Magic Mike
Tampa, Florida. Mike
Lane ha l'ambizione di aprire un'attività per conto suo, ma intanto
si divide fra vari lavori. In un cantiere conosce il giovane Adam
(detto “Kid”) e lo introduce nel mondo dello spogliarellismo
maschile: Mike è infatti la stella di prima grandezza dell'Xquisite,
gestito dall'altrettanto ambizioso Dallas, che sogna di ingrandirsi e
trasferire l'attività a Miami. Sulle prime Adam è impacciato, si
ritrova sul palco più per caso che per scelta, ma impara in fretta e
inizia a commettere sciocchezze come perdere la “roba” che doveva
vendere per un pusher. Nel frattempo, Mike diventa amico di Brooke,
la sorella di Adam, che guarda con scetticismo al mondo dei locali
notturni.
C'è un momento, nel
film, in cui Adam viene invitato da un collega a “provare” le
grazie di sua moglie. Il ragazzo esegue, e allo stesso tempo i due
uomini si scambiano attestazioni verbali di affetto. In quel breve
scambio di battute, che poi il montaggio tronca quasi bruscamente, è
come se Steven Soderbergh scoprisse le carte ed esplicitasse in
maniera molto più diretta che nel resto del film lo scopo del
progetto: raccontare lo slittamento di senso della nostra realtà e
della nostra società.
In effetti, così come il
ragazzo “ama” il collega per l'intercessione del corpo di sua
moglie, così Magic Mike racconta la fragilità del mondo
contemporaneo e i disastri portati dai nuovi modelli economici
attraverso l'esibizione in odore (apparente) di exploitation
dello spogliarellismo maschile. La differenza che passa fra Magic
Mike e un qualsiasi film pensato soltanto per solleticare i bassi istinti
del pubblico specializzato, infatti, sta proprio nell'elaborata
consapevolezza con cui il regista oppone la perfezione esteriore del
corpo maschile come strumento spettacolare ai drammi interiori di
persone in cerca dell'occasione e del successo.
Pertanto, il protagonista
Mike assume i contorni di una figura disallineata, anche tragica se
vogliamo. Certo, nessuno ascoltando la sua fluente parlantina e
osservando i suoi modi simpatici penserebbe mai a un protagonista in
difficoltà. Il dramma, se vogliamo usare questa espressione, sta
nella sua doppia natura e nel conflitto irrisolto fra persona e
personaggio che solo l'amica Brooke riesce a vedere e che, ad altri
livelli, è incarnato anche da Adam. Mike, infatti, è il re del
night, ma non si sente parte stabile della compagnia, in quanto è
sempre orientato verso il sogno di un'attività in proprio, negatagli
dalle contingenti regole economiche e dalla crisi del sistema
finanziario (la banca gli nega il prestito, pur davanti alla grossa
somma di denaro che lui è pronto a depositare in contanti). Mike
vive, insomma, in uno stato di precarietà interiore che viene suo
malgrado oggettivizzato quando le regole per codificare la realtà
diventano quelle contraddittorie dell'economia.
Come già in altre
opere del regista, il tono è sempre a metà fra l'empatia
verso personaggi ben delineati e una tendenza all'astrazione che si
ritrova in una forza visiva capace di esaltare il valore della
messinscena: abbiamo così numeri musicali quasi sempre frontali
rispetto allo spettatore (come a riprodurre la teatralità della
scena e dei balletti), un ritmo contemplativo rispetto ai momenti di
vita quotidiana e una qualità molto alta dei dialoghi, dove si
tirano in ballo una grande quantità di concetti. Soderbergh conosce
la macchina cinema come pochi e ne sfrutta sapientemente a suo
vantaggio i codici: sarà anche troppo teorico, come qualcuno
insinua, ma è di una fattura talmente lucida e coerente nella sua
indipendenza da non lasciare indifferenti.
Pertanto, il regista non
è interessato soltanto alla dinamica di genere, ma a un ritratto più
allargato che comprenda le fragilità e i punti critici della società
contemporanea. In questo senso Magic Mike diventa un film
politico, che racconta il fallimento di un modello sociale attraverso
una classica parabola da “american dream” che sembra quasi una
parafrasi di Flashdance, ma ne è invece una sua versione
rovesciata. Prova ne sia il fatto che la potenziale storia d'amore,
stavolta, non si risolve con l'affermazione professionale, come
avveniva nel classico di Adrian Lyne, ma al contrario con la rinuncia
del protagonista al trasferimento nella capitale della Florida.
Lavoro e realizzazione umana, dunque, non vanno più di pari passo,
ma devono essere sfalsati perché il protagonista risolva il suo
conflitto.
Sembra quasi che il Sogno
Americano sia diventato l'Incubo Americano, insomma, per come
sacrifica l'umanità dei personaggi. In questo senso, come già
accennato, è Adam a costituire l'altro importante fulcro della
storia: il suo percorso, infatti, è esattamente quello codificato
dalla tradizione delle storie di successo, fatto che lo rende quasi
una figura “negativa”. Da perdigiorno che viene sorpreso sul
posto di lavoro (precario) a sottrarre una lattina di bevanda in più,
a idolo delle folle che si inebria del suo carisma e arriva anche a
procurare guai ai colleghi, ma senza curarsene troppo. Soderbergh
evita comunque il manicheismo e non fa mai esplodere del tutto la
conflittualità fra i due protagonisti, ma l'asimmetria dei
rispettivi percorsi è comunque capace di fornire linfa e complessità
al discorso che più gli interessa.
Magic Mike
(id.)
Regia: Steven
Soderbergh
Sceneggiatura: Reid
Carolin
Origine: Usa, 2012
Durata: 110'
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1 commento:
Effettivamente c'è qualcosa di più che i culi depilati dei protagonisti. Io l'ho trovato un po' incerto ma comunque interessante. McConaughey poi è davvero istrionico!
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