"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 23 giugno 2011

X-Men: L'inizio

X-Men: L'inizio

1944. Erik Lehnsherr, rinchiuso con i familiari in un campo di concentramento nazista, scopre di essere un mutante che può spostare oggetti metallici a distanza. Nello stesso momento, ma da tutt'altra parte, il giovane telepate Charles Xavier incontra Raven, una ragazza in grado di mutare il suo aspetto fisico. Vent'anni dopo Erik è diventato un cacciatore di nazisti e la sua ricerca si concentra in particolar modo su Sebastian Shaw, il medico che nel campo di concentramento non aveva esitato a uccidere sua madre per incentivarlo a controllare i suoi poteri. Shaw, in realtà, è egli stesso un mutante e intende far scoppiare una guerra atomica fra l'America e l'URSS per creare un nuovo mondo che tutti i figli delle mutazioni nucleari come lui possano finalmente dominare. Le attività di Shaw non sfuggono però a Moira MacTaggert, agente dell'FBI che decide di avvalersi del più giovane e capace esperto di mutanti apparso da poco sulla scena: Charles Xavier. Il professore viene così investito del compito di creare una squadra segreta di mutanti all'ordine del governo. Grazie ad essa i destini di Charles ed Erik finiscono naturalmente con il convergere.


Si ricomincia là dove tutto era iniziato: in quel campo di concentramento che Bryan Singer aveva eletto a brodo primordiale per teorizzare il difficile rapporto fra apparenza e forma, fra la manifestazione assoluta del Male e l'insorgere di un elemento indecifrabile – la mutazione – che forse poteva cambiare l'ordine delle cose e scrivere una pagina di storia differente. Matthew Vaughn raccoglie la sfida e decide di scrivere quella pagina: il regista di Kick Ass è fautore di una poetica basata sul rispecchiamento fra realtà speculari, dal cui confronto risulti possibile descrivere la complessità dei rapporti fra i personaggi, la Storia e i sentimenti che le vicende naturalmente pongono in essere. Per questo il suo prologo agli eventi noti grazie alla trilogia di X-Men è allo stesso tempo un riepilogo e un'evoluzione di un progetto già scritto, una rielaborazione di eventi storici già noti allo spettatore, ma anche un'ucronia che apre differenti prospettive su quanto il tempo ha solidificato nella memoria collettiva, e che nel rientrare in circolazione permette di approfondire i concetti basilari della saga.

Si procede pertanto attraverso la riscrittura di una Storia già consegnata ai libri e pertanto non mutabile nei suoi flussi spazio-temporali, ma sulla quale è possibile aprire inediti percorsi: le acque di Cuba e la Germania dei nazisti divengono il teatro reale di una dinamica Bene/Male che confonde i termini della propria dicotomia e rende complesso determinare i reciproci confini a causa di un elemento imprevisto di fronte al quale occorre riscrivere le percezioni. Il potere dei mutanti è così al contempo positivo e negativo, determina la crisi dei missili, ma allo stesso tempo la risolve: eppure è un dono complesso, che pone in campo interrogativi che investono tanto le macrodinamiche sociali quanto quelle strettamente personali, e interessano i rapporti affettivi fra i singoli. Si tratta quindi di plasmare quel conflitto latente fra umani e mutanti, ma anche fra mutanti e mutanti, che attraverso la sua dicotomia riesca a restituire la dualità di un animo umano (e superumano) costretto fra sentimenti, ragioni e difficoltà di vario genere.

Per questo motivo, alla costruzione dell'ordine codificato dai film precedenti (con il gruppo di Xavier e quello di Magneto), si accompagna anche una delicata indagine in cui, attraverso il rispecchiamento dei singoli nell'insieme della comunità mutante, ciascuno di loro riesca a determinare il ruolo che gli spetta, e a scendere a patti con una mutazione che può essere, di volta in volta, un dono o una maledizione e quindi anche una causa di conciliazione con l'umanità o di scontro.

A livello di sceneggiatura, il personaggio che consegna con maggior forza la propria problematicità allo spettatore è quello di Raven, il cui aspetto di sintesi fra la propria reale sostanza bluastra e la capacità di mimetizzarsi con la “normalità” della massa, riunisce in sé il dramma di una persona che sogna la normalità di una omologazione ai canoni fisici tradizionali e il fascino di un potere che si rivela in parecchie occasioni provvidenziale e la rende perciò un personaggio interessante e speciale, che deve imparare a conoscere e ad apprezzare le proprie possibilità.

Quello che più colpisce, comunque, è l'intelligenza del casting, che rielabora la ieraticità shakesperiana dei modelli forniti da Patrick Stewart e Ian McKellen nel segno di una passionalità che pure non si disgiunge da un approccio filologico: lo Xavier di James McAvoy stempera dunque l'entusiasmo della sua giovane età in un approccio cerebrale e idealistico alla causa, che spesso lo rende asettico e incapace di racchiudere interamente il senso della difficile rete di relazioni con gli umani e i colleghi. Al contrario, il Magneto di un fantastico Michael Fassbender lavora maggiormente sulla chiaroscuralità di un dolore che diventa ossessione e finisce per trovare la propria via nel rispecchiamento con la sua autentica nemesi, Sebastian Shaw, dal quale erediterà l'elmetto caratteristico e la missione di avversario dell'umanità.

Sebbene conscio del valore della compassione, Xavier rappresenta dunque il principio teorico astratto dal quale non può che determinarsi la dicotomia con la fazione avversa dei mutanti; Magneto, invece è il frutto di una elaborazione vissuta sulla propria storia e sulla propria pelle, che proprio per questi motivi – opposti dunque a quelli del collega – non può che giungere a determinare la medesima dicotomia. L'inevitabilità del finale, quindi, non è inerziale, ma raggiunta attraverso un percorso estremamente vitale e condotto con intelligenza, con empatia verso i personaggi di ogni fazione e che riesce in tal modo a raggiungere la sintesi fra il passato cinematografico della saga e il suo presente. Bene e Male diventano categorie di un mosaico più complesso, che chiama in causa direttamente lo spettatore, lasciato libero di decidere quale delle due fazioni sia più legittimata nelle sue aspirazioni. La parte finora rimasta fuoricampo nel racconto, insomma, era davvero quella più grande e intensa.


X-Men: L'inizio
(X-Men: First Class)
Regia: Matthew Vaughn
Sceneggiatura: Ashley Miller, Zack Stentz, Jane Goldman, Matthew Vaughn, da una storia di Bryan Singer e Sheldon Turner (basata sui personaggi della Marvel Comics)
Origine: Usa, 2011
Durata: 131'

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