"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 9 dicembre 2010

The Ward: Il reparto

The Ward: Il reparto

Siamo negli anni Sessanta. Kristen viene arrestata dopo una fuga nel bosco culminata nell’incendio di una casa: un gesto apparentemente folle e senza motivo, che le procura una detenzione in un ospedale psichiatrico. In particolare la ragazza finisce in una sezione (chiamata “il Reparto”) insieme a quattro altre pazienti, tutte affette da disturbi psichici più o meno evidenti. Una misteriosa presenza sembra però minacciare le ragazze e quando una ad una iniziano a sparire, Kristen capisce che l’unica via di salvezza è la fuga.


Uno spazio chiuso è il territorio ideale per John Carpenter, da sempre interessato a concentrare l’azione in ambienti oppressivi: la visione del nuovo e attesissimo The Ward, però, chiarisce come, più che di luogo chiuso, il suo cinema sollevi il problema della percezione di uno spazio, che può risultare mutevole a seconda delle situazioni. In effetti, l’aspetto più interessante del film sta nella sua capacità di rendere il Reparto (il “Ward” del titolo) come un luogo “poroso”, in cui le detenute possono muoversi liberamente e, nel corso dei loro tentativi di fuga, scoprire percorsi nascosti e nuove stanze. Spostandosi lungo i corridoi, i condotti d’areazione e i piani dell’edificio, le ragazze sono sempre accompagnate dalla macchina da presa, vigile nei soliti, magistrali, carrelli carpenteriani che, una volta di più, diventano l’emblema di uno sguardo che si fa mappatura di uno spazio, in una percezione alterata perché costretta a una continua riscrittura delle coordinate spaziali.

Lo spettatore sarà così costretto altresì a rinnovare periodicamente la sua cognizione del Reparto, in un gioco di rispecchiamenti con la protagonista, che pure dovrà condurre un personale percorso di ricostruzione del proprio io, fino alla verità finale, reiterando così quel divario fra essere e apparire che da sempre trova banco nel cinema del regista americano. C’è naturalmente una componente di grande divertimento che il Maestro lascia trapelare, il piacere della messinscena di questo ambiente proteiforme, che produce una rinnovata tensione, lungo una narrazione stringata e capace di non perdere un colpo.

Pertanto si torna al problema già sollevato in passato da Essi vivono o dagli allucinogeni di Fantasmi da Marte, via prediletta per non perdere la percezione del sé e liberarsi del parassita alieno che infetta il corpo: la visione è ingannatrice e lo spazio può essere manipolato da elementi esterni o interni, che traccino la linea di confine fra la realtà e la follia. La percezione dello spazio diventa così non fisica quanto emotiva, legata alla condizione soggettiva di una protagonista che è tramite per lo spettatore, sul quale si riflette non solo il sopraccitato problema della cognizione dello spazio detentivo, ma anche quella tensione febbricitante che non di rado il film esplicita attraverso inquadrature distorte: sono i momenti in cui Kristen è sottoposta a terapie invasive, a somministrazione di calmanti, ma anche quelli in cui emergono scampoli del suo passato, dove forse si trova la spiegazione del gesto iniziale.

Nonostante questo, però, il film non si bea di possibili derive visionarie, apparendo invece estremamente materico e classico nella messinscena, secondo uno schema che rimanda ad Halloween: l’intento è quello di riscrivere lo spazio di una realtà che comunque è per la maggior parte del tempo avvertita come riconoscibile e condivisa, in modo di lasciare maturare solo a posteriori la cognizione della menzogna messa in atto. In questo senso The Ward è anche avvertibile come un ritorno che il regista compie attraverso alcuni luoghi tipici del suo cinema, in una deriva antimoderna che ne fa un puro esempio di film in controtendenza alle recenti mode del genere. Carpenter in questo senso è stato molto chiaro nel definirlo an old school horror movie made by an old school director e, al pari di colleghi come il Joe Dante di The Hole, sembra cercare il punto di fuga in una esemplificazione del materiale narrativo, che rende la vicenda estremamente lineare e fruibile in immediatezza.

Possiamo pertanto pensare all’avventura di Kristen come a un’esperienza contigua a quella che negli stessi anni vedeva il giovane Michael Myers covare la sua follia sotto lo sguardo vigile del dottor Loomis in un altro ospedale psichiatrico: in fondo si tratta di circoscrivere ancora una volta un periodo fondativo della perdita d’innocenza, come già avveniva con gli anni Sessanta del rimosso capolavoro Elvis e dell’appena citato Halloween, fino al futuro/passato di matrice western di Fantasmi da Marte e i Fifties di Christine.

