"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 1 giugno 2009

Antichrist

Antichrist

Una coppia sta facendo l’amore e non si avvede del figlio che si lancia dalla finestra. Per i due è un’esperienza devastante, che soprattutto nella donna lascia esplodere sensi di colpa e paure represse. L’uomo, psicoterapeuta di professione, decide quindi di aiutare la moglie e la porta nei boschi, a Eden, uno chalet isolato dove tempo prima la donna aveva lavorato alla sua tesi di laurea, per farle affrontare i timori inconsci e restituirle la voglia di vivere. Il luogo però è attraversato da strane pulsioni che lasceranno emergere il caos e precipiteranno entrambi i personaggi nell’incubo.

Non è facile fornire all’incubo una forma cinematografica senza cadere nella facile trappola del manierismo. Ancora più difficile è tentare l’impresa proprio ossequiando il manierismo: usare cioè la sostanza del racconto per elaborarne anche la forma, in un esercizio di stile che riesca al contempo a provocare un’inquietudine profonda, capace di colpire l’inconscio. Il solco fra forma e sostanza, d’altronde, è sempre presente nel cinema di Lars Von Trier, accusato di volta in volta di spregiudicata furbizia, al punto che l’autore danese quasi cerca il confronto aspro con l’ala più radicale dei cinefili e della critica, innescando una dinamica che spesso porta a posizioni pregiudiziali, anch’esse “di forma”, e che impediscono una serena trattazione sulla sostanza.

E’ importante avere presente tutto questo per accostarsi a una pellicola come Antichrist: comprendere cioè come Lars Von Trier cerchi di attirare il pubblico verso l’incubo ma nello stesso tempo si diverta a fornire elementi di interpretazione che danno la misura di un film controllato, cerebrale anche, sicuramente carico di simboli, che mira a interessare la mente tanto quanto a colpire le viscere. Occorre dunque seguire il percorso intessuto dal regista per seguire il lavoro di cesello ordito sulla struttura visiva e narrativa, dribblando le facili trappole che si rivelano scherzi (come l’irriverente dedica finale a Tarkovskij), accettando l’ordinata complessità di una pellicola che intende omaggiare il caos riflettendo al contempo, con talento, l’insieme dei riferimenti cari all’autore. Chi non gradisce farebbe meglio ad astenersi.

D’altronde il lavoro svolto riflette allo stesso tempo il tentativo di affrontare un canonico racconto di disgregazione umana senza rinunciare alla ricognizione delle coordinate di genere. Antichrist non è un horror propriamente inteso, ma sicuramente ne ripropone alcuni cliché, utilizza una struttura narrativa codificata e si immerge persino in un ambiente caro al cinema del terrore classicamente inteso (lo chalet sperduto nei boschi non può non far pensare a La casa-Evil Dead), e opera un lavoro formale che tenta di riprodurre quel timor panico tipico tanto delle pellicole di William Friekdin (i flash subliminali che rimandano all’Esorcista), quanto al senso di confronto con una forza soverchiante assoluta tipica di certe opere di Werner Herzog.

Da questi autori, però, Von Trier si distanzia nel tentativo di non lasciar esplodere il racconto fino alle fasi finali, mantenendo un controllo che diventa quasi una forma di freddo dominio, ben sintetizzata dall’incipit patinato e formalista dove si innesca il dramma, dove si rinnega ogni possibile forma di visceralità nel contatto dei corpi, che diventa gesto quasi meccanico, quasi a presagire la scoperta finale di un agire inerziale, ingenuo rispetto alla realtà degli eventi.

