"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 25 febbraio 2009

Ponyo sulla scogliera

Ponyo sulla scogliera
La pesciolina Ponyo, sbalzata lontano dal suo regno sottomarino, viene trovata dal piccolo Sosuke, che stringe con lei una sincera amicizia. Il padre di Ponyo, lo stregone Fujimoto, intanto cova progetti distruttivi per il mondo, che intende liberare da quell’umanità di cui pure un tempo faceva parte. Ma Ponyo, dopo aver ingerito il sangue di una ferita di Sosuke, acquisisce forma umana e vuole restare con l’amico terrestre: l’unione è osteggiata da Fujimoto, ma sembra trovare l’avallo della Grand Mamarre, la madre della piccola Ponyo.
  
 
Si può affermare che il nuovissimo Ponyo sulla scogliera (presentato in anteprima e in concorso alla Mostra di Venezia 2008) sta al precedente Il castello errante di Howl come La città incantata stava a Princess Mononoke: in entrambi i casi, infatti, si respira una libertà d’azione che pervade l’animo di Hayao Miyazaki, tipica di chi, liberatosi del fardello di un’operazione intellettualmente, emotivamente e contenutisticamente più onerosa, si abbandona infine al piacere della creazione pura e semplice. In questo senso Ponyo sulla scogliera è un’opera solare e pervasa da un piacere per l’animazione e il racconto che conquista immediatamente il cuore.
 
Una storia “semplice”, sicuramente caratterizzata da molti tratti distintivi e tematici cari al Maestro giapponese, ma ugualmente spiazzante perché oltre: oltre la cupezza e lo scontro fra civiltà del già citato Howl, oltre il proliferare delle strabilianti visioni della Città incantata e ovviamente oltre gli artifici tecnologici di Mononoke. Prova ne sia prima di tutto la tecnica, che nell’affidarsi totalmente all’animazione tradizionale abbandona quella tensione idealmente fotorealistica tipica delle precedenti opere. Sebbene il cinema miyazakiano, infatti, sia da sempre proteso alla rappresentazione di racconti fantastici, è pur vero che la perfezione tecnica tende a iscrivere la fantasia all’interno di universi che, per quanto disegnati, sono in sé credibili ed estremamente reali nella cura del dettaglio. In Ponyo invece questo non avviene: il disegno si palesa per ciò che è, e rimanda ai primi lavori con Isao Takahata, attraverso personaggi dal design immediato e fondali dove è possibile distinguere il singolo tratto di colore, tanto da giungere a una straordinaria economia espressiva, fonte anche di inusitata bellezza, tanto da rendere Ponyo sulla scogliera una magnifica esperienza visiva, di quelle che permettono di reimparare a vedere il mondo.
 
Il progetto in fondo è quello giusto, se consideriamo come la favola del bambino e della pesciolina che assume forma umana sia in sé un inno alle stagioni primarie della vita, ovvero la fanciullezza e la vecchiaia, che Miyazaki unisce attraverso l’interazione fra i due protagonisti e il gruppo delle anziane donne gestite dalla madre in un ospizio (e che si rivelano ben presto parte attiva nella vicenda). D’altronde già nel precedente Howl la protagonista era una ragazzina invecchiata, simbolo di una volontà che vede l’autore ormai consapevole di essere giunto alla maturità artistica, e che perciò anela a esplorare i legami che la terza età stabilisce naturalmente con l’infanzia, spingendo il pubblico a riflettere sulla bellezza dei sentimenti più immediati: la meraviglia, l’entusiasmo e, soprattutto, l’amore, come è in fondo quello che lega Ponyo a Sosuke.
 
Ecco dunque che Ponyo diventa anche un’operazione di sintesi e può permettersi di unire la fine con il principio anche riscrivendo quella che è una delle figure retoriche meno esplorate del cinema di Miyazaki: la catastrofe. Che ora non è più l’atto fondativo di una civiltà terminale (Nausicaa della Valle del vento) o l’atto catartico di una storia ormai destinata a vincere sul potere vivificatore della natura (Princess Mononoke), ma uno stadio dell’essere che non viene caricato di nessuna valenza distruttrice, ma anzi quasi anela a essere un passaggio vivificatore: ecco quindi che gli tsunami affrontati da Ponyo e Sosuke non recano con sé alcuna drammaticità, ma anzi sono anch’essi parte della natura e affrontati pertanto con sentimento quasi virtuoso, non rassegnato, ma certamente propositivo, fonte di avventura e senso del meraviglioso che escludono la catastrofe e si concentrano sui sentimenti dei singoli.
 
D’altronde la posta in gioco è ancora una vola l’avvicinamento di opposti, e il viaggio di Ponyo e Sosuke l’una verso l’altro diventa quindi un progressivo sfiorarsi fra una realtà che deve ritrovare la magia e una fantasia che deve essere capace di immergersi nel mondo, in un abbraccio che ha la stessa delicata intensità della fiaba per bambini che riesce a parlare anche agli adulti.
Nelle sale italiane dal 20 marzo.

 
Ponyo sulla scogliera
(Gake no ue no Ponyo)
Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Origine: Giappone, 2008
Durata: 100’
 

1 commento:

Vision ha detto...

grande maestro Miyazaki

bello il blog
il mio, da poco sul web, riguarda l'animazione, se vuoi darci un'occhiata sei il benvenuto