Arrietty
Alla periferia di
Tokyo, sotto una grande casa immersa nel verde, vive Arrietty, una
“Prendimprestito”: è alta circa 10 centimetri e con il padre e
la madre trascorre le sue giornate nella loro abitazione dalla quale escono
soltanto per “prendere in prestito” il necessario per vivere,
senza palesare mai la propria presenza agli umani. Arrietty però si
trova ormai nell'età in cui può avventurarsi all'esterno per le sue
prime prese in prestito e in questo modo si imbatte in Sho, un
giovane malato che si è trasferito nella grande casa per trascorrere
in tranquillità i giorni che precedono l'operazione al cuore.
Essendo stati scoperti, i Prendimprestito devono abbandonare il loro rifugio, ma il legame che si va formando fra Arrietty e Sho diventa
sempre più intenso, tanto che il ragazzo difenderà l'amica dagli
altri adulti, aiutandola a fuggire.
Ultima
fatica dello Studio Ghibli, Arrietty
è un film costruito su due dimensioni contrapposte: da un lato il
mondo “piccolo” dei Prendimprestito, dall'altro quello “grande”
degli umani. Due sono di conseguenza anche le velocità del film: i
piccoli personaggi si muovono infatti con agilità negli spazi enormi
della casa, scivolano sulle pareti e si arrampicano fra i fili d'erba
come quei roditori e quegli insetti che pure devono evitare lungo i
loro percorsi; al contrario, gli umani sono lenti, il loro corpo
diventa una gigantesca massa uniforme che si muove in modo magmatico,
e che a tratti sembra rimandare alla tradizione tipicamente
giapponese del “gigantismo”, che molti spettatori hanno iniziato
a conoscere attraverso filoni come quello dei grandi robot: i passi
producono scossoni, gli arti si muovono pesanti, e persino il cuore è
costretto dalla malattia rendendo perciò il movimento faticoso,
tanto da connotare il pur giovane Sho come personaggio statico, in
perfetta contrapposizione alla vitalità incontrollabile di Arrietty.
E
ancora due sono le articolazioni degli spazi lungo i quali si dipana
la vicenda: la realtà dei Prendimprestito è quella di una minuscola
casa nascosta nel terreno sotto quella degli uomini, grande al
più come una cassa di frutta o una dimora di bambole; eppure quale e
quanta ricchezza di dettagli connotano ogni angolo, frutto di una
capacità di economizzare il rapporto con lo spazio, ma anche di
vivere lo stesso esclusivamente se riempito di elementi in grado di
realizzare la vita in un continuo e proficuo rapporto con le cose. Il
film si bea letteralmente del piacere del dettaglio, dalle spighe di
grano sparse nella stanza in senso ornamentale, agli attrezzi da
cucina, agli oggetti del mondo “grande” che diventano riserve di
cibo di lungo periodo. Una “geografia domestica” che, si badi, è
cosa ben diversa dal lezioso esercizio di replica del grande nel
piccolo, tipico della vera casa di bambole, che non a caso i
Prendimprestito non riconoscono come propria, nonostante sia stata
costruita per loro.
Al
contrario, anche in questo caso, il mondo degli adulti appare vuoto
nella sua enormità, quasi che solo nel molto piccolo si possa
trovare la chiave di un rapporto con lo spazio che gli umani invece
disperdono in ambienti che ci appaiono sconfinati e spogli. Ecco
dunque che Arrietty e familiari compiono un'autentica reinvenzione
dello spazio, ponendo lo spettatore nella condizione di ripensare e
riscoprire, attraverso una diversa prospettiva, quegli elementi del
mondo umano che sembravano così familiari. Scale fatte di chiodi,
nodi del legno che forniscono appigli per le corde da scalata,
fazzoletti che assumono il valore di sipari dietro cui nascondersi:
tutto è orientato al piacere della riscoperta della
visione, in un esercizio che
palesa la sua natura teorica quando Arrietty diventa soltanto una
sagoma dietro un drappo o un vetro, un'ombra che rimanda agli
artifici originari della visione, al cosiddetto pre-cinema.
Ma
doppio è anche il tono che il racconto persegue, perché questa
tensione alla scoperta, che connota perfettamente il personaggio di
Arrietty, è molto distante da quel piacere quasi fanciullesco
dell'agire che anima invece le opere del mentore Hayao Miyazaki. Il
sense of wonder è
certamente presente e stimolato dai caratteristici tratti morbidi e
dalle tinte calde tipiche della factory
ghibliana, ma è comunque mitigato da un sentire più guardingo e non
privo di una certa cifra inquieta e malinconica, che se non arriva
agli eccessi problematici dei Racconti di Terramare
di Goro Miyazaki, comunque testimonia di una cifra stilistica precisa
e particolare da parte del nuovo regista Hiromasa Yonebayashi. Sembra
quasi che il regista sposi non tanto il punto di vista goloso e
gioioso di Arrietty, quanto quello dei genitori, la loro perenne
sfiducia in una possibilità di convivenza con gli umani, che rende
ogni esplorazione nel mondo di fuori non una grande avventura, ma un
viaggio pieno di pericoli dove è possibile cadere, essere attaccati
dai topi, e dove prendere in prestito è un'operazione rischiosa e
passibile di fallimento.
In
ragione di ciò, il rapporto che si viene a instaurare – in modo
peraltro non preordinato e quasi “istintivo” - fra Arrietty e Sho
diventa la metafora di un possibile percorso alternativo che leghi
due specie altrimenti destinate a non potersi incontrare mai, e senza che si metta in dubbio la difficoltà e l'inopportunità di una possibile
convivenza, come prova il tentativo della governante umana di rapire
i Prendimprestito e di nuocere alla loro specie. Il rapporto fra i
due protagonisti, pertanto, è tarato su un'empatia crescente ma
discreta, basata più sul non detto e sulle possibilità che sulle
certezze: anche per questo, la relazione impossibile fra i due è
tutta costruita sull'avverarsi di una separazione, sull'aiuto che
l'umano fornisce alla sua piccola amica perché possa abbandonarlo e
fuggire. Il finale, in questo senso, è tanto malinconico quanto
connotato di una possibile speranza, e lascia allo spettatore il
piacere di trarre le proprie conclusioni.
Arrietty
– Il mondo segreto sotto il pavimento
(Karigurashi
no Arrietty)
Regia:
Hiromasa Yonebayashi
Sceneggiatura:
Hayao Miyazaki e Keiko Niwa, ispirata al ciclo letterario Gli
Sgraffignoli, di Mary
Norton
Origine:
Giappone, 2010
Durata:
94'
1 commento:
Ho trovato questo film malinconico e struggente, più di molte altre opere dello studio Ghibli.
sarà che fondamentalmente sono pessimista, ma nel finale ho visto poca speranza, molta nostalgia e una punta di rassegnazione.
Un piccolo gioiello, comunque, che spero di poter trovare, un giorno, in DVD.
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