Hugo Cabret
Parigi, anni Trenta.
Il giovanissimo Hugo Cabret vive da solo nel grande orologio della
stazione centrale e per vivere ruba il necessario ai viaggiatori. Un
anziano giocattolaio, però, lo coglie in flagrante e, per punirlo,
gli sottrae il taccuino che apparteneva a suo padre. Sulle sue pagine
sono tracciati gli appunti necessari a riparare un automa meccanico,
unico lascito del genitore: Hugo vuole dunque riaverlo a ogni costo e
così chiede aiuto a Isabelle, nipote del giocattolaio, che diventa
sua amica. Insieme i due scopriranno che l'anziano artigiano altri
non è che Georges Méliès, uno dei padri del cinema, che ha
abbandonato le scene ed è persino creduto morto dagli studiosi.
Nell'andirivieni generale
fatto di corse a rotta di collo tra viaggiatori carichi di valige e
saliscendi sfrenati fra il mondo dei “grandi” e i meccanismi del
grande orologio della stazione, l'incipit di Hugo Cabret
sembra quasi collocare lo spettatore nello stesso universo
avventuroso in cui si muove il Tin Tin spielberghiano. Il
paragone non è peregrino se consideriamo che in fondo George Méliès
non è soltanto uno dei Padri del cinema, ma anche un teorizzatore
ante-litteram di quegli stessi principi che muovono oggi il
cinema digitale: l'assenza di realismo, in favore di una poetica del
fantastico totale, che dia consistenza ai sogni attraverso la
creazione di spazi immaginari e governati da logiche proprie, dove le
figure possano muoversi con una libertà assoluta.
Martin Scorsese si
inserisce nell'intervallo che si viene a creare fra questa natura
assolutamente irreale e i meccanismi che pure la determinano,
mostrandoci il piacere artigianale del fare e della manualità
sottesa agli ingranaggi che muovono i vari congegni, senza mai
dimenticare quell'impalpabile magia che ci affascina ogni qual volta
vediamo un dispositivo meccanico generare il movimento. Siamo dunque
nel territorio del puro artificio illusionistico, quello che
dall'origine del movimento che la pellicola compie per diffondere le
immagini (attribuibile ai fratelli Lumière), porta all'emozione
sincera e allo stupore totale (quello degli spettatori che si
spaventano per il treno che si muove verso l'inquadratura) e che al
suo estremo trova proprio la magia melièsiana.
Per mettere in scena il
suo profondo e rispettoso omaggio a un simile artista, Scorsese ne
rivitalizza dunque la grandezza teorica e per questo il suo Hugo
Cabret si offre come un oggetto estremamente attuale eppure al
contempo totalmente retrò. Colori, scenografie, una
profondità di campo wellesiana e svariati trucchi scenici disegnano
uno spazio che – esattamente come in Tin Tin – parte dal
reale ma è di per sé totalmente immaginario e fiabesco, e
nell'immaginare la Parigi degli anni Trenta, rappresenta la naturale
evoluzione di un'idea artistica che ha finito per generare il proprio
mondo, e ora deve rendere grazie al suo creatore. In quest'ottica si
inserisce anche il miglior 3D mai visto sullo schermo, che il regista
concepisce e attua con la precisa consapevolezza dell'autore ben
conscio di come questo moderno artificio sia in realtà vecchio di
decenni e dunque non faccia altro che costituire un ulteriore
tassello di quella tendenza illusionistica che Méliès aveva capito
prima di tutti.
In questo modo, Scorsese
recupera e fa evolvere quella tendenza all'irrealtà del set che già
connotava il precedente – e sottovalutato – Shutter Island,
pellicola che poneva le basi di una esteriorizzazione di un mondo
interiore che qui è quello mélièsiano. Le sequenze oniriche che
vedevano la realtà incenerirsi creano un legame con i sogni di Hugo
che concretizzano la distruzione del reale ad opera di sequenze
cinematografiche, come accade quando l'arrivo del treno e il suo
successivo deragliamento dai binari avverano il sogno/incubo dei
primi spettatori dei Lumière.
Il tutto per lo scopo
nobilissimo di omaggiare una tendenza che però non è soltanto il
sogno isolato di un anziano giocattolaio con l'hobby
dell'illusionismo, ma per “aggiustare” e far “andare al suo
posto” una figura cui è necessario più che mai tributare rispetto
oggi. Perché i suoi sogni sono quelli che hanno permesso agli eredi
di far evolvere il mezzo e hanno dato senso alla vita degli artisti
che si sono succeduti (fra cui lo stesso Scorsese) e degli spettatori
che attraverso il confronto con l'immaginario hanno dato forma al
proprio mondo reale. La narrazione pertanto si dipana attraverso un
confronto fra la macrostoria di Méliès e una serie di eventi
isolati in cui i protagonisti devono trovare il proprio posto nel
mondo, spesso attraverso l'interposizione di elementi terzi: Hugo
deve perdere la sua condizione di orfano e ricongiungersi al ricordo
del padre mediante l'automa da riparare; l'ispettore Gustav deve far
breccia nel cuore della sua bella fioraia, nonostante la sua gamba
meccanica (autentico meccanismo “fuori posto”) lascito della
guerra, monsieur Frick e madame Emile consumano una platonica
relazione grazie all'amicizia fra i propri cani. Il mondo intero deve
dunque ritrovare il piacere della condivisione delle esperienze e
della relazione reciproca, nonostante le difficoltà imposte dai
momenti storici e dalla vita quotidiana, e in questo il film offre la
sua lettura del presente.
Il personaggio che
riassume meglio il tutto diventa così non tanto Hugo, quanto la sua
giovane amica Isabelle, il cui altruismo è motivato dal mero
desiderio d'avventura e che in questo modo crea una saldatura tanto
con Tin Tin, quanto con quell'agitazione dell'animo che muove
all'azione tipica del pionerismo mélièsiano.
Hugo Cabret
(Hugo)
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: John
Logan (da La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian
Selznick)
Origine: Usa, 2011
Durata: 127
1 commento:
Mi trovi, ovviamente, più che d'accordo. Veramente su tutto, ma soprattutto sulla straordinarietà di questo 3D, forse il migliore di sempre, come dici anche tu.
Ale55andra
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