"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 13 settembre 2010

Venezia 2010: l’analisi dopo le polemiche (1/2)

Venezia 2010: l’analisi dopo le polemiche (1/2)

Si sono dunque spenti i riflettori sull’edizione 2010 della Mostra del Cinema di Venezia, che ha confermato il trend positivo della gestione Muller nonostante (come già ipotizzavo nell’articolo di presentazione) non sia stata la manifestazione memorabile che si andava millantando prima che aprissero i battenti. Magari un giorno qualcuno sarà in grado di spiegare perché nell’era di internet i giudizi arrivano prima dei risultati, un po’ come quando, alcuni mesi fa, si stroncava Avatar senza che fosse ancora uscito in sala… in questo caso si era deciso che avremmo visto solo capolavori. Magari a volte le dita corrono sulle tastiere con troppa fretta, lasciando indietro la capacità di valutazione e soprattutto la voglia di analizzare un progetto nella sua completezza e nelle sue articolazioni.

Dunque, sì, la Mostra non ha sostanzialmente prodotto memorabili scoperte (ma le folgorazioni ci sono state eccome!) ed è sembrata più che altro utile a confermare e consacrare nomi che circolano negli interessi dei cinefili già da tempo, a iniziare dal grande veterano Monte Hellman che porta a casa un Leone alla carriera decisamente meritato, a prescindere da cosa si pensi dell’ultimo, affascinante ma controverso, Road to Nowhere. Anche il Leone d’Oro a John Woo, in fondo, va in questa direzione (il video della premiazione è nello spazio Visioni dalla Rete di questa settimana) ed è sicuramente valsa la visione del capolavoro The Killer su grande schermo (un’emozione impagabile!) oltre al ritorno in ottima forma della grandissima e sempre splendida Michelle Yeoh, protagonista di Reign of assassins, supervisionato dal regista.

Al di là di questo, in ogni caso, emerge ancora una solidità progettuale che ha permesso di uscire soddisfatti da quasi tutte le proiezioni, a volte esaltandosi, altre semplicemente divertendosi, altre ancora riflettendo sulla capacità che i film continuano ad avere nel radiografare la realtà, mentre su tutto dominava la constatazione della bravura dimostrata dai selezionatori nel tenere tutto insieme, senza perdere di vista le nuove tendenze: buon esempio è il premio per il cinema 3D, indice di una scommessa che va anche controcorrente rispetto alle polemiche (in larga parte meritate, come si è già scritto pure sul Nido in passato) sull’uso di questo “nuovo” artificio cinematografico. Peccato per la cattiva qualità della proiezione stereoscopica, che ha depresso le capacità visionarie di un progetto molto affascinante come Shock Labyrinth Extreme, ultimo film di Takashi Shimizu. D’altronde, e questo è un aspetto poco considerato, a un’ottima fattura del programma non ha corrisposto una forza altrettanto propulsiva dei mezzi, con incastri del programma spesso in odore di sadismo, oltre alla carenza di spazi, esaltati dall’enorme e minaccioso cantiere antistante il palazzo del cinema.

Meglio tornare alle pellicole dunque, per constatare come le Giornate degli Autori e la Settimana della Critica si confermino sempre interessanti laboratori di ricerca: a tal proposito conforta notare come anche queste sezioni siano risultate organiche a una visione composita che partendo dal Concorso si è allargata a tutto il programma. Persino la retrospettiva sul cinema comico, sfrondata dagli inutili omaggi ai titoli-tormentone delle feste di Natale o del pomeriggio televisivo, ha offerto alcune preziose riscoperte, come il dimenticato Casotto del grande Sergio Citti, o Il mantenuto del Tognazzi attore-regista: il che fa giustamente pensare quanto più interessante sarebbe stato questo spazio se avesse concentrato i suoi sforzi più sulla ricerca-riscoperta (in continuità con gli anni passati) piuttosto che sulla stracca rivalutazione del “basso” in odore di snobismo cinefilo.

Chi resta invece un passo (e anche più) indietro è il cinema italiano attuale, sulla cui mancata premiazione naturalmente non sono mancate altre inutili polemiche che anche in questo caso sono figlie del giudizio provinciale e preventivo di chi aveva deciso già in partenza che con quattro film in concorso qualcosa si dovesse “portare a casa” (espressione, per inciso, orrenda e perfettamente in linea con il provincialismo di cui sopra). Altrimenti, se qualcuno avesse avuto il coraggio di affrontare la questione con onestà si sarebbe potuto e dovuto rendere conto che fino a quando le cartucce da sparare saranno pellicole totalmente sbagliate e irritanti come La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo ci sarà ben poco da reclamare.

Continuando a restare sulla scia delle discussioni relative ai premi (argomento che, come ripeto spesso, qui non è amato, ma tant’é…) pure la scelta di attribuire il Leone d’Oro a Sofia Coppola appare coerente con tutto l’insieme perché da un lato è realmente una scelta di conservazione, poiché conferisce la massima onorificenza festivaliera al film più debole della regista americana, nel quale si avverte una battuta d’arresto rispetto alla progressiva ricerca stilistica che aveva reso molto interessante il percorso dal Giardino delle vergini suicide fino a Marie Antoinette, passando per il più noto Lost in Translation. Non che sia un film scadente Somewhere, anzi, è un’opera intrigante e poetica, gratificata da un ottimo cast, ma non priva di alcuni didascalismi che a tratti fanno sorgere il sospetto di un inizio di maniera: vedremo se il tempo confermerà o smentirà questa impressione. D’altro canto, però, è anche giusto che un festival di cinema di tale importanza non si fossilizzi a ogni costo sull’ansia della scoperta, ma a volte sappia fare un passo indietro per offrire consacrazione a un nome altrimenti destinato a restare nel sottobosco della cinefilia pura e dura. In questo senso l’accoglienza a dir poco festante che ha accolto la Coppola in conferenza stampa ci dice di quanto la regista nella sostanza fosse già un nome di spicco, cui mancava soltanto l’investitura di un premio importante. E pazienza se questo fa sorgere accuse di clientelismo da parte del presidente di giuria Quentin Tarantino, ex fidanzato della regista: era successa la stessa cosa a Cannes nel 2004 con il premio all’amico Michael Moore. Purtroppo la radicalità del cinema non sempre corrisponde a quella del cineasta, e di esempi se ne potrebbero fare tanti (sorvolando sul fatto che, comunque, anche in questo caso le accuse erano iniziate a serpeggiare già dall’inizio della Mostra…)

Nelle settimane che seguono ci sarà naturalmente tempo per soffermarsi sui titoli più importanti sfilati sul Lido veneziano, fra quelli destinati naturalmente ad approdare anche nelle nostre sale e quelli che invece (e purtroppo) resteranno lettera morta e che solo il tam-tam della Rete riuscirà magari a strappare dall’oblio. L’importante come sempre è che sia buon cinema. Ma prima di questo un’altra tappa attende questo percorso.

(fine della prima parte)


Update del 14/11/10: segnalo gli interessanti editoriali di Sentieri Selvaggi e l'intervista a Marco Muller da Cineclandestino.it, che risultano utili a definire meglio il progetto della Mostra e i vari equilibri entro i quali gli organizzatori si muovono.

1 commento:

Sciamano ha detto...

Schiumo d'invidia: "The Killer" al cinema !!!! AAHH!!!