"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 25 settembre 2010

Inception

Inception

Dom Cobb è un “estrattore”, specializzato nel rubare informazioni attingendo direttamente dal subconscio delle sue vittime. Per fare questo agisce nel mondo del sogno, creando ambienti fittizi in cui inserire la sua preda, in modo da costringerla a consegnare le sue verità. Nel mondo reale, però, le cose non gli vanno bene: Cobb è infatti ricercato per la morte della moglie e perciò non può far ritorno negli Stati Uniti, dove vivono i due figli. Ora però una missione commissionatagli da potente uomo d’affari giapponese Saito (che ha contatti nell’ufficio immigrazione) potrebbe aiutarlo a risolvere il problema. Si tratta di innestare un ricordo fittizio, convincendo il giovane Robert Fischer a smembrare la società ereditata dal padre appena morto. La missione è complicata, implica la creazione di tre universi del sogno concatenati. Inoltre Fischer è stato addestrato a resistere alle intrusioni nel subconscio. E i sensi di colpa di Cobb per la morte della moglie creano delle interferenze…

Spesso sono i particolari, i piccoli gesti, a contenere le principali rivelazioni, soprattutto quando il film di per sé è costruito in modo tale da indurre l’attenzione altrove. Robert Fischer vede Dom Cobb passargli accanto al ritiro bagagli dell’aeroporto e lo guarda, come a chiedersi dove e se i due si sono già incontrati. Pochi momenti prima Cobb rivive un sogno già attraversato nell’incipit del film e ricorda, anticipandole, le battute dell’interlocutore… Christopher Nolan ripete esattamente gli atteggiamenti del suo protagonista: invita a non mescolare realtà e memoria, ma poi viola (volutamente) la regola disseminando elementi che portino lo spettatore a provare quel senso di déja vu, quella sensazione di essere già stato in quei mondi.

Non si tratta di banale citazionismo, non di quello che perlomeno intendiamo tradizionalmente: i rimandi sono chiaramente rivolti ad altri film, da Shining a Blade Runner a Coma profondo, solo per citare tre esempi, ma non sono inseriti nel corpo del racconto per diventare un codice che innesti semplicemente la riconoscibilità cinefila allo scopo di farsi narrazione, come accade ad esempio nel cinema di Quentin Tarantino. Sono schegge di immaginario che penetrano il tessuto compatto della storia per stimolare tensioni verso un altrove, che sia memoria condivisa, allo stesso modo in cui è condiviso il sogno dei protagonisti.

Pure la scelta del cast non è affatto casuale, ma tiene conto di questa dinamica del rimando. Leonardo Di Caprio viene direttamente da Shutter Island, dove era ugualmente coinvolto in un’indagine fra sogno e realtà alternative; Marion Cotillard è la Edith Piaf di La vie en Rose, chiamata in causa dall’uso della canzone Je ne regrette rien… Il corpo degli attori è un segno di memoria che si innesta nel corpo del film/sogno creando ulteriori derive, secondo una logica concentrica che si allarga, pur restando perfettamente circoscritta all’interno del complesso meccanismo narrativo messo in piedi, esattamente come accade ai protagonisti che stazionano in più mondi contemporaneamente.

Di più, Inception riesce a trarre forza proprio dal suo essere tassello fondamentale nel percorso cinematografico degli attori: il film è tanto del regista quanto dei suoi interpreti, cui non a caso è demandata fiducia per dare consistenza a figure che altrimenti diventerebbero semplici pedine dell’ingranaggio-storia e che riescono perciò a rendere credibile il dramma umano fra Cobb e la defunta moglie. Ecco dunque che Leonardo Di Caprio è tanto elemento del film, che evoca il ricordo nello spettatore (come spiegato in precedenza), quanto attore-autore che continua a definire un percorso di realtà e personalità alternative all’interno della storia del cinema, da Prova a prendermi, a Departed, al già citato Shutter Island, via via fino a Titanic, dove costituiva l’autentica possibilità alternativa per la protagonista Rose, che grazie a lui riusciva a cambiare identità e destino. Un aspetto di cui il film consapevolmente si giova.

In questo modo Inception riesce a riflettere nella condizione dello spettatore quella dei protagonisti, coinvolti in un gioco di rimandi fra realtà e memorie alternative: letteralmente a entrare in risonanza con chi guarda. Il film resta pertanto entità autonoma, che però fa appello a una tradizione cinematografica di cui si pone come epigono: il sogno condiviso e gli ambienti ribaltati della saga di Nightmare, i corpi legati e sospesi come nel già citato Coma profondo, ma soprattutto l’andirivieni fra realtà parallele che influiscono sul destino come in Matrix (richiamato visivamente dalle lotte in spazi dove le regole fisiche sono sovvertite). Ed è un rifarsi che, quindi, non diventa soltanto tematico, ma anche visivo, grazie a una struttura a rompicapo che è sì geometrica nella teorizzazione delle regole che sorreggono il racconto, ma è anche porosa quel tanto che basta da permetterci di “vedere” dietro ogni immagine un precedente.

Nolan riesce così a creare una sorta di punto di intersezione fra istanze cinematografiche e autoriali differenti, che si fanno elemento condiviso. Come a dire che il cinema in fondo altro non è che un enorme sogno nel quale siamo tutti chiamati in causa. Su questa base si costruisce poi la storia vera e propria, mescolando thriller, azione, sentimento e un pizzico di fantascienza. Tutti generi che apportano al risultato finale elementi di riconoscibilità e permettono alla struttura di essere condivisa, ma che allo stesso tempo danno al film una specificità propria, in quanto punto d’incontro di istanze difformi.

Il gioco è quello di creare un difficile punto di equilibrio (paradosso?) fra una verità e il suo opposto, per cui il mosaico diventa elemento unico, la realtà diventa sogno, la materialità del set (il film è girato con un apporto estremamente ridotto di computer grafica) serve a mettere in scena un universo fantastico, gli spazi sono delimitati ma devono apparire infiniti, la complessità esibita del plot si accompagna a un ossequio di dinamiche di genere molto immediate.

Inception
(id.)
Regia e sceneggiatura: Christopher Nolan
Origine: Usa, 2010
Durata: 142’

The Cobol Job: il prequel a fumetti

1 commento:

Anonimo ha detto...

"il cinema in fondo altro non è che un enorme sogno nel quale siamo tutti chiamati in causa"

Questa è una delle infinite sensazioni che si ricevono guardando questo film che ho trovato strabiliante e mozzafiato, oltre che pregno di livelli di lettura, e parlare di livelli non è casuale.

Ale55andra