Sergio Di Stefano: Ne resterà soltanto uno!
“Ne resterà soltanto uno” è la frase-simbolo di Highlander – L’ultimo immortale, cult-movie di Russel Mulcahy datato 1986. A pronunciarla era un allora in auge Christopher Lambert, ma per gli spettatori italiani la voce è da sempre quella di Sergio Di Stefano, doppiatore dell’attore anche in altre pellicole (2013 – La fortezza, Nirvana i primi che mi vengono in mente). La scelta proprio di questo titolo nella sua sterminata filmografia da doppiatore non è casuale: come il personaggio di Connor MacLeod, anche Di Stefano ha sempre dato la sensazione di una presenza “immortale”, poiché trasversale alle epoche, uno di quegli elementi da sempre presenti nella memoria cinematografica, attivo già dalla fine degli anni Sessanta: uno dei suoi ruoli più “antichi” a questo proposito è ne La notte dei morti viventi di Romero, in cui doppiava il giovane Tom (l’attore Keith Wayne).
E poi da lì una carriera proseguita attraverso i decenni, passando per Jeff Bridges, John Malkovich, William Hurt, Alec Baldwin, in tutti i generi e i registri, fino a dare voce persino al malvagio Freddy Krueger negli ultimi capitoli della saga di Nightmare (il sesto e il settimo). Sergio Di Stefano c’era. Sempre. Una voce familiare al pubblico di ieri e a quello di oggi, magari attraverso il suo ultimo successo, il doppiaggio di Hugh Laurie nell’acclamata serie tv Dr. House. Non famosa come quella di Oreste Lionello, ma ugualmente conosciuta, in un panorama sempre più frastagliato, ma che negli ultimi anni ha visto sparire molti fra i suoi nomi migliori (Roberto Del Giudice, Glauco Onorato e altri).
E’ una strana sensazione quella che si prova quando a sparire non è un volto, ma una voce: si avverte quasi come una sorta di scorrettezza, un colpo basso perché ad andare via non è l’autorialità incarnata in un corpo che diventa naturalmente icona e quindi segno spesso tematico nei contorti percorsi del cinema, definito e completo nel suo percorso professionale: no, a sparire è un suono familiare che è tutt’uno con l’immagine ma, per le dinamiche proprie del doppiaggio, anche segnale autonomo, incompleto ma allo stesso tempo autosufficiente. Uno strumento su cui l’immagine si poggia, che sparisce letteralmente fra le pieghe del viso dell’attore, ma che con il tempo diventa riconoscibile in sé e quindi familiare, coccolato.
Nel caso di Sergio Di Stefano, poi, un altro elemento rende queste sensazioni ancora più intense, e la notizia ancora più sconvolgente: quella voce che negli anni non era cambiata granché, non accusava il peso delle 71 primavere dell’attore e non a caso spesso veniva anche abbinata a figure più giovani, anche di un paio di decadi. Un vero esempio di voce “immortale”, capace nella sua eleganza di ben figurare al di là della sua età biologica. Non sono molti i doppiatori che possono vantare queste credenziali: versatilità rispetto al ruolo e capacità di restare inalterate nel tempo.
Ne sanno qualcosa gli appassionati di animazione giapponese, per i quali Di Stefano era la voce irosa e graffiante del duro Hayato Jin di Getter Robot the Last Day, ma anche quella fredda e decisa di Capitan Harlock, leggendario pirata spaziale creato da Leiji Matsumoto (in Harlock Saga). Ma su tutti va prediletto un ruolo in particolare, quello di Dario di Persia in Alexander, sintesi della sua arte a contatto con un’immagine disegnata: la splendida serie animata nippo-coreana ha infatti regalato all’attore un ruolo straordinariamente vibrante pur nella freddezza ostentata da questo sovrano che si oppone al regno di conquiste di Alessandro il Grande di Macedonia. Con poche intonazioni Di Stefano colora il personaggio di una profondità mitica indimenticabile. E mi piace pensare che l’idea di essere ricordato per una figura così “minore” nella sua sterminata carriera sia il modo più lieve e affettuoso di salutarlo.
Non sono molte le immagini che circolano di una voce così familiare, le poche lo ritraggono come una persona dall’aspetto elegante e gentile, in linea con la professionalità che lo ha sempre contraddistinto. D’altronde anche la sua scomparsa avviene in silenzio, si dice per un malore improvviso durante una telefonata, in un momento dunque intimo e lontano da microfoni e leggii. Un’autentica voce nell’ombra, grande come le sue interpretazioni ma discreta: a prescindere da cosa si pensi della pratica del doppiaggio mancherà a tutti, non potrà essere altrimenti.
3 commenti:
Ciao Davide!
sono felice che ti ricordi anche del mondo del doppiaggio, che a volte è giustamente criticato, ma a volte anche ingiustamente...
non sapevo della sua scomparsa.
Un grande doppiatore, voce storica che ha lasciato e lascerà negli anni la sua impronta.
complimenti per il tuo pezzo Rod, onesto e asciutto.
Ciao Tamara, ciao Joe e grazie a entrambi per i commenti.
Sì, pur preferendo la visione dei film in lingua originale non faccio mistero di seguire il mondo del doppiaggio con curiosità e passione, viste le ampie possibilità di analisi che offre.
In linea di principio ritengo che gli attori (i doppiatori) siano molto meglio del doppiaggio, inteso come sistema e pratica industriale, gestita troppo spesso con approssimazione.
Peccato che spesso, come nel caso del grande Di Stefano, le occasioni di confronto arrivino solo in occasione della scomparsa degli attori...
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