Reality
Luciano lavora a
Napoli in una pescheria, è marito e padre di famiglia ed è una
persona gioviale, che cerca di far quadrare il bilancio e non cedere
alle difficoltà della vita. Spinto dai familiari, un giorno
partecipa per gioco a un casting per la nuova edizione del Grande
Fratello, senza aspettarsi nulla. Con sua grande sorpresa, invece,
viene convocato a Roma per una seconda fase di selezione e da quel
momento si convince di essere stato scelto. Per questo passa i mesi
seguenti in uno stato di profonda tensione, inizia a vedere possibili
spie della trasmissione dappertutto, fino a sfociare in un
comportamento ossessivo che lo porterà a mettere a rischio tutto
quello che ha, compresi gli affetti familiari.
Realtà e Reality.
Due termini che normalmente dovrebbero essere lo stesso, in due
lingue differenti, ma che invece al giorno d'oggi hanno finito per
diventare distinti e determinare un intervallo: quello fra la
concretezza del vero e la sua rappresentazione mediatica. Il problema
inizia quando non si riesce più a distinguerle e la vita quotidiana
si trasforma in un grande spettacolo: Matteo Garrone si è fatto
carico di indagare la contraddizione insita in quell'intervallo e lo
ha fatto nel modo più poetico e intelligente che si potesse pensare,
attingendo a tradizioni di lunga data, dimostrando come l'arte –
più di ogni altra cosa – sia un punto d'osservazione privilegiato.
Nelle maschere
irresistibili che connotano la vicenda di Luciano, infatti, possiamo
vedere un omaggio alla tradizione teatrale partenopea, così come nel
protagonista stesso un discendente dei tanti volti agrodolci della
commedia all'italiana (e fa solo venire i brividi pensare che
l'attore è in realtà un ergastolano condannato per strage, giusto
per rimarcare un altro possibile gioco di sovrapposizioni). Non è un
caso che Garrone rievochi questi modelli. Lo fa per appartenenza a
filoni che possedevano un'ampia vena satirica, unita a una capacità
unica di veicolare le loro istanze con grande immediatezza. Ma lo fa
anche perché, a un livello secondario, il film è completamente
avvolto dall'idea della rappresentazione e, quindi, non può
che rimandare a modelli di fiction.
Se la commedia italiana e
la tradizione teatrale delle “maschere” costituiscono modelli
nobili, Reality evoca comunque fin dal principio altri
possibili esempi di rappresentazione, mostrandone la loro perfetta
compenetrazione con gli schemi culturali e sociali dell'Italia.
Abbiamo quindi il matrimonio e la sua coreografia spettacolare (con
tanto di visita del “divo” baciato dal successo televisivo e foto
di gruppo); oppure la pescheria, dove Luciano è su una pedana-palco
da cui chiama a raccolta i clienti come un esperto entertainer.
L'idea del “palco” si ritrova anche nel piccolo balcone dal quale
Luciano regala la mobilia di casa agli avventori che crede essere
emissari dello show televisivo. In ogni momento della sua vita,
quindi, Luciano è già un “personaggio”, in cerca di una
legittimazione.
Garrone
fa però un doppio passo in avanti, chiamando in causa sacro e
profano. Non va infatti dimenticato che un altro momento di
rappresentazione, profondamente legato a un rituale, è quello della
Via Crucis cui Luciano va ad assistere nel prefinale. E in effetti
tutto il film è attraversato sottilmente anche da una vena
cristologica che ci rimanda alla religiosità come sublimazione di
una ritualità rappresentata:
questo diventa evidente sia nella letterale odissea che il
protagonista patisce e che lascia intravedere i segni di
un'ossessione degna di un invasato religioso, sia nel momento in cui
“chiede udienza” al divo Enzo mostrandosi attraverso una grata
che ha il sapore dello spazio angusto di un confessionale.
D'altronde,
non è il “confessionale” uno degli spazi più celebri proprio
del Grande Fratello? E
quindi è logico che a un livello primario la trasmissione tv sia
quella che riassume tutti gli spunti fin qui enumerati, sia il motore
degli eventi e la sua sintesi, che trova facile sponda in quella
società che vorrebbe asetticamente raccontare, ma che invece
sottilmente plasma e plagia. Garrone non cade nel manicheismo di
credere che la tv sia il Male, ma - esattamente come accadeva con i
suoi film precedenti - si pone nella posizione dell'osservatore,
proponendo frequenti riprese dall'alto e iscrivendo il film fra il
movimento a scendere iniziale e quello a salire del finale, che
sembra quasi richiamare ancora una volta un motivo religioso, quello
dell'ascesa dell'anima.
Il
rischio, a questo punto, è quello di un film arido e pianificato a
tavolino, magari succube della scrittura più che della possibilità
di elaborare gli spunti visivamente. Ma non è questo il caso:
Garrone dimostra infatti una malinconica empatia per il suo
personaggio e chi gli sta attorno e si dimostra più interessato al
suo dolore che alla natura ossessiva del suo male (d'altra parte da
questo versante verrebbe agilmente surclassato dal grandissimo Amir
Naderi di Vegas).
Perciò abbandona spesso le riprese dall'alto per incollarsi ai volti
degli attori e quasi li accarezza: la sua “osservazione” non è
quindi giudizio morale, ma più che altro una fascinazione estetica
per un mondo che sotto lo sguardo della sua macchina da presa mostra
la sua trasfigurazione.
In
questo modo Garrone riesce a entrare nella mente del protagonista,
marcando il passaggio dalla Realtà al Reality attraverso
l'intercessione della massima fiction
possibile: quella della fiaba. Così, quando, nel magnifico finale,
Luciano arriva alla casa del Grande Fratello e la osserva dai vetri
esterni prima di “varcare la soglia”, non sembra di vedere Alice
prima che attraversi lo specchio? Per questo la scena ha il sapore di
un sogno, una consistenza assolutamente fantastica. È in quel
momento che tutte le direttrici convergono: Luciano varca il cancello
del suo Paradiso. Che però è soltanto suo, è lo spazio che gli
permette di riconciliarsi con la propria ossessione, di non essere
più un “caso” medico e di ritrovarsi al centro del mondo più
agognato, ma solo e ignorato da tutti. Un finale potentissimo e
lirico, il più giusto che si potesse chiedere a questo film
straordinario.
Reality
Regia:
Matteo Garrone
Sceneggiatura:
Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Maurizio Braucci, Ugo Chiti
Origine:
Italia, 2012
Durata:
115'
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