso che ha condotto a questa consuetudine e che naturalmente ci porta a incrociare quel caso sostanzialmente unico di horror show realizzato alla fine degli anni Ottanta e dominato dalla figura del celeberrimo Zio Tibia.

Per chi non lo avesse visto o non lo ricordasse, Venerdì con Zio Tibia (in origine Mezzanotte con Zio Tibia e poi Zio Tibia Picture Show) era un programma televisivo dedicato ai film horror, trasmesso per tre anni (dal 1988 al 1990), prima in seconda serata e infine in prima, con protagonista un pupazzo (Zio Tibia appunto) nel ruolo dell’anfitrione che si rivolgeva agli spettatori con formule ben identificate (la regola del tormentone è sempre stata di casa in televisione), presentava i film e intervallava gli stessi con rubriche ricche di humor nero: fra le più celebri “Rigor Mortis”, ovvero la classifica delle morti più spettacolari del momento e il “Festivalbara”, un montaggio di scene horror (su canzoncine amene) anticipatore dei fenomeni che oggi si possono ammirare su YouTube. All’interno del programma, nell’edizione finale che assorbiva tutta la programmazione serale del venerdì, sfilavano pellicole in prima visione, classici e anche il dimenticato telefilm Venerdì 13. La sigla presentava un riuscitissimo montaggio di scene horror, sulle note di Monster Mash, brano cult di Bobby “Boris” Pickett del 1962, nel caso specifico proposto nella cover del 1988 del gruppo Big O: il video è visibile per tutta la settimana nello spazio Visioni dalla Rete.

In realtà quello di Zio Tibia non è stato il primo ciclo horror trasmesso dall’allora Fininvest: un paio d’anni prima Italia 1 aveva “tastato il terreno” con il dimenticato Martedì ventunoetrenta dove erano state proposte alcune importanti prime visioni nell’orario eponimo (fra i titoli Fog e Christine la macchina infernale di John Carpenter, Terror Train di Roger Spottiswoode e Amityville Possession del nostro Damiano Damiani). L’idea di Zio Tibia appare però allo stesso tempo dirompente e coerente con i palinsesti dell’allora tv commerciale. Si ricorderà infatti che uno dei tratti distintivi della futura Mediaset era la chiara natura derivativa dalla tv popolare americana e l’insistita prevalenza di format “leggeri”, quali i quiz (più o meno effimeri) o i programmi musicali. Ciò che oggi è stato abbastanza rimosso è la coesistenza, all’epoca in voga, di conduttori “umani” e di pupazzi: non mi riferisco solo alle celebri mascotte Five, Uan e Four (questi ultimi due conducevano i due programmi per ragazzi Bim Bum Bam e Ciao Ciao), ma anche ai personaggi presenti nelle prime edizioni di Superclassifica Show.

Trovare un pupazzo (in realtà un figurante mascherato) a condurre una rassegna dedicata ai film horror, quindi, non deve essere stata una sorpresa per gli spettatori dell’epoca, sebbene l’idea fosse già abbastanza caduta in disuso, ma ancora viva. Più curioso è che si ritenesse opportuno un “presentatore” per annunciare soltanto dei film, pratica assolutamente poco usata in Italia. Qui subentra naturalmente la filiazione americana, dove la tradizione dell’”host” è invece radicata profondamente nella televisione: basti pensare a celeberrimi host come Rod Serling in Ai confini della realtà, Sir Alfred Hitchcock in Alfred Hitchcock presenta o, per restare più vicini all’horror, la nostra amatissima Vampira (autentica capostipite del filone). Non a caso il film inaugurale di Venerdì con Zio Tibia, nel 1990, fu Ammazzavampiri, di Tom Holland, che rifletteva, fra le altre cose, anche sulle dinamiche del terrore e sulla figura dell’host (interpretato nel caso specifico dal bravo attore Roddy McDowall).

Di più: esiste un legame molto stretto fra la fruizione dell’horror e l’idea di una autentica guida che traghetti l’appassionato lungo la girandola di orrori di volta in volta proposti. Dalla televisione infatti l’host è sbarcato anche nei fumetti, dai quali Zio Tibia naturalmente proveniva, in quanto versione nostrana dell’Uncle Creepy della Warren Publishing (o del Guardiano della Cripta degli EC Comics, da noi si è fatto spesso confusione a proposito).

Il programma, creato e diretto da Pino Pellino su testi di Missile Molinari, vedeva il figurante Stefano Cananzi (doppiato dall’attore e speaker Fabrizio Casadio) indossare la maschera gommosa di Zio Tibia, affiancato dal pupazzo Golem (sorta di cucciolo mostruoso) e, nelle edizioni finali, dal silenzioso Astragalo.

La formula, ricordata oggi con nostalgia, in realtà già all’epoca non faceva mancare i suoi detrattori: in un approfondimento sulle tendenze horror di fine millennio pubblicato sul secondo Almanacco della Paura di Dylan Dog (Sergio Bonelli Editore), uscito nel marzo 1992, infatti, si proponeva un confronto con le proposte horror di Rai3 (che aveva trasmesso in prima serata La casa di Sam Raimi, in barba a ogni divieto), che esordiva così:

“Lasciamo perdere i network privati, con le loro rassegne di horror presentate da pupazzi che fanno rimpiangere Topo Gigio.”

Si può essere d’accordo nella misura in cui, a ripensarlo oggi, un programma come questo appare chiaramente ingenuo e finanche ridicolo. Purtuttavia, bisogna anche considerare il contesto nel quale tale programma si inseriva, ovvero quegli anni Ottanta caratterizzati già da una forma di fandom estremamente reattivo alle sollecitazioni della cultura pop e che per questo spingevano per un rapporto ludico con il genere. Sono gli anni in cui la cinematografia del terrore muta verso un tono cartoonesco che porta ironia e orrore a unirsi dando forma ad autentici eccessi visionari, che non di rado sfociano anche nel surrealismo applicato all’estetica della mutazione del corpo (pensiamo al celeberrimo Society di Brian Yuzna) e persino i boogeymen come Freddy Krueger indugiano in una insistita clownerie. Non a caso, ciò che colpisce ancora oggi nei testi di Zio Tibia è una sorta di consapevolezza del ridicolo messo in scena: l’umorismo è costantemente demistificatorio e, se non arriva ad assumere contorni provocatori, è efficace in quanto scherzo connaturato a un codice linguistico che gli appassionati riconoscono come proprio. In effetti bisognerebbe discutere di quanto la figura dell’host, oltre a introdurre generalmente i programmi, spesso e volentieri ne costituiva anche una voce critica, capace di delimitare il labirinto emotivo all’interno del quale quelle opere si iscrivevano. Erano figure che creavano l’atmosfera, dunque, ma sempre con il distacco permesso dall’ironia ed è proprio questa loro capacità di contestualizzare gli argomenti l’elemento di cui più si sente la mancanza nella caotica televisione odierna.

1 commento:

Tamcra ha detto...

Caro Davide,
ho trovato la parodia di Monster Mash : si chiama The Credit Crunch ed è riferita alla recentissima stretta creditizia sul suolo britannico (e non solo quello). Ecco il link YouTube:
http://www.youtube.com/watch?v=s_iMS31mqmU&feature=related