Su una spiaggia la regista francese Agnès Varda inizia il racconto della sua vita, ricorda le esperienze vissute in vari luoghi, le persone che ha conosciuto e la società che si è trovata ad affrontare lungo 80 anni. Un racconto in forma di diario ma anche un collage di esperienze e di diversi stili artistici che l’autrice ha affrontato e attraversato con consapevolezza e leggerezza.
Qualsiasi disquisizione su un film come Les plages d’Agnès non può prescindere da una persona che con il suo semplice esserci riesce a trasformare naturalmente in cinema qualsiasi piccolo momento di vita: una conferenza stampa, una dichiarazione, un gesto divengono naturalmente il segnale di una presenza capace di trasmettere un’emozione e un insegnamento, ma senza alcuna pretesa facilmente pedagogica, senza porsi in posizione dominante rispetto all’interlocutore. Agnès Varda è in fondo tutto questo, una presenza-cinema capace naturalmente di evitare le trappole della retorica per infondere in ogni forma di comunicazione una sincerità e una capacità di stare al mondo che ha pochi eguali.
Per questo motivo il suo video-diario riesce allo stesso tempo a essere il bilancio di una vita ma a non apparire mai senescente o banalmente autoreferenziale, ma anzi riesce a sfruttare la storia personale della regista per farne un crocevia di luoghi, di volti, di stili. La forma spesso evocata da spettatori e critici è quella del collage o del puzzle, per via della struttura, che pur seguendo la direzione tracciata dal racconto lineare di una vita, è efficacemente scomposta grazie all’eclettismo di un’esistenza vissuta in vari luoghi, inseguendo emozioni tra loro affini ma in ambiti difformi, con l’unico filo conduttore delle spiagge. A iniziare dalla spiaggia del Belgio dove la regista ha vissuto i primi anni di vita prima di trasferirsi in Francia, e che in un certo qual modo le ha fornito un imprinting, probabilmente per l’ossimoro fra la ricchezza e la desolazione che il luogo naturalmente evoca.
In questo modo Les plages d’Agnès è innanzitutto un film di spostamenti che tornano però sempre al luogo originario della spiaggia: il Belgio, la Francia, gli Stati Uniti e Cuba sono tappe di un viaggio vissuto con lo slancio di chi non teme di affrontare il mondo, ma allo stesso tempo ha ben radicato in mente il luogo dove infine vuole tornare e che sente come proprio (la spiaggia, per l’appunto). Ma lo spostamento nello spazio si accompagna anche a un viaggio nel tempo, che permette al film di rievocare innanzitutto le tappe del percorso artistico della regista, dal passato di fotografa, ai primi cortometraggi, proseguendo con i premi vinti in prestigiosi festival, fino al coinvolgimento nella Nouvelle Vague francese; ma soprattutto centrali sono i momenti topici del ventesimo secolo, che la regista dimostra di aver vissuto con intensità e desiderio di affrontare la realtà, riuscendo sempre a coltivare il piacere dell’emozione.
Ecco dunque che la Contestazione e il femminismo diventano per lei momenti di confronto importante con una società che andava verso un nuovo orizzonte e vengono naturalmente a completare un pensiero che già in origine appariva naturalmente destinato ad accoglierli. In fondo - ed è ancora una volta l’aspetto che stupisce con più forza - la capacità di Agnes sta soprattutto nell’apparire già avanti rispetto agli eventi che si trova ad attraversare, al punto di renderla capace di capirne l’importanza nel momento del loro farsi e di viverli non soltanto con la giusta intensità, ma anche con una naturalezza che conquista e commuove.
Paradigma di questa naturale attitudine al vivere diventa quindi il rapporto con Jacques Demy: se la spiaggia è il luogo topico di una vita, il volto e l’anima di Demy diventano l’altro elemento cardine dell’esistenza, caratterizzato da una complicità e una comune dedizione all’arte davvero unica. Esemplare in questo senso la lavorazione parallela che i due, nella stessa abitazione, compiono sui rispettivi film. Anche il momento del distacco da Demy diventa quindi una fase di enorme dolore, ma affrontata con dolcezza e complicità, con la regista che aiuta il compagno a portare a termine la sua ultima opera, Garage Demy, consapevole di come la dedizione all’arte sia in fondo il miglior modo per dare senso a un’esistenza che scivola fra le dita e qualifica il loro rapporto come un agire unico. Tornano perciò alla mente gli esempi titanici degli ultimi John Huston o Nicholas Ray, ma stavolta con una prospettiva lievemente differente, che è quella fornita da un amore umano capace di una compassione più grande, che mescola alla nostalgia la consapevolezza del vissuto come qualcosa che è stata capace di arricchire la vita. E che perciò dona agli ultimi attimi di vita non un senso di defluire inevitabile, ma anzi di straordinaria vitalità del momento.
Il passo successivo è quindi il fondere il ricordo con la visione, restituendo senso alle testimonianze del passato attraverso una forma cinematografica in grado di restituire il piacere e il potere dell’arte allo spettatore: è per questo che la forma narrativa adottata, scandita dalla costante voce della regista (che sia fuori campo o meno), si caratterizza per un insieme di foto, documenti d’epoca, filmati di repertorio, animazioni e video installazioni che restituiscono a meraviglia il senso di una vita vissuta per e nell’arte.
Alla fine ciò che resta è una sensazione di grande serenità, tipica di una donna che ha saputo vivere la propria vita meritandosi quella dolcezza e quella naturalezza dei gesti e del raccontare che le immagini naturalmente restituiscono. E che rende per questo il suo film assolutamente prezioso.
Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2008.
Les plages d’Agnès
Regia e sceneggiatura: Agnès Varda
Origine: Francia, 2008
Durata: 110’
Intervista ad Agnès Varda
Trailer di Les Plages d’Agnès su YouTube
Biografia di Agnès Varda
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