In tutti questi casi, matrice comune è il viaggio di un(a) protagonista che deve prendere coscienza e consapevolezza di questa acquisita mancanza del sé e della propria innocenza, imparando a introflettere il Male che credeva provenire dall’esterno. I fantasmi, insomma, sono ancora una volta gli stessi.


The Ward: Il reparto
(The Ward)
Regia: John Carpenter
Sceneggiatura: Michael e Shawn Rasmussen
Origine: Usa, 2010
Durata: 88’

6 commenti:

psichetechne ha detto...

Oddio, mi sono perso la recensione a "The Ward" di Rodan! Adesso la leggo subito, perdinci. Ne approfitto per segnalarti che il mio blog si è spostato qui: http://psicheetechne.blogspot.com
A presto!

Unknown ha detto...

Grazie Angelo, in realtà mi ero già accorto del cambio di piattaforma, ma questa tua segnalazione è opportuna perché avevo dimenticato di modificare il link qui fra i blog amici.
A presto!

Anonimo ha detto...

Grande Davide, recensione ben fatta ed interessantissima (come sempre del resto) che mi ha messo ancor più voglia di visionare l'ultima fatica del maestro.
Speriamo che la BIM si muova e che il film esca presto IN SALA (se lo fanno uscire solo in home video faccio una strage) e soprattutto senza tagli.

By Fabio "Chucky"

Jacopo Mistè ha detto...

Per me se Carpenter avrebbe avuto maggiore onestà intellettuale a definirlo un "new school horror movie made by an old school director".

Sarò sincero, l'ho visto ieri al cinema e dopo la visione devo purtroppo pensare che anche Carpenter entra nel gruppo dei grandi registi che non riescono a tenere il passo coi tempi (anche se fortunatamente, come Joe Dante, si può sperare che sia solo un passo falso temporaneo, visto che il suo magnifico talento lo aveva già sfruttato pochi anni prima per il memorabile Cigarette Burns).

M'è sembrato il classico film su commissione (tant'è che la sceneggiatura manco è sua), diretto con sufficienza ma con tensione zero, salti sulla sedia telefonatissimi (i classici "spaventi gratuiti" simbolo del cinema horror contemporaneo giovanilistico) e un soggetto che ricalca TROPPO quello di uno degli ultimissimi film sull'argomento (non lo spoilero che sennò rovino il finale a tutti).

Qua e là ancora sprazzi di talento del regista (i titoli di apertura, le musiche, qualche momento di atmosfera), ma il resto... Mi sono annoiato, la protagonista non m'è sembrata in parte e addirittura le location non le ho trovate sfruttate acdeguatamente: si parla di un istituto psichiatrico, ma è così perfettino che ok, sarà realistico, ma d'atmosfera proprio no...

Interessante la tua analisi, ma mi piacerebbe sapere proprio se a te è anche piaciuto come film. :)

Ciao e complimenti come sempre per il blog!

Unknown ha detto...

>ma mi piacerebbe sapere proprio se a te è anche piaciuto come film. :)

Certamente! Sai, quando si arriva ad amare e seguire un regista per tanto tempo basta una sola delle sue inquadrature per scatenare emozioni profonde: ad ogni carrellata ero con le lacrime agli occhi per la felicità! :)

FabioChucky ha detto...

Dunque, secondo me ci troviamo davanti ad un buon film,le atmosfere sono tipicamente Carpenteriane, l'atmosfera è tesa, la colonna sonora, pur non essendo curata da John è favolosa (a me ha ricordato quella di Suspiria), le attrici son tutte brave, Amber in primis, bellissima e bravissima, alcune morti mi hanno esaltato.
Quindi nel complesso si il film è riuscito, però la dolente nota arriva sul finale, sulla rivelazione finale per essere precisi. Io l'avevo intuita da metà film inoltre questo tipo di soluzione ormai è vista e stra vista e se devo dirla tutta (però questo è solo un parere personale) e' un tipo di soluzione che a me non è mai piaciuta.
Quindi se devo dare un voto al film do un 6,5, con un finale diverso avrei dato un bel 7 pieno.
In ogni caso è stato un gradito ritorno del mitico papà di Michael Myers, quindi tutto sommato sono soddisfatto.