"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 17 settembre 2010

Le implacabili lame di Rondine d’Oro

Le implacabili lame di Rondine d’Oro

Il maestro Chang, figlio del governatore, viene rapito da alcuni banditi che chiedono la liberazione del loro capo, rinchiuso in prigione in attesa che gli venga comminata la pena di morte. La giovane Rondine d’Oro, sorella di Chang, attraversa la regione travestita da uomo per incontrare i banditi, guidati dal feroce Tigre Faccia di Giada: a loro propone di consegnarsi in cambio di una pena più clemente. Inaspettatamente a fare da ago della bilancia fra i due fronti contrapposti è un ubriacone, Fan Ta Pei, da tutti noto come Gatto Brillo, che conosce bene le arti marziali ed è collegato ai fatti da un particolare: il tempio dove si sono rifugiati i banditi appartiene al monaco Liao Kung, l’uomo con il quale Fan Ta Pei aveva studiato e che poi aveva ucciso il loro maestro. Ora Liao vuole recuperare lo scettro della scuola che Fan Ta Pei aveva portato via e messo al sicuro e per questo lo sta cercando.

L’autentico momento di rifondazione del wuxiapian si ha nel 1966, quando King Hu dirige, sotto l’egida dei fratelli Shaw, questo film, spesso indicato con il titolo internazionale Come Drink With Me. Girato a colori e in formato panoramico (due elementi che diventeranno un marchio di fabbrica dello studio), Le implacabili lame di Rondine d’Oro rilancia il genere codificando alcuni suoi elementi topici e tracciando una via che l’uscita del successivo Mantieni l’odio per la tua vendetta di Chang Che contribuirà ulteriormente a definire. Certo, quello fra King e Chang è un autentico dualismo sul quale il genere si innesterà, poiché tanto il secondo è sanguigno e concentrato sul lirismo melodrammatico di vicende che ruotano intorno all’onore e a un immaginario coniugato rigorosamente al maschile, tanto il primo vede nel wuxia un perenne territorio di sperimentazione visiva e tematica, fatto che rende già questo film affine eppure diverso alla ricca produzione del filone. Non a caso, all’indomani del successo conseguito, King Hu abbandonerà gli Shaw Brothers per intraprendere un percorso personale all’interno del genere, giungendo via via a quell’astrazione che si può ammirare nel suo conclamato capolavoro A Touch of Zen (che in Italia è purtroppo passato soltanto in tv su Rai3 grazie a Fuori Orario).

Ecco dunque che gli elementi di continuità con la corrente “istituzionale” incarnata dalla prolifica produzione di Chang Che si possono rintracciare soprattutto nella cognizione di identità che vede il film mettere in scena un regolamento di conti per interposta persona: tutti i contendenti, sia Rondine d’Oro che Tigre Faccia di Giada che Fan Ta Pei combattono infatti per rimediare a una ingiustizia che ha colpito i loro parenti o maestri, in ossequio a una logica dell’onore di parte che costringe gli allievi a proseguire le missioni dei loro predecessori. In questo si ravvisa anche l’elemento più vicino a quel cinema di samurai giapponese che le fonti citano come un modello vicino e fondamentale nel ridefinire il wuxiapian e che nello stesso periodo otteneva molto successo (pensiamo a certe opere di Kato Tai). Diversamente da quanto accadrà in seguito (ad esempio già nel citato Mantieni l’odio per la tua vendetta), però, King non lascia esplodere il materiale incandescente che ha per le mani e rifiuta di inseguire il dramma, per fare anzi delle forze contrapposte in campo un archetipo che lo aiuti a portare avanti il gioco di confusione come metafora dello scardinamento di regole cui il suo film è orientato.

Pertanto ecco che i personaggi stessi mascherano la propria vera natura, immergendo l’intera storia in un balletto di inganni evidente nel dualismo uomo/donna di Rondine d’Oro e ubriacone/guerriero di Fan Ta Pei. Quest’ultimo, in particolare, veicola le azioni della donna attraverso gesti apparentemente futili, compie irruzioni improvvise in camera da letto che si rivelano tentativi sagaci di salvarla dagli agguati dei banditi e attraverso il suo canto le fornisce indizi sul nascondiglio dei nemici. La ragazza, invece, innesca con lo spettatore il gioco di fascinazione/inquietudine tipico di un personaggio dalla confusa identità sessuale, che traccia coordinate inedite nel genere: il fatto stesso che la storia la veda oscillare dal ruolo di protagonista (nella prima parte) a quello di comprimario (nella seconda) sembra quasi suggerire la consapevolezza di King, che in un unico film già riassume quella che sarà la parabola del genere. Già nel sequel Golden Swallow girato due anni dopo, infatti, Rondine d’Oro perderà lo status di figura principale (e non a caso troveremo Chang Cheh alla regia).

Tutte le forze in campo diventano così segni che King utilizza per mettere in scena uno schema visivo ancora basato sul confronto fisico (si vedano i copiosi schizzi di sangue durante le battaglie) ma che già tende all’astratto, attraverso un montaggio che spesso sembra più celare i colpi che mostrarli, mentre le coreografie tendono naturalmente al ballo più che alla lotta. Non a caso la protagonista Cheng Pei Pei (più di recente vista ne La tigre e il Dragone di Ang Lee) aveva un passato da ballerina e mette a frutto questa esperienza attraverso movimenti aggraziati anche laddove lo scontro dovrebbe rivelarsi più irruento: impagabile a questo proposito il suo rotear di spade per allontanare da sé i nemici disposti in cerchio, una figura che diventa simbolo del film e del genere tutto.

King in questo modo codifica uno dei concetti più significativi del wuxia, ovvero la sostanziale irrealtà degli elementi di messinscena, che appaiono come meri strumenti da agitare alla bisogna, e aprono la porta a un afflato a dir poco fantastico, con oggetti pesanti sollevati senza fatica, corpi che volano sui tetti e mani che sprigionano raggi energetici. Su tutto emerge l’estrema precisione dell’autore nella messinscena, che utilizza il formato Shawscope in senso assolutamente attivo: il margine dell’inquadratura è infatti un autentico personaggio che guida le figure in campo e le distribuisce secondo una logica che è al contempo “geometrica” e pittorica. Ogni ripresa è un autentico quadro in movimento, dove la fisicità è data dalle elegantissime carrellate della macchina da presa e dal ritmo impresso dal montaggio. La trama diventa quindi un pretesto (e in effetti risulta alquanto convenzionale e scevra da particolari ambizioni), ma questo è Cinema al livello più alto.

Le implacabili lame di Rondine d’Oro
(Da Zui Xia/Come Drink With Me)
Regia: King Hu
Sceneggiatura: Yi Cheung, King Hu
Origine: Hong Kong, 1966
Durata: 90’


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1 commento:

Sciamano ha detto...

Vai!
Bellissimo film, roba di classe pura. Adoro anche il più selvaggio sequel "Golden Shallow" di C.Cheh!