Shark
Frustrato dal senso di
colpa per non aver salvato il suo amico Rory dall'attacco di uno squalo, Josh
ha rotto il fidanzamento con Tina e ha abbandonato le onde,
rifugiandosi nel lavoro in un supermercato. Un anno dopo il tragico
evento, però, i due ex fidanzati si ritrovano proprio fra gli
scaffali, mentre due rapinatori cercano di portar via l'incasso. La
situazione è interrotta da un terremoto improvviso e da una
conseguente onda anomala che allaga l'intero negozio. E c'è di più:
l'acqua del mare ha portato con sé degli squali, fermamente decisi a
rendere il posto la loro riserva di caccia. Arrampicati in cima agli
scaffali, Josh, Tina e i loro compagni di sventura cercano di
resistere e trovare una via d'uscita, evitando sia gli attacchi degli
squali che le difficoltà prodotte dalla precaria situazione.
Ci
volevano gli australiani per immaginare nuovi contesti (artistici e
produttivi) alla furia cinefila degli squali: non più isolette nella
calma (relativa) dell'oceano Atlantico o piccole località vacanziere
della costa americana, ma un supermercato addirittura! E,
soprattutto, non più l'approccio sgangherato tipico degli
straight-to-video
Asylum, ma un'operazione di una certa importanza, frutto di una
coproduzione con Singapore e girata con la consueta cura formale
delle pellicole aussie,
in grado perciò di offrire una buona integrazione fra effetti
digitali e creature meccaniche da vecchia scuola. In realtà,
all'inizio l'idea stuzzica e rimanda alle bizzarrie tipiche
dell'Ozploitation (che sugli eccessi ha fondato ampia parte della sua
fortuna), ma poi, a pensarci bene, la scelta non appare più così
balzana. Siamo infatti ancora una volta di fronte a quel “doppio
registro” che ormai abbiamo imparato a conoscere, e al rapporto
conflittuale fra quella terra e lo spazio. Solo che di norma siamo
abituati ad associare questa dinamica alla relazione fra città e
Outback, qui invece la “zona oscura” è rappresentata dal mare.
Il prologo, in questo senso, già mette le carte sul piatto e, nel
mostrarci Josh e la triste fine di Rory, ci ricorda quanto la
pericolosità dell'entroterra abbia un suo perfetto contraltare nelle
acque infestate dai letali pesci (e lasciamo da parte le polemiche
pretestuose su quanto il cinema abbia enfatizzato ad arte questo
tema...).
Quindi
inserire gli squali nel supermercato rappresenta un classico
stravolgimento degli schemi spaziali consolidati, che rivelano la
fragilità degli equilibri su cui si regge un territorio urbanizzato
ma sempre “assediato” dalla crudezza degli elementi (l'Australia,
non a caso, è considerato uno dei luoghi a più alta concentrazione
di animali pericolosi del mondo): il mare entra (letteralmente) nella
parte deputata agli uomini, stravolgendo l'ordine sociale e il tutto
fornisce così terreno fertile ai drammi personali, alle difficoltà
di relazione fra i superstiti, che il film elenca in modo fin troppo
programmatico: c'è la coppia in crisi, i due fidanzati petulanti, un
padre alle prese con la figlia ribelle, e poi colleghi, datori di
lavoro ingrati e via citando. Un concentrato di varia umanità che
trova nell'esperienza estrema il pretesto per risolvere i conflitti
interni e traghetta lentamente il racconto dalla bizzarria
dell'assunto (le vittime che si arrampicano sugli scaffali per
sfuggire ai pesci) alla concretezza di drammi molto quotidiani e
“universali”, decisamente poco legati allo specifico della realtà
australiana.
D'altronde l'esca del titolo originale (o il doppio registro del caso)
sta anche in questo: nell'usare una trovata prettamente exploitation
per poi virare verso il dramma intimo e umano. In tal senso Shark
è davvero un film mimetico e sempre attraversato dall'ambivalenza:
c'è ironia ma senza perdere di vista la serietà della situazione in
cui versano i personaggi; c'è l'inventiva degli spunti (il ragazzo
che usa i cestini della spesa per crearsi una “gabbia anti squalo”
su misura), ma senza indulgere nell'assurdo più compiaciuto; e ci
sono il sangue, gli arti mozzati e tutte le piacevolezze del genere,
ma le punte grottesche sono limitate e tenute sotto controllo da una
scrittura che non indulge nelle splatterfest
alla Piranha (quello
del 2010 di Alexandre Aja), con cui pure si può tentare un parallelo
grazie all'uso, in entrambi i casi, del 3D (usato per la prima volta
in una pellicola australiana). Anche la crudeltà, che non è mai
mancata negli eco-vengeance
di quelle latitudini (pensiamo al seminale e poco visto Dark
Age), è comunque inferiore a
quanto ci si aspetterebbe, tanto da riverberare punte da grosso
spettacolo hollywoodiano, soprattutto nelle pirotecniche distruzioni
degli squali.
