"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 13 giugno 2011

Paul

Paul

Grame e Clive sono due nerd inglesi in vacanza negli Stati Uniti per partecipare al Comic-Con e fare un tour nelle più celebri zone di avvistamenti ufologici. Proprio in una di queste trovano Paul, un alieno fuggito dall'Area 51 per raggiungere il luogo in cui la sua astronave lo verrà a prendere. Paul è sboccato, godereccio e possiede incredibili poteri, ma chi lo tallona è ostinato e gli dà del filo da torcere, per cui Graeme e Clive sono giocoforza spinti ad aiutarlo. Al viaggio si unisce Pat, una ragazza che non ha mai visto il mondo ed è stata cresciuta secondo dettami religiosi molto rigidi. Pertanto, oltre ai Men in Black, i nostri eroi si ritrovano alle calcagna anche il furibondo padre della ragazza.


L'eterogeneità del gruppo che accompagna lo spettatore durante la visione di Paul costituisce non solo il punto di forza del film, ma anche la sua ragione d'essere, pratica e filosofica. Il film infatti rappresenta un autentico punto d'incontro tra istanze divergenti e persino tra cinematografie e concezioni filmiche non necessariamente agli antipodi, ma sicuramente molto ben caratterizzate tra loro. Da un lato abbiamo infatti il regista Greg Mottola (artefice di Suxbad) e l'attore Seth Rogen, che doppia Paul nella versione originale; dall'altra la geniale coppia britannica formata dagli interpreti e sceneggiatori Simon Pegg e Nick Frost.

Entrambe le coppie incarnano un preciso ideale di commedia: più esistenziale quella di Mottola/Rogen, più citazionista e parodistica quella di Pegg/Frost. L'intreccio fra queste due realtà crea un ibrido molto interessante che riesce – pur con gli inevitabili assestamenti del caso – a preservare l'irriverenza di sguardo di tutte le personalità coinvolte e a produrre interessanti applicazioni delle rispettive formule cinematografiche.

L'aspetto più interessante, però, non sta tanto nel riconoscere i tratti di volta in volta riconducibili a questa o quella concezione del comico: il gioco diventerebbe infatti presto meccanico e insoddisfacente. Al contrario, ciò che ci interessa è notare come le medesime gag riescano a trarre forza dalla risonanza prodotta dalle due differenti concezioni, risultando in tal modo rafforzate e capaci di abbattere ogni barriera culturale per diventare momenti di cinema più composito e universale. Pertanto, se la critica antireligiosa può tranquillamente iscriversi al filone esistenziale di Mottola/Rogen in quanto elemento tipico della complessa realtà americana (spesso nei film di questi due autori c'è un ostacolo sociale da superare, frutto di una sedimentazione culturale nel subconscio di massa), allo stesso modo esso diventa stereotipo tipico di una realtà da irridere attraverso l'arma del paradosso: e qui si ricade pienamente nel campo di Pegg e Frost, che attraverso capolavori assoluti come Shaun of the Dead e Hot Fuzz hanno dimostrato di saper condurre l'arma della parodia a livelli di assoluta perfidia satirica e di grande portata ludica.

L'ibrido più grande che il film viene così a creare è fra quella tensione al reale cara a Mottola/Greg e la sua rilettura attraverso il filtro della cultura pop di cui è intriso l'immaginario di Pegg e Frost. I due infatti, dopo aver riletto genialmente l'horror romeriano e l'action poliziesco, qui danno il loro contributo alla causa del fantasy e della sci-fi, sempre dalla prospettiva “dal basso” fornita da personaggi che appaiono incapaci di fronte alle sfide che la vita pone loro di fronte, ma che poi si rivelano invece le persone giuste.

Ecco dunque che il film diventa una ricognizione attraverso l'immaginario ufologico, diventato elemento della cultura pop, e crea un linguaggio trasversale che investe luoghi reali (quelli visitati dai due negli Stati Uniti), fumetti, romanzi e, naturalmente, cinema. Il nume tutelare principale è naturalmente Steven Spielberg, chiamato in causa con un esplicito cameo vocale (nella scena in cui lo vediamo ricevere da Paul l'idea per E.T.) e citato letteralmente attraverso la clonazione di alcune inquadrature precise dello stesso E.T. nel finale.

La figura di Paul diventa così il paradigma di questa volontà di sintesi esercitata dagli autori: la sua stessa natura si pone metà strada fra la realtà di una figura che fuma, impreca e possiede vizi fin troppo “umani”, e l'irrealtà di una consistenza digitale che ne rimarca la natura iconica, figlia di un condensato di leggende popolari e cultura pop. E' esemplare a questo proposito la scena in cui il nostro si finge un gadget di un negozio specializzato, risultando perfettamente credibile nella parte. Paul diventa così la figura che allo stesso modo rimette in gioco un filone, lo riforgia letteralmente rivitalizzando alcune figure retoriche dell'immaginario cinematografico legato agli alieni (il tocco guaritore), ma anche quella che riesce a far suo il tono irriverente e sopra le righe della commedia americana moderna. Il perimetro che le sue gesta vengono a iscrivere è così sia cinematografico che squisitamente reale e capace di parlare di vezzi, vizi e passioni dell'umanità.

Da recuperare in versione originale, tralasciando il pessimo doppiaggio italiano.


Paul
(id.)
Regia: Greg Mottola
Sceneggiatura: Simon Pegg e Nick Frost
Origine: Usa/Uk, 2011
Durata: 104'

1 commento:

Fabio ha detto...

Proprio carino questo "Paul" la coppia Pegg/Frost non delude mai, gustoso anche il cameo di Sigourney "Ripley" Weaver e poi ce lui Paul, la versione sboccata e scorretta di ET che lancia battute su battute (quella su Predator mi ha fatto quasi cadere salla sedia del cinema dal ridere XD) davvero esilaranti e azzeccate.
Avendolo visto in sala non so come sia il doppiaggio originale, ma le voci ita a me non son sembrate male, Elio se l'è cavata piuttosto bene nel doppiare questo simpatico personaggio