Qualcosa si è rotto nel rapporto fra James e Kristen dopo che lei ha rifiutato la sua proposta di matrimonio. I due quindi trascorrono quella che potrebbe essere l’ultima notte insieme, oppure la prima di un nuovo corso, ma qualcuno bussa alla porta e tutte le prospettive vengono ben presto ribaltate. Progressivamente, infatti, i due capiscono di essere vittime di un attacco da parte di individui mascherati intenzionati ad ucciderli. Inizia così una notte di terrore…
Accade ancora a Hollywood che un giovane regista riesca a portare avanti un progetto senza grossi scossoni e a ottenere infine l’onore (e l’onere) della ribalta. Nel caso specifico il fortunato si chiama Bryan Bertino e, dopo aver venduto la sua sceneggiatura alla Universal, è riuscito ad ottenere anche il ruolo di regista, segnando in questo modo il suo esordio dietro la macchina da presa.
The Strangers chiarisce subito la volontà di non innovare il genere horror nel quale si iscrive, ma di instaurare invece una dialettica totalmente interna alle regole e alla tradizione codificata, ponendosi come possibile antitesi dei classici slasher e survivalism, con il testa il capolavoro assoluto di Tobe Hooper Non aprite quella porta, a sua volta matrice di un nutrito numero di pellicole (soprattutto negli anni più recenti). Questo, più del Funny Games di Michael Haneke, evocato in più di una recensione, appare come il modello cui guardare con maggiore attenzione.
L’esercizio di tensione diventa quindi lavoro sul genere che si pone in diretto riferimento al capostipite del filone, ma anche a distanza dalle sue più recenti terminazioni: ecco dunque che, ferma restando la centralità della casa, i protagonisti sono fermi nello spazio, mentre a muoversi sono i mostri che viaggiano lungo le strade del Texas sfoderano un istinto predatorio antitetico a quello dei progenitori che invece attendevano comodamente il momento in cui le vittime sarebbero cadute nella loro trappola.
Il moto circoscritto scarnifica pertanto il modello, recuperandone una possibile impronta primaria che è da ascrivere naturalmente al genere western: ciò che infatti vediamo si può considerare anche una trasfigurazione dell’altra grande leggenda texana, ovvero l’assalto a Forte Alamo o, senza scendere così nello specifico, l’attacco di una forza esterna a un nucleo da difendere con la forza delle armi. E qui, infatti, sta l’altra contrapposizione rispetto al modello, perché se il mostro utilizza le canoniche armi da taglio, i protagonisti tentando di difendersi con il fuoco delle armi a canna lunga, solleticando anche alcuni cardini tematici su cui fonda la stessa società americana, ovvero il diritto al possesso dell’arma e alla violenta difesa domiciliare dalla minaccia esterna, che mai come nell’America post-11 settembre è avvertita come reale.
In questo senso The Strangers riesce a fare proprio quell’istinto tipico del genere di smuovere i fantasmi del reale attraverso il ricorso a situazioni fobiche che colpiscono lo spettatore contemporaneo nel profondo. Ma tutto resta giustamente a un livello metaforico e non sommerge poi l’esercizio tecnico, che rivela ottimi alti e qualche ingenuità di fondo. Il minimalismo del sonoro, ad esempio, è sicuramente da iscrivere alle parti riuscite dell’opera, attraverso un continuo rimbalzare fra il rumore dei colpi sferrati alla porta, il sussurro delle voci nell’ombra e il crepitare dei dischi in vinile che con le loro canzoni country creano anche un commento sonoro dissonante e per questo efficace alle situazioni. Ma la musica è anche utilizzata a volte in modo forzato, attraverso l’intrusione della colonna sonora (discreta ma ben udibile) in anticipo rispetto alle situazioni, in modo da veicolare il timor panico quando ancora non se ne sente il bisogno: ad esempio quando sentiamo bussare alla porta per la prima volta (se la minaccia non si è ancora palesata come tale non serve ribadirlo attraverso la musica).
Il ritmo a sua volta pure ondeggia in modo molto simile: al piacere di una situazione che a volte si ritaglia delle pause nell’azione, evitando la trappola del montaggio sincopato e del continuo accumulo di situazioni, si accompagna infatti un uso fugace ma evidente del ralenti o la ricerca del colpo di scena gratuito che produca il celebre balzo sulla sedia (si veda l’ultima inquadratura).
La fotografia dal canto suo è satura nelle tinte, ma attenta a non cadere nello sterile effetto vintage, cercando anzi di risultare congrua rispetto al tempo in cui il film naturalmente si situa. Bertino per il resto lavora bene sugli elementi iconici del genere, dalla maschera all’utilizzo espressivo del buio, e svetta soprattutto laddove a essere al centro dell’attenzione sono i luoghi piuttosto che i personaggi. Emerge qui una vena panica che guarda a registi come Terrence Malick (sebbene il confronto non si ponga) e che denota un ottimo gusto estetico, il piacere di riprendere un ramo d’albero, un oggetto isolato nel caos, tale da spiegare molto più di mille parole.
Perché certamente il merito più grande sta nell’evitare ogni possibile esplicazione: le azioni, gli oggetti e i luoghi raccontano più di ogni possibile spiegazione e questo, nell’era dei remake fatti apposta per rivelare ogni più intimo particolare del boogeyman di turno appare come la maggiore forma di rispetto possibile per il passato e di distanza rispetto alle peggiori derive del presente, in modo tale da bendisporre verso il risultato finale. Se poi il tempo darà ragione a Bertino, già al lavoro su nuovi progetti, sarà da vedere, di certo al momento gli si può augurare soltanto un gran bene.
The Strangers
(id.)
Regia e sceneggiatura: Bryan Bertino
Origine: Usa, 2007
Durata: 90’
3 commenti:
Ma è vero che una delle battute più ricorrenti in questo film è "Dov'è Tamara?" ? Io sono qui!
Hahahahaha, sì è una battuta chiave :-)
Sono d'accordissimo soprattutto sui meriti dati al sonoro e giustamente all'esordiente Bertino che secondo me ci riserverà delle sorprese.
Ale55andra
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