In
effetti, il nume tutelare dell'operazione è proprio un regista dei
due mondi come Russell Mulcahy, australiano doc, che aveva esordito
con un eco-vengeance
negli anni Ottanta, lo stilizzatissimo Razorback,
salvo poi diventare un pupillo del cinema a stelle e strisce, con
successi come Highlander
e la successiva discesa nel professionismo senza grosse pretese.
Impegni concomitanti lo hanno poi costretto a lasciare la regia nelle
mani di Kimble Rendall, specialista nella direzione di seconde unità
e autore dello slasher Cut: Il tagliagole.
Ma, a scorrere il cast tecnico e artistico, troviamo varie
personalità che denotano ancor più la natura mimetica di
un'operazione sì australiana, ma che strizza più di un occhio ai
mercati esteri e che forse per questo è riuscita a raggiungere anche
le nostre pigrissime sale.
Quasi
tutti gli attori, infatti, hanno in curriculum un qualche titolo ben
noto in Occidente, pensiamo a Julian McMahon dalla serie televisiva
Nip/Tuck o a Sharni
Vinson che era nel terzo capitolo di Step Up.
Il protagonista Xavier Samuel, però, è anche quello di The Loved Ones,
mentre il produttore Gary Hamilton è lo stesso di Wolf Creek.
Nel nutrito cast di sceneggiatori aggiunti troviamo infine Duncan
Kennedy già autore di Blu profondo,
altro shark-movie (diretto da Renny Harlin nel 1999) tirato in causa
in più articoli a proposito del tema e che sotto certi aspetti
riverbera la stessa tensione claustrofobica e il piglio ironico di
Shark, ma senza la
stessa doppia natura che, a seconda dei casi, può rappresentare un
valore aggiunto o un elemento troppo spiazzante per un pubblico
abituato a strutture ben più convenzionali.
Shark
(Bait)
Regia:
Kimble Rendall
Sceneggiatura:
John Kim e Russell Mulcahy (scrittura aggiuntiva di Shayne Armstrong,
Duncan Kennedy, Shane Krause e Justin Monjo)
Origine:
Australia/Singapore, 2012
Durata:
93
5 commenti:
evvaiiii davide, rece coi fiocchi, ancora non ho visto il film, vado questa sera se tutto va bene e sono parecchio gasato, adoro sli shark movie ma tocca riconoscere, come hai giustamente detto anke tu nella tua rece che negli ultimi anni la maggior parte erano robacce tv della asylum, finalmente i miei animaletti preferiti tornano a mietere vittime nel grande schermo, non accadeva dai tempi dell'ottimo e sottovalutato Blu Profondo, gia perchè in questi anni qualche film di squali fatto decentemente e x il cinema ce stato (the reef, drak tide e shark night) ma tutti e 3 in italia son arrivati solo home video, quindi è x me un piacere potermi vedere un film di squali al cinema dopo cosi tanti anni.
Certo io ancora aspetto dal 1987 un bello Squalo 5 ma nada :-(
Buona visione Fabio, poi fammi sapere :)
"The Reef" è uno di quelli che mi mancano, guarda caso è australiano pure quello :-)
grazie ;-) domani ti farò sapere subito ke ne penso.
Si the reef è australiano ed è più simile, come tipologia di film a Open Water, non ci sono scene action o grossi effetti speciali si basa tutto sulla suspance, ma è un film validissimo.
Dello stesso regista di Reef ti consiglio Black Water fatto in modo simile ma che vede come protagonista non uno squalo bensì un coccodrillo.
Grazie per i consigli!
molto simpatico questo Shark 3d, certo va visto a cervello spento ma fa il suo dovere intrattiene e diverte, il 3d è ben gestito e lo splatter non manca, ma soprattutto gli effetti degli squaloni non sono solo digitali, c'è anche un po della vecchia e cara animatronics il che è solo un bene.
promosso
Posta un commento