A Dangerous Method
Svizzera, 1904. Il
dottor Carl Jung è un pioniere nel campo della psicanalisi, così
come teorizzata dal collega austriaco Freud. L'occasione per mettere
in pratica le rivoluzionarie teorie gli si presenta quando,
nell'ospedale in cui opera, viene ricoverata Sabina Spielrein, una
donna affetta da violente crisi. Grazie alle sedute con Jung, Sabina
ripercorre i traumi infantili che la vedevano vittima delle violenze
paterne, in un perverso gioco di attrazione/repulsione che ha
letteralmente modificato la sua sfera sessuale. Negli anni
successivi, Jung ha modo di incontrare direttamente Freud, che pone
alla sua attenzione il caso del collega Otto Gross: quest'ultimo
riesce a vincere le resistenze di Jung e a convincerlo a iniziare una
relazione extraconiugale con Sabina.
Pochi fra i registi
contemporanei possono vantare un percorso autoriale coerente come
quello di David Cronenberg: a ogni visione sembra di vederlo lì,
dietro la macchina da presa, mentre cesella il suo disegno artistico
e tematico, rielaborando le proprie ossessioni in direzioni che
possono apparire inedite o spiazzanti, ma che in realtà sono il
frutto di un agire maturo e di un modulo narrativo che ha saputo
evolvere le proprie forme. Così, siano le pulsioni materiali che
negli anni Ottanta lo posero come un alfiere del body-horror e
un teorizzatore della “nuova carne”, o quelle più manifestamente
legate alle condizioni della psiche, in tutti i casi abbiamo a che
fare con una dimensione interiore che nel rapporto con l'esteriorità
e il mondo “di fuori” lascia deflagrare la propria umanità.
Umanità e non debolezza,
sì badi, ché nel cinema cronenberghiano l'empatia verso le
ossessioni che agitano i protagonisti è assoluta e ogni componente
morale è puramente bandita: il tono algido e sempre più minimale
della messinscena non impedisce infatti allo sguardo di essere sempre
al servizio della storia e dei protagonisti. Da questo punto di vista
l'evidenza del lavoro compiuto con A Dangerous Method è
esemplare: tirare in ballo direttamente i padri fondatori della
psicanalisi sembra quasi un abile escamotage per andare al
cuore del problema, esplicitando in modo magari didascalico la
propria visione dell'umanità. Invece il film spiazza ancora una
volta, prediligendo un approccio non convenzionale. Più che alla
correttezza o meno delle teorizzazioni freudiane, infatti, Cronenberg
è interessato ancora una volta alle pulsioni che sottendono l'uso
delle pratiche psicanalitiche e sfronda anzi le figure di Freud e
Jung della loro aura puramente storico-medica, in favore di una
umanità che gratta sotto la superficie.
Da questo punto di vista,
tanto Jung che Freud vengono visti come due personaggi percorsi
dall'inquieta ricerca di un principio unificante che riesca a
imbrigliare e spiegare le forze che muovono l'uomo nel proprio agire,
secondo una direttrice che è, prima ancora che medica, puramente
filosofica. Cronenberg si adegua a questo agire e filtra la
messinscena attraverso un approccio che è astratto e mentale prima
ancora che concreto e fisico, si affida più alle parole che ai
gesti, ma l'approdo è ugualmente implacabile nella sua lucidità: il
confronto con queste forze rivela la velleità del proposito e si
risolve in una presa d'atto dell'impotenza del raziocinio rispetto
alla complessità della posta in gioco. Il rapporto con l'oggetto
delle attenzioni dei due è comunque differente: per Freud esso si
esplicita in un tentativo molto rigido di ricondurre tutto a
dinamiche elementari, in modo prettamente logico; per Jung, al
contrario, l'approccio non esclude lo studio di possibilità inedite,
come il ricorso a elementi extra-logici - si cita esplicitamente la
possibilità di ricorrere al paranormale.
L'immersione nella sfera
dell'irrazionale finisce naturalmente per lasciare deflagrare le
pulsioni che corrono all'interno dell'animo di Jung, che in questo
modo si allinea a personaggi tormentati e squisitamente
cronenberghiani come il Seth Brundle/Jeff Goldblum de La mosca
e il René Gallimard/Jeremy Irons del capolavoro M. Butterfly.
In tutti questi casi, infatti, l'interesse del protagonista, filtrato
attraverso le pulsioni manifestate dal corpo e dal desiderio amoroso,
finisce naturalmente per precipitare l'animo nella potenza di una
dinamica che non si riesce più ad arrestare. A permettere l'innesco
sono due figure antitetiche eppure affini come Sabina e Otto,
entrambe sostanzialmente oltre il disagio causato
dall'incapacità di circoscrivere la spinta delle proprie pulsioni e
capaci perciò di incarnare una natura impulsiva e tentatrice.
Il che naturalmente
spezza il possibile isolazionismo dei due principali protagonisti, e
permette al film di utilizzare la loro vicenda personale come
paradigma di una situazione sociale più ampia. L'agire non
compromissorio di Freud, infatti, è costantemente motivato da
ragioni eminentemente “politiche”, che il medico austriaco
esplicita direttamente al collega (e allo spettatore): il senso di
accerchiamento rispetto alla portata rivoluzionaria delle proprie
teorie, e il costante antisemitismo che lo coinvolge in quanto ebreo.
Sottotraccia già si avverte una pulsione caotica che di lì a pochi
anni travolgerà l'Europa con due guerre mondiali.
A Dangerous Method,
dunque, si dimostra un punto di vista privilegiato per scoperchiare
ciò che si trova al di sotto della superficie, attraverso la
giustapposizione di elementi (raziocinio e istinto) che si vorrebbero
distinti e governabili ma che si rivelano al contrario
pericolosamente esplosivi se avvicinati e che non fanno altro
che amplificare proprio quella forza che si vorrebbe poter
controllare, in un esaltante gioco di confronto fra gli opposti che
apre il film a un dinamismo molto teso nel suo apparente
autocontrollo.
Per questo, al di là dei
possibili sottotesti storici, esattamente come nei già citati La
mosca e M. Butterfly, il nuovo A Dangerous Method
resta comunque un intenso melodramma di non secondaria sensualità,
capace per questo di far parteggiare lo spettatore per le ossessioni
che agitano l'animo dei protagonisti e di fargli comprendere lo
strazio di anime divise fra opposti, schiacciate da forze
incontrollabili e per questo destinate a rimanere in uno stato di
necessaria infelicità.
A Dangerous Method
(id.)
Regia: David
Cronenberg
Sceneggiatura:
Christopher Hampton, dalla sua pièce teatrale, basata sul libro Un
metodo molto pericoloso, di John Kerr
Origine:
Francia/UK/Canada/Germania/Svizzera, 2011
Durata: 99
2 commenti:
Però si faticava a riconoscere Cronenberg in questo film che, sinceramente, al di là dei meriti che comunque non mancano, mi è sembrato un po' troppo schematico, come dici anche tu.
Ale55andra
Attenzione: io scrivo che il film SEMBRA schematico :)
In realtà ci sarebbe molto altro da aggiungere rispetto a quanto ho scritto, altri lo hanno fatto molto meglio di me, e personalmente ritengo che la mano di Cronenberg sia perfettamente riconoscibile.
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