"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 3 marzo 2011

Ladri di cadaveri (Burke & Hare)

Ladri di cadaveri (Burke & Hare)

Edinburgo, 1828. William Burke e l’amico William Hare sono due spiantati inglesi in cerca di lavoro. La morte di un loro subaffittuario li porta a scoprire un inedito business, quello dei corpi per la locale università. In particolare, il dottor Knox ha continuamente bisogno di cadaveri freschi da fotografare per stilare una “mappa” del corpo umano: uno studio innovativo che potrebbe procurargli un premio direttamente dalle mani del Re. Il lavoro è pericoloso a causa della milizia cittadina che sorveglia strettamente i cimiteri e così, dopo essere rimasti senza subaffittuari, Burke e Hare iniziano a procurarsi il materiale direttamente “alla fonte”, uccidendo le persone che capitano loro a tiro. Mentre il tenore di vita dei due briganti si innalza, Burke si innamora di Ginny, una aspirante attrice che sogna di portare in scena il Macbeth con una compagnia tutta al femminile.


Nel capolavoro assoluto Una poltrona per due, lo sguardo affilato di John Landis dava il meglio di sé nel rivelare la caratura umana del dramma sotteso all’apparentemente amena scommessa fra i due anziani dell’alta finanzia. Si trattava, allora come ora, di cercare una prospettiva che, stante il contesto – radiografato con sagacia e lungimiranza uniche – fosse anche capace di esplorare quegli angoli nascosti del reale, in modo da lasciar emergere i sentimenti, le contraddizioni e la fisicità delle figure altrimenti destinate a rimanere in ombra. Lo spirito che anima il grandissimo regista americano in questo suo nuovo, meraviglioso, film è dunque rimasto lo stesso.

C’è infatti una forte tensione al reale che si va a contrapporre a una realtà stratificata, che sembra trovare la sua unica possibilità descrittiva attraverso la propria rappresentazione: dalle esecuzioni capitali che si svolgono in pubblico fra l’acclamazione di una folla che risponde “a comando”, alle esibizioni teatrali, senza dimenticare la cornice con il narratore che si rivolge direttamente allo spettatore, tutto in Ladri di cadaveri sembra ossequiare l’idea di una realtà che segue un copione. La scelta non è casuale, essendo la vicenda tratta da fatti realmente accaduti e dunque già storicizzati e noti. All’interno della “storia vera” (e quindi conosciuti), Landis è però interessato a lasciar emergere “le parti che non lo sono”: l’eccezione è dunque l’autentico fulcro del racconto, quello che favorisce sguardi innovativi e che si realizza spesso attraverso il capovolgimento delle prospettive.

Il discorso è tanto più complesso quanto più allarga la sua influenza alla struttura stessa del film, che si presenta come una horror-comedy, ma in realtà non dimostra alcuna intenzione di giocare la carta del terrore e anche nella commedia non trova la sua piena realizzazione: non almeno quanto riesce a farlo nell’insperata componente sentimentale, che concretizza il film come una impossibile storia d’amore dai contorni quasi fiabeschi, sebbene non priva di afflato tragico.

L’idea della rappresentazione, dunque, sembra l’unica in grado di esprimere la tensione dei personaggi a essere al di là degli schemi loro imposti dalla realtà, favorisce il volo pindarico nel sogno irrealizzabile di un amore raggiunto attraverso lo scavalcamento degli steccati (l’ingresso proibito nei locali) e il rovesciamento delle convenzioni (lo spettacolo di sole donne, laddove all’epoca le rappresentazioni shakespeariane vantavano un cast tutto al maschile). Si tratta, insomma, di restituire una ulteriore dimensione a quel corpo altrimenti utilizzabile soltanto come merce per competizioni accademiche, trofeo per lezioni compiute nell’evidente compiacimento del proprio genio da luminari in contrapposizione perenne e ben collegati alle stanze del potere, secondo un meccanismo oliato che sedimenta tutto in un feroce classismo.

Burke e Hare, dunque, riassumono ed espandono tutto questo attraverso la stessa dicotomia che il duo mette in scena con la loro fisicità: Andy Serkis/Hare rappresenta infatti la componente “materialistica” del duo, quello che orchestra i piani e intrattiene le pubbliche relazioni con i compratori e i ricettatori e la sua figura appare fisicamente più esasperata, caricaturale, una maschera cui non a caso dà forma il corpo dell’attore reso celebre dalle performance capture per Peter Jackson (Gollum nel Signore degli Anelli, King Kong). Anche il suo rapporto con la moglie si basa su una sorta di pacifica e reciproca sopportazione, un “dovere coniugale” che si estrinseca in un sesso sfrenato ma unicamente performativo. Hare, insomma, è il punto di partenza di una realtà che si esaurisce nel tautologico benessere esteriore.

Al contrario, il Burke del grande Simon Pegg è l’elemento che favorisce invece la dimensione più strettamente umana e meno “fisica” del duo, è il sognatore che accetta anche di farsi carico della colpa in una ricerca dell’amore che sia anche affrancamento da sé. Non a caso egli usa il suo denaro nella doppia direzione di tracciare per sé una esistenza parallela (fingendosi un ricco filantropo) e per consegnare la sua amata alla realizzazione nella dimensione fiabesca della recita teatrale. E’ lui, dunque, il personaggio al contempo più “reale” e più “teatrale” del duo, quello in cui Landis realizza la sua sintesi di prospettive opposte e che non a caso riassume il senso della sua missione (e della storia) in un proclama pubblico nel finale. Ma che inevitabilmente è destinato a restare invece prigioniero di quella ritualità di un mondo che segue il suo copione e viene perciò reimmesso nel già citato circolo di sfruttamento disumano delle competizioni accademiche. Quello che aveva cercato di rompere pur ossequiandone le dinamiche, in una magnifica contraddizione squisitamente landisiana, ovvero umana.


Ladri di cadaveri – Burke & Hare
(Burke and Hare)
Regia: John Landis
Sceneggiatura: Piers Ashworth, Nick Moorcroft
Durata: 91’
Origine: UK, 2010

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