"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 18 giugno 2010

The Hole, di Joe Dante

The Hole, di Joe Dante

I fratelli Dane e Lucas Thompson sopportano l’ennesimo trasloco e arrivano nella cittadina di Bensonville. Esplorando la cantina della nuova casa scoprono una botola che, una volta aperta, rivela un buco apparentemente senza fondo. Dopo aver coinvolto anche Julie, la loro vicina di casa, Dane e Lucas cercano di indagare su quel mistero, che sembra fare appello alle loro paure più profonde per minacciarli sempre più da vicino…

Sta diventando sempre più difficile poter assistere in sala a una regia di Joe Dante (l’ultima volta è stata nel 2003 con Looney Toones: Back in Action) e quindi ogni occasione non può che essere accolta con favore, soprattutto se poi il risultato conferma il tocco di un autore che, anche nelle prove minori, è sempre dotato di instancabile e contagioso divertimento nella messinscena.
 
Ciò che infatti colpisce positivamente è la capacità mimetica di un cinema che appare convenzionale in superficie, ma poi è attraversato costantemente da un gusto molto personale nella costruzione delle sequenze e da una vena cinefila stavolta più contenuta del solito, ma sempre pronta a fare capolino. Come sempre in Dante, si tratta naturalmente di una cinefilia che riesce a essere allo stesso tempo sguardo rivolto al passato e allineamento alle migliori tendenze del presente. La storia dei due ragazzi alle prese con il buco degli orrori riverbera quindi scenari da antiche serie televisive (Ai confini della realtà), figure archetipiche (il clown mostruoso), corpi iconici (il sempre mitico Dick Miller, il ritrovato Bruce Dern), fino a intrecciare le ossessioni del passato con quelle del presente: la figura della bambina, in questo caso, può considerarsi tanto un debito verso i fantasmi del cinema di Mario Bava quanto verso quelli del cinema giapponese contemporaneo.
 
La natura del racconto diviene quindi programmaticamente “basica” e, come spesso accade nelle opere dell’autore americano, capace di veicolare un immaginario classico attraverso un linguaggio ad altezza di bambino. In effetti The Hole può considerarsi uno dei pochi horror per ragazzi dell’epoca attuale, capace di parlare direttamente al suo pubblico senza l’intermediazione asfissiante della perenne coolness e senza quella certa aria di supponenza un po’ paternalistica tipica di certi film pedagogici. Al contrario l’opera di Dante colpisce per la sua purezza e “innocenza”, per come invita a ripensare il rapporto con la realtà attraverso piccoli gesti che diventano una sorta di percorso di formazione nella strada che porta dal reale al fantastico e ritorno, fino a parafrasare uno strano stato di crescita che non significa mai perdita del rapporto con il sogno e la fantasia.
 
Ecco dunque che la storia parte nel posto più archetipico e nel contempo “normale” del proprio microcosmo, la cantina di casa, sorta di manifestazione concreta dell’inconscio di una microcomunità, dove sono custoditi gli attrezzi, le scorte e dove regna perenne quel buio che favorisce l’ingresso nell’altrodove fantastico; e finisce in uno strano paesaggio onirico dalla qualità espressionista che guarda tanto alle origini del cinema horror quanto alla capacità di giocare con stili artistici già presente nella memorabile scena del Louvre di Looney Toones: Back in Action, quando i personaggi “viaggiavano” tra i quadri più celebri. I protagonisti sono quindi pescati in differenti momenti della loro giovinezza, c’è il bambino e l’adolescente, l’uno alle prese con le fobie più elementari ed esplicite (il buio, un giocattolo spaventoso), l’altro più cupo, represso nei suoi rancori e alle prese con i primi possibili innamoramenti per la bella vicina. Dante non problematizza comunque in senso sessuale i rapporti fra i personaggi, che diventano compagni di un contagioso gioco a tre sullo scenario offerto dal buco misterioso, autentici eroi della storia perché riescono a essere se stessi seppur trascinati in un’avventura dai contorni irreali. Non a caso il segreto della botola è condiviso unicamente da loro e quando sarà la madre a guardarci dentro non vedrà che tubi e terra, non solo perché il pericolo è sconfitto, ma anche perché non è lei la persona deputata a combattere l’oscurità.
  
Ogni deriva è quindi possibile, in un racconto che sfrutta anche l’artificio del 3D non in senso cameroniano (la forza visiva del finale espressionista non si giova particolarmente della stereoscopia), ma anche in questo caso come elemento retrò di un racconto che guarda alla classicità: più che alla moda del momento, Dante sembra vicino ai pionieri della visione con occhialini, all’André De Toth de La maschera di cera per esempio, non indugia troppo sul meccanismo solito degli oggetti lanciati verso lo schermo (pure presente) ma lavora sulla profondità degli spazi, in quello che diventa un set-luna park che sarebbe piaciuto a William Castle.

The Hole in 3D
(The Hole)
Regia: Joe Dante
Sceneggiatura: Mark L. Smith
Origine: Usa, 2009
Durata: 90’


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