D’altronde Von Trier è un regista dichiaratamente crudele nei confronti dei suoi personaggi, che sottopone a una vera e propria odissea della carne, con corpi martoriati e una ricerca del piacere sessuale come vano tentativo di trovare un rifugio illusorio dal dolore che li circonda: lentamente viene alla luce la sostanza delle regole che governano il mondo, e che sono tarate su un pessimismo cosmico di leopardiana memoria, con una natura persecutoria nei confronti di una umanità che pure sembra meritare il supplizio. La crudeltà in questo senso non è soltanto quella dell’ambiente verso i personaggi (straordinaria in tal senso la capacità di evocare l’inquietudine semplicemente attraverso la caduta delle ghiande), ma principalmente quella che i due riversano verso se stessi e che si riflette nei rapporti fra i sessi attraverso la Storia (con i riferimenti al periodo della caccia alle streghe). Il film, attraverso un progressivo disvelamento dell’inversione come unica forma di ordine possibile nel caos che governa il mondo, indaga la natura del rapporto fra i due protagonisti, dove l’uomo apparentemente elemento “forte” e razionale del duo, e la donna elemento “debole” ed emotivo, si dimostrano infine rispettivamente vittima e carnefice. Né manca un lavoro proprio sull’iconografia incarnata dai suoi attori, che se appare decisamente più “facile” sul corpo da sempre abituato al martirio filmico com’è quello di Willem Dafoe (il Gesù Cristo di Scorsese), diventa sconvolgente e straordinario nel corrompere la purezza e la sensualità di Charlotte Gainsbourg.

Nel contempo l’autore non perde di vista il proprio cinema e costruisce il racconto secondo uno schema che riflette (invertendone le coordinate) quello del celebre Le onde del destino: una scansione in capitoli offre quindi allo spettatore il racconto di una disgregazione che parte ancora una volta dalla donna per diventare metafora di distruzione. Stavolta però non c’è redenzione finale, ma unicamente perdizione nel racconto di una discesa agli inferi che si basa sull’inversione della normalità nel caos e per questo non può contemplare il lieto fine.

Un film decisamente non facile, ma molto affascinante per gli stimoli che offre: non scioglierà le riserve di chi ritiene Von Trier un pessimo regista, ma sicuramente non dovrebbe lasciare dubbi circa la sua coerenza.

Antichrist
(id.)
Regia e sceneggiatura: Lars Von Trier
Origine: Danimarca/Germania/Francia/Svezia/Italia/Polonia, 2009
Durata: 100’

Intervista a Lars Von Trier
Sito ufficiale (in inglese)
La recensione di Mauro Giorgio
La discussione sul forum di Horrormagazine
Zentropa, sito dedicato a Lars Von Trier
Forum italiano su Lars Von Trier

4 commenti:

cinemystic ha detto...

Non ho ancora visto il film, ma credo che Von Trier sia per paradosso uno dei pochi registi indispensabili in circolazione, proprio per il suo coraggio, per la sua irriverenza, e per la semplicità con cui sbeffeggia le convenzioni per andare contro a tutto e tutti.

In mezzo a tanti autori troppo facilmente "accomodanti", lui è una preziosa mosca bianca (o nera?)...

Alessio

Anonimo ha detto...

Io non ho mai visto niente di Von Trier, ahimè, ma questo film mi attira veramente come pochi. Poi dopo aver letto questo post, che finora è secondo me uno dei migliori al riguardo, non posso che rammaricarmi per non aver avuto ancora il tempo e il modo di andarlo a vedere.
Ale55andra

http://www.psicheetechne.splinder.com ha detto...

Concordo con la tua recensione. Sì, un film molto difficile. In ogni caso non facile rendere in modo non stereotipato il tema della colpa, nonchè quello della finitezza umana di fronte alla Natura. Per non parlare poi dei topoi della crisi di coppia e dell'incomunicabilità inesorabile tra Maschile e Femminile. Il film mi è piaciuto. Unica critica che mi verrebbe da fare a Von Trier è che ha messo un pò troppa carne simbolica al fuoco. Ma lui è fatto così: o prendere o lasciare.

Angelo Moroni ha detto...

Il commento precedente era il mio, of course :)