Michael e Homesdale: gli
esordi di Peter Weir
Qualsiasi discorso sul
cinema di genere australiano non può prescindere dalla figura di un
autore “vero” come Peter Weir, forse il nome più noto fra quelli
sfornati dalla terra dei canguri: non che la regia di Weir sia
direttamente assimilabile alle forme dei generi, concentrata com'è
su ossessioni molto personali e su un universo figurativo
particolarissimo. Ma proprio la sua personalità ha finito in qualche
modo per marcare la differenza fra il cinema australiano
“istituzionalmente riconosciuto” (quello che alla metà degli
anni Settanta fece parlare di “new wave” d'Oceania) e il
sottobosco delle produzioni oggi racchiuse sotto il marchio
dell'Ozploitation. E, come si potrà notare attraverso il percorso
che qui analizzerà la sua filmografia australiana, il cinema di Weir
a volte ha intessuto con il genere dinamiche molto strette e
interessanti.
Il primo appuntamento è
dedicato ai corti d'inizio carriera: una galassia abbastanza
variegata, tra lavori universitari, shorts realizzati da
indipendente e miniserie televisive - proprio sul piccolo schermo
avviene il debutto vero e proprio nel lungometraggio con Man on a
Green Bike, del 1969. Dell'intero corpus - difficile da
organizzare sotto un'unica direttrice, come sempre avviene negli anni
della formazione - conviene analizzare i lavori più compiuti, ovvero
Michael, episodio del collettivo 3 to Go (1969) e
il mediometraggio Homesdale
(1971), che molte filmografie indicano anche come l'autentico
“numero zero” della sua filmografia, per come contiene in nuce
già molte delle sue future ossessioni.
Prodotto dal Commonwealth Film Unit, il film in tre parti 3 to Go è un percorso nelle vite di tre personaggi, utile a tastare il polso della situazione sociale australiana alla fine degli anni Sessanta – una delle missioni del CFU, infatti, era la produzione di documentari e lavori di interesse culturale nazionale. Michael, l'episodio diretto da Weir, centra perfettamente l'obiettivo raccontando le giornate di un ragazzo ordinario (Michael, appunto), ben inquadrato in una famiglia di stampo classico e conservatore, con un lavoro e una fidanzata di buon lignaggio. L'incontro con Grahame, attore in un film sulle proteste giovanili, gli aprirà però un mondo nuovo, portandolo alla scoperta dei fermenti libertari che animano molti coetanei. Weir è già attento a mettere in scena la scoperta di un mondo altro da parte di un protagonista che si ritrova così in bilico fra due realtà tra loro opposte, dove vige però il concetto dell'esclusione, più che dell'inclusione, tanto che alla fine il destino è inevitabilmente amaro e conduce alla non collocazione in nessuno dei due ambiti. Weir articola il percorso di Michael attraverso il doppio passo fornito, da un lato, da una vita quotidiana tarata su rituali apparentemente inscalfibili, e dall'altro da una protesta sociale portata avanti dai giovani e fatta di dibattiti pubblici o talk televisivi che sembrano aggirare il fulcro del discorso. L'attenzione del regista per le dinamiche tipiche della società-spettacolo diventerà evidente in opere come The Truman Show, ma è già espressa in potenza in una struttura narrativa che evidenzia a tratti la finzione dello schermo (il servizio televisivo in cui il presentatore vuole offrire uno spaccato “reale” dei ragazzi che intervista, ma poi le scene sono ripetute più volte) e che crea un rispecchiamento con l'iniziale film-nel-film dedicato alle proteste. In questa parte troviamo peraltro rappresentati quegli aspetti visivi “forti” (con scene anche molto violente) che poi produrranno lo spiazzante detour de Le macchine che distrussero Parigi, mentre l'approccio semi-documentaristico alla materia corteggia gli esperimenti coevi di The Naked Bunyip. Ma, al di là delle possibili letture sociologiche, Michael funziona per il flusso narrativo non lineare, con un montaggio basato più sull'associazione emotiva delle immagini che sulla perfetta scansione degli eventi: all'epoca il regista era vicino al collettivo di cinema sperimentale Ubu Films, ed è probabile che questo filtri nello stile visivo del cortometraggio. Ciò che però ci interessa è il fatto che questo modulo narrativo già crea quelle atmosfere magnificamente rarefatte, destinate a diventare un marchio di fabbrica per il regista.
Il confronto fra gli outsider di Weir e le realtà differenti con cui gli stessi si trovano a interagire, ha come conseguenza spesso l'implosione della realtà medesima, oppure l'inevitabile inglobamento del malcapitato nel meccanismo. E' questo il caso di Homesdale, che si può considerare il primo vero racconto di un sistema chiuso e retto da regole interne perfettamente definite, anche laddove esse appaiono oscure allo spettatore. La vicenda si svolge infatti in una sorta di casa da riposo isolata, dove un gruppo di persone affette da frustrazioni o paure più o meno gravi si riunisce per affrontare i propri traumi, grazie a un personale appositamente predisposto. Nel gruppo c'è però un nuovo arrivato, mr. Malfry, timido e incapace di integrarsi con il resto della compagnia e, soprattutto, refrattario a seguire alle regole del posto. Il tono stavolta è più quello di una commedia nera, che a tratti sfocia nel thriller vero e proprio, complici le scene notturne, dipinte con energico piglio espressionista, quando non propriamente horror (c'è persino un omaggio alla doccia di Psyco, a ruoli invertiti, con un uomo a far da vittima). La compagnia è composta da personaggi eccentrici e il tono è spesso sopra le righe, ma proprio l'alternanza dei registri permette di definire quell'atmosfera sospesa cara al regista, con punti in cui le realtà e le visioni dei personaggi tendono a sovrapporsi, tanto da rendere congruo, nella sua inaspettata torsione, il finale della storia. Nel cast ritroviamo Grahame Bond, già visto in Michael e destinato a diventare una star televisiva con la sitcom The Aunty Jack Show. Peter Weir e il collega Phillip Noyce hanno una piccola parte, e il tutto è stato girato nella casa dello stesso Weir.
Dunque realtà in
conflitto, personaggi destinati a essere tagliati fuori o inglobati
dagli spazi in cui si ritrovano, ma su tutto domina il tema
dell'identità, che attraversa a grandi linee tutto il cinema
australiano, in ossequio a un'industria cinematografica cui è stato
demandato, da un certo punto in avanti, il compito di forgiare un
immaginario comune. Il fatto che Peter Weir sia emerso come il
rappresentante più ampio di questo movimento, è dovuto alla sua
abilità nel declinare un percorso personale con una disamina più
ampia della “doppia natura” del suo paese, stretto fra le origini
rappresentate dai territori aspri dell'Outback e il suo status di ex
colonia britannica. Ci si ritornerà su quando vedremo le successive
opere dell'autore.
Quanto alla reperibilità
dei due lavori qui analizzati, Michael è tranquillamente
visibile nel cofanetto DVD della Ripley's Home Video con i primi
lavori del regista. Homesdale è invece inedito in Italia, ma
è compreso nella raccolta Peter Weir: Short Film Collection,
acquistabile attraverso i canali import.
3 to Go - Michael
(id.)
Regia e sceneggiatura:
Peter Weir
Origine: Australia,
1969 (il film fu poi distribuito nel marzo 1971)
Durata: 29'
Homesdale
Regia: Peter Weir
Sceneggiatura: Peter
Weir e Piers Davies
Origine: Australia,
1971
Durata: 48'
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